Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro III/II

Cap. II

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CAPITOLO SECONDO.

Credenza, e superstizione degl’Idolatri.


L
E cieche menti di questi Gentili sono così avvilite nell’abbisso della superstizione, che non riputano sconvenevole far nascere i loro Dei da uomini, e dar loro medesimamente donne; credendo, che essi amino le stesse cose, delle quali gli uomini si dilettano. Tengono Ram per una gran Divinità, per gli gran [p. 255 modifica]prodigj operati in vita, col mezzo d’una scimia, che con un salto passò il Mare, e bruciato il palagio di Rhevan, con un’altro salto lo ripassò; sopra di che narrano una lunga, e tediosa favola. Annoverano anche fra le Dee Malachiche, la quale dicono, che giammai non negò il suo corpo a chiunque ne la richiedesse; appunto come se avesse fatta una gran penitenza: e nella stessa guisa un’uomo detto Cunsunù, perche mentre visse, godè di 16. mila femmine.

Credono alcuni di loro, che vi siano i Campi Elisi; e che per arrivarvi, bisogna passare un fiume, simile allo Stige, o Acheronte degli antichi; dove hanno a prendere nuovi corpi. Altri tengono, che il Mondo finirà ben presto, dopo di che essi hanno a ritornare in vita, e passare in una nuova Terra. Tutti stimano, che vi sia un solo Dio, che ha mille braccia, mille occhi, ed altrettanti piedi; non potendo meglio esplicare l’opinione, che hanno della sua onnipotenza. Dicono, che tengono quattro libri, mandati loro da Dio, sono già più di sei mila anni, per mezzo del lor Profeta Ram; de’ quali libri due ne son chiusi, e due aperti: ma che questi non ponno leggersi, [p. 256 modifica]se non da quelli della lor Religione. Di più, che vi sono sette Cieli, nel superiore de’ quali sta seduto Dio: e che egli non cura le azioni particolari degli uomini, perche elleno non meritano d’essere oggetto della sua mente infinita. Dicono anche esservi un luogo, dove può esser veduto, come a traverso d’una nube lontana. Quanto a’ cattivi spiriti, credono, che talmente stanno incatenati, che non possono far loro alcun male.

Fan menzione d’un uomo, detto Adam, primo, e comun Padre; e dicono, che sua moglie avendo voluto (per la tentazione) mangiare il frutto vietato, fece mangiarne anche al marito: ma che mentre il boccone, da lui preso, andava giù, la mano di Dio impedì, che passasse oltre; e che indi venne cagionato il nodo, che hanno i maschi nella gola, detto perciò da essi pomo d’Adamo.

Il Sacerdozio fra di loro è ereditario, siccome era anticamente fra gli Ebrei; perche, com’è detto di sopra, ammogliandosi un Bramine, dee prendere la figliuola d’un’altro Bramine. Essi si distinguono dagli altri Gentili, a cagion d’un laccio, composto di tre fila di cottone nuovo, che portano appeso al collo, [p. 257 modifica]e rivolto sotto al braccio sinistro. Si pone a’ fanciulli (non mai alle femmine) con gran solennità, quando sono di nove, o dieci anni. Con questo laccio, o linea significar vogliono l’unità di Dio in tre Persone, dette da essi Brama, Vistù, e Mayessù. Se non l’hanno addosso, non v’è pericolo, che prendano alcun cibo; e se n’è veduto talora alcuno soffrir l’inedia di molti giorni, per essersi rotto il laccio, prima d’aver l’altro da’ Sacerdoti.

Or dovendosi per qualche grave colpa discacciare alcuno dalle Tribu di Bramini, Baniani, o Bangaselini, se gli toglie il laccio, in cotal modo. S’uniscono le persone tutte della Tribu, di quel luogo, in presenza del Boto, o Sacerdote, ed accusano il reo della tale, e tal colpa. Risponde egli: e se le scuse non sono sufficienti, il Boto gli toglie il laccio, e cancella il Tillà, o color della fronte. Poi tutta l’assemblea prende a masticar Betle, mangiar cocchi, e pippar tabacco, senza farne partecipe il reo; ma solamenre per pietà gli buttano a terra una fronda di tabacco.

Volendo ritornare nella Tribu, dee andare di casa in casa, chiedendo l’assoluzione, e perdono da’ votanti; [p. 258 modifica]facendo loro conoscere la sua rassegnazione, e raddolcendo l’animo del Boto, col presente d’una vacca. Ciò fatto dà un pasto a tutta la Tribu, che unita lo riceve di nuovo, e’l Sacerdote gli dà la linea, e’l Tillà.

