Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. II/Libro I/VIII

Cap. VIII

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CAPITOLO OTTAVO.

Descrizione della Colonia di Zulfa, e de’ riti

sacri degli Armeni.


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Ulfa, Sulfa, o Giolfa è vicina al Casale de’ Gori, e lontana due miglia e mezzo da Ispahan, dalla quale è separata per lo fiume Sanderù. Ella è una nuova Colonia d’Armeni, che lasciata l’antica dello stesso nome, quivi si stabilirono per comandamento di Scia-Abas il Grande, allora che più fremevano le guerre fra’ Persiani, e’ Turchi. La sua lunghezza è di tre miglia, il circuito di nove, per gli grandi giardini che contiene; onde più tosto selva, che Città rassembra a gli occhi de’ riguardanti.

Le sue case sono belle al di dentro, avvegnache fangose al di fuori: le strade assai più pulite, e diritte di quelle d’Ispahan, con lunghe file d’alti Cinar a’ [p. 138 modifica]lati, e un canale d’acque nel mezzo, abbondevole di buoni granchi. E quì non è da tralasciare la solenne burla, che mi narrarono alcuni Francesi dimoranti in Zulfa, essere stata fatta al Tavernier, al proposito di questi granchi. Mangiando egli (sono ormai presso a quarant’anni) con Mr. l’Etoile, ne commendava molto il sapore: e come che quegli di buono umore, e faceto si era, gli disse: ora è il tempo che sono migliori, perche mangiano gelsi bianchi. E vedendo tuttavia curioso il semplice Tavernier di sapere, come mangiassero gelsi, e in qual maniera gli prendessero, per poterlo poi scrivere; soggiunse, che quei granchi al tramontar del Sole uscivano da’ loro buchi presso agli alberi; e montativi su mangiavano gelsi tutta la notte, e poi al far del giorno ritornavano nell’acque: onde i giardinieri andavano a scuotere gli alberi la notte, e fattane buona raccolta, gli portavano a vendere in piazza. Questa novella detta per ischerzo fu trangugiata dal Tavernier, e scritta Tom. 1. lib. 4. pag. 423. come vera, a gran pregiudicio degli altri semplici, come lui. Mi fu tutto ciò confermato dal figliuolo del medesimo Mr. l’Etoile, da un vecchio Armeno, e da [p. 139 modifica]altri Francesi, che aveanlo conosciuto in Zulfa. Qunindi può farsi argomento della verità degli altri suoi detti; se in cosa tanto inverisimile, così credulo dimostrossi. I Persiani non solo non mangiano di tai granchi, ma gli abborriscono grandemente.

Quanto al governo degli Armeni in Zulfa, il Re sa render loro una rigorosa giustizia nel criminale; e nel civile deputa un Kalenter, o Giudice della stessa nazione; il quale gli tassa in quello che devono contribuire al Regio Erario. Coloro sono oggidì i più ricchi vassalli del Reame, per lo danajo dato loro sul principio in prestanza da Scia-Abas I. e per lo gran traffico, che hanno per tutto il Mondo, spezialmente di seta: oltreacciò sono così sobrj e nelle lor case, e ne’ viaggi, che il danajo cresce di momento in momento nelle loro borse.

Nello spirituale sono governati da un’ Arcivescovo, il quale è independente dal Patriarca, ed ha quattro altri Vescovi suffraganei. Da questa independenza affidato Stefano, di cui sopra si è ragionato, vendeva sfacciatamente i Sacramenti, e la sepoltura; accumulando in tal guisa centinaja di migliaja di scudi. [p. 140 modifica]

Per lo più gli Armeni parlano oltre la loro favella, anche la Persiana, e Turchesca. E l’Armena stessa è di due sorti, e si scrive con differenti caratteri, cioè la letterale per gli Ecclesiastici, e culto di Religione; e la volgare per lo rimanente del Popolo.

Oltre i Missionari Carmelitani Scalzi (assenti per la cagion riferita) erano in Zulfa anche Gesuiti, e Domenicani; però in picciolissimo numero di due, e tre per casa, che appena bastavano per gli Divini ufficj. Per altro i Cattolici sono ben pochi, e pochissimi i fanciulli, che s’istruiscono nella Religione Cattolica; imperocchè non tantosto ne ha notizia il Vertabiet, che scomunica i padri, e questi per non esporsi all’ira del Popolo, bisogna che ritirino i loro figliuoli.

