Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. II/Libro III/I

Cap. I

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Libro III Libro III - II
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CAPITOLO PRIMO.

Si prosiegue il viaggio sino a Bander-Congo.


C
On tutto che il Padre Francesco si fusse ammalato (o per la poca buon’aria di Sciras, o per altra sconosciuta cagione) nè stasse in istato di porsi in cammino; pure per togliersi da presso al Padre Amodeo, prese in affitto una nuova Cafila (come ivi si dice) e’l Sabato 18. caricate le robe, circa il tramontar del Sole; presso a un’ora di notte, senza cena, ci ponemmo anche noi in viaggio.

Camminammo adunque tutta la notte, e venimmo a fermarci la Domenica 19. nel Casale di Bagbun, che vuol dire Ortolano, distante 50. miglia da Sciras. La giornata ordinaria saria stata sino a Babagì 10. miglia più in dietro; però ci avanzammo, come dissi sino a Bagbun, per esser patria de’ nuovi Ciarvatari.

Il Lunedì 20. essendo replicato l’accidente al Padre Francesco si chiamò una [p. 265 modifica]Mora, per fargli applicar le ventose. La maniera, con che ella ciò fece, essendo stata stravagante, non lascerò di notarla. Pose senza fuoco un vetro, come cappello di lambicco, sopra le spalle del paziente; e movendolo or in quà, or in là, ne succhiò l’aria fortemente per lo canaletto; indi tagliò la carne, e reiterando il succhiare, fece venir fuori il sangue nell’istesso vaso. Altre More in luogo del vetro usano un corno.

Il Martedì 21. ci partimmo con un’ora di giorno, e viaggiammo per terreno piano (come l’antecedente giornata) abbondevole di cigniali, e gazzelle; avendone in sole tre miglia di strada numerate cinquanta, pascendo per la campagna. Avendo smarrita la strada in vicinanza del Karvanserà, ne facemmo condurre da una guida, e così smontammo nel Karvanserà di Musiferì dopo 20. miglia, e sette ore di strada; benche per lo cammino ordinario vi siano 25. miglia dal Karvanserà dì Babagì. Incontrammo un Corriere, o Ciater, che oltre le campanelle appese alla cintola (per darsi a conoscere per bestia) portava nel turbante lunghe penne colorite, legate l’una sopra l’altra a modo di pennacchio. [p. 266 modifica]

Viaggiammo fra montagne, per una pessima strada piena di pietre, il Mercordì 22. e calati in fine per una scesa di 12. miglia, arrivammo nel Karvanserà di Paerra, avendo fatte 20. miglia in otto ore.

Il Giovedì 23. per 25. miglia di strada piana, ma sassosa, dopo 8. ore giugnemmo nel Karvanserà d’Assumayer, fabbricato di pietre, e calce; cosa rara in Persia. Dopo 15. altre miglia passammo un’altro Karvanserà, detto di Ghezè.

Prima di partire Venerdì 24. un Dervis abitante in questo Karvanserà, vestitosi di una camicia lunga, con una pelle di pecora sulle spalle, come per mozzetta, ed un’altra in teda per berretta; venne a fare una ridicola predica, per avere una limosina di poche Gaze. Il cammino, che poi si fece, fu per terreno seminato di riso (dove vidi i primi dattili) e poscia arido sino al Karvanserà di Mokak, dove restammo dopo 25. miglia, e otto ore di cammino. Quantità di pernici venivano domesticamente alla porta del medesimo, per pascersi della biada, che cadeva alle mule. In questo luogo comincia l’uso delle cisterne, e continua sino al Congo, perche i ruscelli son pochi, e i fiumi salsi, [p. 267 modifica]correndo per miniere di sale. In Mokak sono due Karvanserà; il nuovo, e’l vecchio, il quale ha bisogno di poca riparazione, ma trascurano i Maomettani di fargliela, per l’inchinazione che hanno a fabbricar di nuovo.

Il Sabato 25. partimmo a mezzodì per una comoda strada; e dopo 10. ore fatte 30. miglia, perle quali passammo alcuni piccioli ruscelli, giugnemmo nella Città di Gearon. Questa Città ha più tosto sembianza di foresta, perche le sue case sono sparse tra folti alberi di palme, che apportano non poca rendita co’ loro dattili, che sono de’ migliori della Persia. Ella è posta in un piano arenoso, d’alti monti circondato; e benche picciola, e composta di poche case, ha però il suo Visir con ampia giuridizione.