Tutte le Sette di Gentili di qua dal Gange sono scrupolosissime sul fatto di mangiar con Cristiani, o Maomettani, e di servirsi di stovigli usati da’ medesimi. Quei però da Malaca avanti non vi fanno tanta difficultà.

E così grande la loro semplicità, o per dir meglio, ignoranza, che stimano, possa la donna concepire, per forza d’immaginazione; e che essi assenti più migliaja di miglia, e da molti anni, le mogli pensando di giacervi, possano divenir gravide: e in fatti avendo contezza, d’esser le mogli partorite, fanno feste grandissime.

A questo proposito narrommi il Padre Galli, Prefetto de’ Teatini di Goa, un fatto assai piacevole. Giunto da Portogallo D. Francesco di Tavora Conte d’Alvor, per Vicerè dell’Indie; s’ebbe novella, che sua moglie, rimasa gravida, avea partorito un figlio maschio. Fra gli altri, andó a congratularvisi un Mercante [p. 259 modifica]Gentile; e credendo di fare un gran complimento, disse al Vicerè: sia con felicità di V. E. spero, che ogni anno avrà avviso d’un figlio maschio. Ancora sarebbe quegli in colera, se non gli avesser detto alcuni, che gl’Idolatri hanno sì balorda opinione. Ponno dirsi felici tai donne, potendosi dar buon tempo, e poi dare ad intendere a’ sciocchi mariti, aver concepito, pensando ad essi.

Essendo per morire un’Idolatra, i parenti pongono una vacca vicino al letto; e tanto le muovono la coda, finche orini: se ne giunge sul volto del moribondo, si stima buon segno per la sua salvazione; altrimente (e in particolare se la bestia non orina) si fanno poscia l’esequie con somma malinconia. Di più danno la coda della vacca in mano al moribondo, atimando, che la di lui anima possa nel corpo della bestia passare. In fine credono, che ogni uno si possa salvare nella sua Religione, e nella sua Setta, purche segua esattamente i precetti di Dio, e’l lume della ragione; sentenza, la quale, benche falsa, ancora seguitarebbono alcuni Teologi, se non fusse stata condannata dalla Chiesa. [p. 260 modifica]

La sospizione di furto si purga appresso di loro, con fare a viva forza passar l’accusato per un fiume, infestato da Coccodrilli; e se rimane illeso è riputato innocente. I Nairi chiamano questo il passo del Learto.

Questi Nairi sono gran maestri di stregoneria: nè certamente s’espongono ad alcun fatto d’arme, senza consigiiarsi in prima col diavolo. Colle chiome sparse, si fanno perciò, con un coltello, uscir sangue dalla fronte; e ballando al suono d’un tamburo, ad alta voce lo chiamano; e quegli viene a dar consiglio, se è bene cimentarli col nemico. Quando però il nemico pentito della disfida, con un certo segno chiede pace, volontieri gli vien conceduta.

Hanno anche le mogli comuni. Entrato ch’è alcuno in casa della donna, lascia la spada, e la rotella avanti la porta, acciò sappia ogn’uno, che il luogo è occupato; e perciò la successione degl’incerti figli si regola altrimente; siccome è detto di sopra. Se però le donne sono trovate a giacere con uomini d’altra Setta, divengono schiave della loro Regina di Canarà. Ammogliandosi un fratello, la moglie è comune anche a gli altri. [p. 261 modifica]

Per privilegio conceduto loro dalla Regina, accompagnano i viandanti, pee quelle contrade, infestate da’ ladri; e se accade, che questi abbiano ardimento di rubare alcuno, s’uniscono tutti, e seguitano i masnadieri, sino all’ultimo esterminio. Quindi è, che un semplice ragazzo, con una verga in mano, per tutto il Canarà, rende il viaggiar sicuro; avvegnache fra boschi, e montagne: e poi un viandante per poche monete può averne uno, da un villaggio all’altro.

La superstizione di tutti i Gentili d’India, fa divenirgli micidiali de’ loro proprj figli; imperocchè hanno in costume, quando il fanciullo non vuol poppare, portarlo in campagna; e quivi sopra un panno (ligato in alto da quattro capi) lo lasciano dalla mattina alla sera, per far loro beccar gli occhi da’ corvi: e questa è la ragione, perche in Bengala si truovano tanti ciechi. Dove sono Scimie però, non v’è tanto pericolo, perche elleno, essendo nemiche de’ corvi, gettano dagli alberi tutte le uova de’ medesimi, e non fanno moltiplicargli. La sera è menato il fanciullo a casa, e se non tetta, vien posto la seconda, e terza volta in campagna; e alla per fine, [p. 262 modifica]abborrito, come se fusse qualche Serpente, è buttato in un fiume.