Le Donne Armene sono bellissime, e la loro bellezza non è ajutata dall’arte. Cuoprono il capo con una bianca, e fina tela, che si allaccia sotto il mento- De’ capelli ne formano una sola treccia, ed accoltala in una borsa di velluto, la lasciano cader sulle spalle; le più ricche vanno adorne di oro, e di gemme, come tutte le altre femmine del Mondo.

Mi rimasi in Città il Mercordì 4. ed [p. 141 modifica]andato a sentir Messa in una Chiesa di Armeni, trovai un solo altare per lo Sacrificio. Il Coro era cinque gradini più alto dalla nave; e così nell’uno, come nell’altra buoni tappeti per terra.

Fù celebrata la Messa dall’Arcivescovo, servito da due Vescovi in qualità di Diacono, e Suddiacono: nel qual tempo stiedero accese candele in gran numero dal corno destro dell’altare. Letto che fù l’Evangelio i Cherici presero a muovere alcuni sonagli, posti nell’estremità d’alcuni bastoni lunghi cinque palmi; ed a quel suono cantavano, ed Ecclesiastici e Secolari. Consecrato il pane, un de’ Vescovi tolse il Calice da una finestrina, e portatolo intorno all’altare, ve lo posò sù, dicendovi qualche orazione. Indi ripigliatolo il Sacerdote, col pane sopra, voltossi al popolo (il quale subitamente prostrato a terra cominciò a battersi il petto) dicendo: questi è il Signore, che ha dato il suo corpo, e sangue per noi. Rivolto poi all’altare assunse il solo pane bagnato nel vino: e sceso appiè del Coro, col pane e calice nelle mani, disse, tre volte (ripetendolo altrettante il Popolo) Io confesso, io credo, che questo è il corpo, e’l sangue del Figliuol di Dio, [p. 142 modifica]che toglie i peccati del Mondo, e che non solo è nostra salute, ma anche di tutti gli uomini. Ciò fatto comunicò, col pane parimente bagnato nel vino, eziandio i fanciulli di due, e tre anni; nulla pensando, che potevano rigettarlo.

Nel calice eglino non pongono acqua, perche dicono che il Signore nell’istituzion della Cena lo beve puro. Il pane è azzimo, e lo fà il Prete nel giorno precedente, della grandezza delle nostre ostie.

Ne’ tempi di Quaresima non comunicano, e solamente nella Domenica, dicono una Messa con voce bassa, senza che si vegga il Sacerdote, pronunziandosi alto il solo Vangelo, e Credo. Nella stessa guisa si celebra il Giovedì santo, ed allora chi vuole può comunicarsi: nientedimeno usano presso che tutti di farlo nella Messa, che si dice il Sabato, prima del tramontar del Sole; dopo della quale si può gustare, olio, butiro, ed uova.

Il dì di Pasqua al far del giorno si dice un’altra Messa pur bassa, in cui si dà la comunione; e quindi è permesso a ciascheduno il mangiar carne, purche sia di animale ucciso lo stesso giorno. In tutte le loro quattro feste principali, cioè la [p. 143 modifica]Natività, e l’Ascensione del Signore, l’Annunziazion della Vergine, e S. Giorgio, hanno otto giorni di digiuno, in cui non ponno assaggiare carne, uova, pesce, butiro, ed olio. V’è taluno sì di voto di S. Giorgio, che stà tre giorni, e talvolta cinque a non prendere alcun cibo.

Volendo alcuno incamminar suo figliuolo per l’Ordine Ecclesiastico, lo conduce dal Prete; e questi dicendo alcune orazioni gli pone addosso la pianeta. Questa cerimonia si dee fare sette volte in molti anni: dopo la quarta, se il giovine non volesse farsi monaco, può prender moglie; e se ella avvien che muoia, e ne voglia torre un’altra, non puote divenir Sacerdote. Compiuti i diciotto anni si fa la settima; conducendosi vestito di tutti gli abiti Sacerdotali, da un Vescovo, o dall’Arcivescovo istesso, nella Chiesa, dove conviene che abbia servito un’anno prima.