I giardini per esser bagnati dall’acque correnti de’ vicini ruscelli, sono freschi, ed abbondevoli di buone frutta, come melegrane, uve, e cotogni. Le caso non sono cattive, essendovene molte di pietre e calce, ch’è qualche cosa di singolare in Persia, dove sono la maggior parte di loto. Uccisi per istrada molte pernici, di cui v’ha gran copia per quelle campagne, e di due spezie; una simile [p. 268 modifica]alle nostre d’Italia; un’altra picciola quanto una quaglia, con le penne del medesimo colore del petto del Falcone.

Riposammo la Domenica 26. in un magnifico Karvanserà (di buona fabbrica) vicino Gearon. Quivi trovai di buon gusto nei desinare un lombo arrostito di gazzella, perocchè era tenero come la vitella di Sorrento del Regno di Napoli. e di grandissimo odore altresì; pascendosi sì fatti animali d’Iperico Asiatico, Pontico, e d’altre erbe odorifere, delle quali sono coperte alcune campagne della Persia. Eglino hanno la testa di pecora, con corna lunghe mezzo palmo, e’l corpo, e’l pelo di Caprio: vivono ne’ monti, ma perché questi son per lo più nudi d’erbe, scendono di notte a nutrirsi nel piano, siccome dicemmo nella prima parte.

Di buon’ora il Lunedì 27. ripigliammo il cammino: e passate appena 5. miglia di pianura, cominciammo a salire e scendere per precipitevoli montagne, per lo spazio di 20. miglia, sino al Karvanserà dì Ciartalk. Vidi in. quel giorno tanta gran quantità di pernici, della spezie dell’Europee solamente, pascendo per la campagna, e fin sulla strada, che in tutta [p. 269 modifica]la mia vita non credo averne mai veduta simigliante numero. Non dava passo senza incontrarne stormi intieri, e n’uccisi da venti, tutte per terra, senza pigliarmi troppo fastidio; e s’avessi voluto n’avrei fatte anche di vantaggio, perche non sono spaventate, e se volano un poco, subitamente di bel nuovo si rimettono. Vidi anche per questo cammino molte Gazzelle.

Incontrai di più varj Contadini Persiani, che portavan un picciol cappello di feltro bianco, tagliato nelle due opposte parti. Costoro, benche siano poveri, sono di buoni costumi, sinceri, di buona fede, e semplici: benche appetiscano il danajo come i Turchi, non sono però così fraudolenti, e nimici de’ Cristiani, nè tanto superbi; usando civiltà co’ Franchi nel salutare, e nelle visite.

Ben tardi il Martedì 28. partimmo, e dopo 20. miglia fatte in sette ore per monti e piani, giugnemmo nel Karvanserà di Mauser, allato del quale era un’ottimo giardino di palme (cariche di dattili) melaranci, e limoni, benche poco ben coltivato. Per la comodità del legname, che in alcune parti si truova, continuano per questo cammino i [p. 270 modifica]Karvanserà di buona fabbrica, come anche l’uso delle cisterne. Fatte 25. miglia in 9. ore per terreno piano, giugnemmo il Mercordì 29. nel Casale di Benarù. Eravamo passati cinque miglia prima per lo Karvanserà di Dedomba, vicino un picciolo Casale; però non vi restammo, per non essere Manzil, o giornata di caravana, come dicono i Persiani. Si vedevano 2. tiri di schioppo indi lontane, per le falde della montagna, le reliquie di molte abitazioni, e mura d’una Fortezza rovinata, che guardava il passo dell’apertura del monte.

Poche miglia lunge da Benarù verso Oriente, si vede la montagna di Darap, tutta di pietra nera, dalla quale distilla il prezioso, e tanto rinomato balsamo, (impropriamente chiamato mummia) che da liquido divien duro come una gomma, che inchina al nero; e serve per consolidare le ossa rotte, applicata calda. Se ne veggono effetti prodigiosi; perche rompendosi una gamba, o braccio, basta ritornare le ossa al loro luogo, e col balsamo riscaldato e fatto liquido ungere la parte, e ligarla, che dopo le 24. ore si truova il braccio, o gamba che sia, nel medesimo stato di prima. E’ custodita quella montagna per [p. 271 modifica]ordine del Re, e si uniscono una volta l’anno il Visir di Gearon, Sciras, e Lara a raccoglier la mummia da una conca, dove scorre, e si congela, per inviarla al Re. Per evitare ogni frode, si manda suggellata da’ medesimi Ministri; perche la mummia è sperimentata e stimatissima in Arabia, ed Europa, e non se ne raccoglie che 40. oncie l’anno. Vi sono ben nella Persia altre montagne, che distillan balsamo, o mummia, ma non di tanta bontà, e perfezione.

Partimmo tardi da Benarù il Giovedì ultimo, e per malagevole strada, così di piani, come di pessime salite e scese di pietre, arrivammo dopo aver fatte 30. miglia in 11. ore, nel Casale, e famoso Karvanserà di Belì. V’erano Rattar a mezza strada per custodia del cammino, ma non già così insolenti, come a quei di Tauris; perche se si dà loro un’Abassì lo pigliano, e se nò, non fanno veruna impertinenza.

Il Venerdì primo d’Ottobre fatte 20. miglia di cammino per aridi monti, ci fermammo dopo sette ore nel Karvanserà di Pacutel; avendo lasciato cinque miglia prima il Karvanserà, e Casale di Dacù. [p. 272 modifica]

Per monti e sassi dirupati camminammo 7. ore il Sabato 2. ed a fine di 20. miglia giugnemmo in Lara Città capitale del Regno di tal nome. Ella è situata in un piano circondato da monti; e a mirarla di lontano fra tanti alberi, e spezialmente di palme, rassembra più tosto un Casale. Le sue case sono fangose, e fabbricate lungo un colle, nella di cui sommità è una Fortezza, della quale restano in piedi appena le mura ed alcune picciole Torri in competenti spazj disposte: nel mezzo vi sono case per abitazione de’ schiavi, e persone che ricevono soldo dal Re; onde benche senza artiglieria ha questa Fortezza molta somigiianza a quella di Buda. Tiene Lara un’ottimo Bazar a volta, composto di quattro strade in croce, nel mezzo delle quali s’innalza una cupola: ve n’è un’altro in quadro con assai buone botteghe di diversi artefici, e mercanti; e quivi vicino si vede anche una spaziosa piazza quadrata serrata intorno di fabbrica.

Per essere la Città molto calda, fanno sopra il tetto delle case una fabbrica come un camino, con alcuni canali, fatti in modo, che ogni poco di vento entra per sotto, e rinfresca mezzanamente la camera. [p. 273 modifica]

La giurisdizione del Visir di Lara è molto ampia, stendendosi sino al Congo, per dove egli deputa un Luogotenente. Da Lara chi vuole imbarcarsi, ha due strade per rendersi al Mare, una per Bander-Abassì, l’altra per Bander-Congo.

La Domenica 3. per l’apertura di due montagne facemmo 15. miglia di cammino, e in 5. ore giugnemmo nel Karvanserà, e Casale di Nimbà.

Il Lunedì 4. peggiorando l’indisposizione del Padre Francesco, bisognò trattenerci in questo luogo, per mandare in Lara a prendere il Caggiabà; cioè, come due sedie di mano, che usano in Levante di porre sopra muli, o cammelli, per uso degl’infermi, e delle donne. Venne il Martedì 5. il Catergì col Caggiabà, ma troppo tardi; sicchè non partimmo sino al Mercordì 6. Postici in cammino per nudi monti, e valli, venimmo dopo sette ore nel Casale, e picciolo Karvanserà di Kormut, 20. miglia lontano da Nimbà: comprammo ivi quantità di pernici vive, a ragione di cinque tornesi l’una della moneta di Napoli.

Per un piano popolato dì varj Villaggi camminammo 15. miglia il Giovedì 7. e dopo aver passata una strabbocchevole [p. 274 modifica]montagna, e fatte altre 15. miglia, albergammo nel Casale, e Karvanserà d’Anoè: una lenta pioggia ne accompagnò per più ore di strada.

Per paese piano facemmo il Venerdì 8. venti miglia in 7. ore, ed andammo a fermarci nel Karvanserà, e Casale di Scicogì; sempre camminando verso Mezzodì, siccome aveamo principiato da Ispahan. Le rondinelle in quelli luoghi son di color di cenere.

Dopo sette miglia di piano il Sabato 9. entrammo fra alcune montagne, così disastrose e scoscese, per lo spazio di 18. miglia, che in alcune parti la strada era riparata con mura, acciò non precipitassero le caravane. Arrivammo dopo 9. ore nel Casale, e Karvanserà di Bastak; sempre però per infecondo, et arido terreno, nel quale appena nascono, per alimento de’ poveri, pochi dattili presso i luoghi abitati, e formento, di che fanno un pane sottile, come un’ostia.

In questo Karvanserà ricevei una lettera del Padre Priore degli Agostiniani d’Ispahan, nella quale mi dava contezza, che il novello Re avea di già principiato egli medesimo a rompere la tanto rigorosa legge, che avea fatta, che [p. 275 modifica]non si bevesse vino; e che i sudditi anche essi, vedendolo spesso per l’eccessivo bere ubbriaco, non aveano alcuna difficultà a seguitarne l’esemplo. Tra le altre violenze, che mosso da’ furori di Bacco operato avea, m’avvisava il Padre Priore,che un giorno presso al fiume di Zulfa, avea fatte dar molte e molte bastonate sulle piante de’ piedi a diversi Vescovi, e Sacerdoti Armeni (che n’erano restati stroppj) per non aver pagato a tempo l’annuale tributo, secondo il numero, che diedero di loro stessi nell’ultima persecuzione contro i Cattolici. In fine è figlio d’un buon bevitore, nè può degenerare da’ paterni costumi.