I Preti cinque giorni prima di dir Messa, ed altrettanti dopo non ponno mangiare e bere con le loro mogli: e tanto essi, quanto i Monaci deono stare in Chiesa i primi cinque, senza toccare alcun cibo con le mani; e i susseguenti non ponno mangiare che uova, e riso cotto [p. 144 modifica]nell’acqua col sale.

La vita degli Arcivescovi è molto austera; imperocchè alcuni non mangiano carne, nè pesce se non quattro volte l’anno, e nel rimanete sempre legumi. Tanto essi, quanto tutti gli altri Ecclesiastici, e secolari hanno sei mesi, e tre giorni di digiuno l’anno, in cui non mangiano che solo pane, e qualch’erba cruda; cibandosi i lavoratori al più di legumi conditi col sale, e con olio di noce, se vogliono: carne non ne mangiano eziandio in infermità gravissime.

Il Battesimo si amministra la Domenica (quando prima non vi fusse pericolo di morte) in questa guisa. E’ portato il bambino in Chiesa dalla Levatrice, ed ivi dopo alcune preci del Sacerdote, tuffato nudo nell’acqua, vien riposto nelle mani del Compadre. Quindi il Prete uniti due cordoni, un di cottone, l’altro di seta rossa (in segno dell’acqua, e del sangue, che uscirono dal costato del Signore) glie lo liga ai collo; e poi ungendogli con Olio Santo la fronte, dice: Io ti battezzo in nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito-santo; seguitando ad ungerlo per tutte l’estremità, sempre ripetendo le stesse parole. [p. 145 modifica]

Finito il Battesimo, il Compadre con due candele accese nelle mani, e’l bambino sulle braccia, vien fuori la Chiesa; ed accompagnato da varj suoni, lo mena in casa della Madre; dove dalla medesima ringraziato, le bacia la sommità del capo. Quanto al nome, s’impone al battezzato quello del Santo, che accade in quel dì nel Kalendario, o pure del primo che ha da venire. Si fa poscia un lauto banchetto, giusta la qualità delle persone, dove intervengono gli amici, e parenti, e tutti i Preti, e Monaci della Parrocchia. Chi vuole evitar questa spesa, (ch’è pur grande) finge che il bambino sia moribondo, e lo battezza in giorno feriale. Maggiore incomodo si è, quando le donne partoriscono ne’ 15. giorni precedenti al santo Natale: perche dee differirsi il battesimo sino a quel dì, che cade a’ 3. di Gennaio, secondo il nostro computo; seguitando essi il vecchio Kalendario senza i dieci giorni intercalari. Si fanno allora sul fiume Sanderù tre tavolati coperti di tappeti, ed in quello di mezzo, come un’altare; e la mattina della Natività, prima di nascere il Sole, standovi su tutto il Clero Armeno di Zulfa, e de’ luoghi convicini, con le loro [p. 146 modifica]vesti, Croci, e bandiere; si bagna tre volte la Croce nel fiume, gittandovisi ciascheduna volta dell’olio santo: poi detta l’orazione del Battesimo, il Prete tuffa il bambino nell’acqua fredda del fiume, colla solita formola di parole, ed altre cerimonie.

L’olio santo, di cui si servono, non è di oliva, ma di varj fiori (spezialmente del fior di Baradiso, detto da essi Belassan-Jaghe), e cose aromatiche. Si consagra la vigilia della Natività della Vergine: e poi il Patriarca lo distribuisce per tutta l’Asia, Africa, ed Europa.

Estendo stato invitato in Zulfa ad uno sponsalizio, che dovea farsi il Giovedì 5. vi andai di buon’ora; restando a desinare col Padre Rettore de’ Gesuiti. Andammo poscia (avuto l’avviso) in casa, dello Sposo, dove era gran numero di suoi parenti, ed amici. Egli postosi a cavallo, con grande accompagnamento, andò a prender la Sposa; la quale parimente sopra un cavallo riccamente ornato di gemme, salita; s’incamminarono insieme al Tempio, seguiti da molti parenti a cavallo, con torchi accesi nelle mani. Smontarono avanti la Chiesa, ed andarono dritti all’altare; dove unitisi [p. 147 modifica]fronte con fronte, il Vescovo lesse in un libro appoggiato sulle loro teste; e richiestigli della loro volontà, gli benedisse, al suono di tamburri, ed altri barbari strumenti. Udita quindi la Messa, se ne ritornarono col medesimo ordine.