Passammo una dirupata montagna la Domenica 10. ed albergammo dopo 7. ore, e venti miglia di strada nel Casale, e Karvanserà di Kuxert.

Il Lunedì 11. fatte 10. miglia, passammo un fiumicello appiè d’un monte; e poi una strada di Sale, che si forma dell’istessa acqua salsa, e divien così duro, che sembra una pietra bianca. Entrammo poi per alcune concavità d’alte rocche, e spezialmente del monte di Bassac, dove era il cammino sì malo, e precipitoso, che bisognò farlo a piede: basterà il dire, [p. 276 modifica]che per passar dieci miglia di strada, per detta montagna di Bassac, ed altrettante per lo piano, si consumarono 12. ore; perche era d’uopo attendere, che si caricassero le mule, e gli asini della nostra Cafila, che cadevano da volta in voltai. Giugnemmo alla fine mal conci, e stracchi (in particolare il Padre Francesco, che quantunque infermo, fece la sua parte della strada a piede) nel Karvanserà di Banicù, o Ciarbukè, o secondo altri Sarcovà; stanza molto cattiva, come porta fra orridi monti, senza alcun Villaggio da vicino, o persone, che la custodiscano; onde fù di mestieri per tre giorni di cammino portar le provvisioni necessarie, non trovandosi per via che comprare.

Per pessime valli, e monti camminammo il Martedì 12. e dopo venti miglia fatte in 9. ore, restammo in campagna, mezzo miglio lontano dal Karvanserà di Tangù, sapendo che ivi le cisterne erano vuote d’acqua. Avriamo potuto restare a mezza strada nel Karvanserà di Hodundin, dove era acqua; però non avriamo fatta una giornata giusta, e noi non avevamo tanto tempo da perdere.

Non fu punto migliore la strada del [p. 277 modifica]Mercordì 13. perocchè salimmo l’aspra, ed erta montagna di Ciampà; nella cui sommità trovammo il Karvanserà di Serkù nuovamente fabbricato. Due miglia più avanti cominciammo a scoprire il Mare del Seno Persiano, e Bander-Congo. Quindi per un cammino precipitoso scendemmo al piano, dove mi furono mostrati varj monticelli di diversi colori per tingere, particolarmente di rosso, e verde. Vi erano anche nel suolo marmi, e bianchi, e rossi, quasi calcinati dal Sole, de’ quali si servono in vece di Bolo-Armeno, nè senza riuscita. Dopo due altre miglia giugnemmo nel Karvanserà di Ciampà. Quivi trovammo un Padre Agostiniano Vicario del Congo, il quale la sera ne diede cena. Ammirai a tavola un vecchio Armeno di 70. anni, che dopo aversi piena la pancia di più vivande, si mangiò in fine una intera piramide di pilao, che lo gonfiò come: un tamburro: credeva io, che per un pezzo egli ne starebbe male, però a mezza notte si trovò aver sì ben digerito, che di bel nuovo cominciò a mangiar biscotto. Egli era venuto per curar come Medico il Padre Francesco, ma io non gli avrei confidata la cura del [p. 278 modifica]mulo. Mi riferì il medesimo Padre, che tre anni prima avendo dolor di ventre un suo servidore, con una paletta di ferro infocata gli avea bruciato le interiora, senza che egli lo sapesse prima di vederlo agonizante, con le budella di fuori. Lo fece confessare, ed indi a 6. ore morì.

Quattr’ore prima del giorno ci riponemmo in istrada il Giovedì 14. e dopo 15. miglia prendemmo riposo nel Casale di Barscià: la notte sentii un caldo grande uguale a quello d’Italia ne’ tempi canicolari. In questo Casale vennero all’incontro del P. Francesco, Giuseppe Pereira d’Azevedo Soprantendente dell’Azienda Reale del Rè di Portogallo; il Fattore, e lo Scrivano della medesima, con molti loro servidori a cavallo. In compagnia di costoro giugnemmo dopo sette miglia in Bander-Congo, e desinammo unitamente tutti nel Convento de’ Padri Agostiniani, dove alloggiammo. Il Ciarvatar voile di pagamento 8. Gaze, o Kasbey per lo peso d’ogni mano di Tauris, ch’è quanto 6. libre di Spagna. Le persone o picciole, o grandi che fussero si calcolarono per 33. mano l’una, o 199. libre. Pagai adunq; da Sciras a Bander Congo 13. Abassì per cavallo, portando il servidore le mie valige nella sua mula.