Si dee avvertire, che gli Armeni maritano le loro figliuole in età tenera, quasi in fasce, per tema che il Re non se le tolga nell’Aram. Il contratto sogliono farlo le madri, facendone poscia partecipi i padri. Conchiuso ch’egli è, và la madre dello sposo, con due donne di età ed un Prete, in casa della madre della sposa, e presenta l’annello da parte del suo figliuolo: questi vien poco dopo, e dal Prete vien benedetto, insieme colla fanciulla: dandosi poscia a tutti da bere per allegrezza. Seguiti questi sponsali, dee lo sposo ogni anno in tempo di Pasqua, mandare alla sposa una veste, giusta la di lei qualità. Or quando s’han da celebrar le nozze, tre giorni prima il Padre del marito manda un pasto in casa della nuora; dove si truovano i congionti di amendue le parti, le donne in uno, e i maschi in un’altro appartamento. Il giorno seguente lo sposo manda un’abito alla sposa, e poi và a prendersi quello, [p. 148 modifica]che gli dà la suocera, o la più vecchia parente; che dee vestirlo anche la prima volta.

Quando muore un’Armeno, il Mordisciu, o lavamorti prende dalla Chiesa un vaso d’acqua benedetta, e lo versa nella piscina, dove hassi a lavare il cadavere. Lavato che l’ha, si piglia quanto gli ha trovato addosso, e lo riveste d’una camicia bianca, e d’altri panni lini tutti nuovi; ponendolo di più in un sacco di tela anche nuova, di cui si cuce l’apertura.

I Preti poscia conducono il corpo (accompagnato da tutti i parenti con candele accese nelle mani) nella Chiesa avanti l’altare; e detta da un Sacerdote qualche preghiera, gli pongono le candele all’intorno, e così lo lasciano tutta la notte. La mattina, detta la Messa, con lo stesso accompagnamento si reca avanti la porta dell’Arcivescovo, o Vescovo del luogo, acciò dica il Pater noster, per l’anima del defonto. Ciò fatto, si porta il corpo nel cimiterio, cantandosi dal Vescovo e Preti diverse orazioni per lo cammino, sino che sia posto nella fossa. Allora il Vescovo preso un pugno di terra glie lo butta su, dicendo tre volte: Tu sei venuto di terra, e ritornerai terra; [p. 149 modifica]restati costà sino alla venuta del Signore: e dopo s’empie la fossa. I parenti, e gli amici nel ritorno a casa, truovano apparecchiato un buon desinare: e nelle case bene agiate si dà per sette giorni da magiare a’ Preti, e a’ Monaci.

Morendo un Vescovo, oltre le riferite cerimonie, finita la Messa se gli pone nelle mani una carta, con queste parole scritte: Ricordati, che sei venuto di terra, e ritornerai terra. Se muore uno schiavo, il padrone scrive in una simil carta, che non ha dispiacere, che sia libero, e che gli dona la libertà. Se alcuno s’uccide volontariamente, non lo fanno uscir per la porta della casa; ma rompono il muro, e lo sotterrano senza niuna cerimonia.

La vigilia di Santa Croce vanno poi uomini, e donne al cimiterio, con buona provvisione; e vi si trattengono tutta la notte, un poco piangendo, un poco mangiando e bevendo allegramente: nè vi è povero nella Città che si attenga di farlo.

Per conchiusione di questo capitolo dirò, che gli Armeni ritengono costantemente i loro antichi costumi, e la Cristiana Fede; non ostante le infinite [p. 150 modifica]persecuzioni avute da’ Maomettani. Ben pochi sono stati coloro, che hanno abbracciata la Religione di Maometto, occecati dall’interesse; imperocchè al rinegato si concede tutto l’avere de’ parenti, eziandio quello del padre, il quale convien che poi viva colle miche del figliuolo.