Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. II/Libro I/VII

Cap. VII

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CAPITOLO SETTIMO.

Funerali di Scia-Selemon Re di Persia,

Sagrificio del Cammello, origine, nozze,

esequie, religione, ed abito de’ Gorì.


S
I seppe il Mercordì 21. che il Re s’era infermato, o più tosto peggiorato delle continue indisposizioni di apoplessia, cagionategli dal soverchio vino. Egli temendo a gran ragione di sua vita, ordinò il Giovedì 22. che si distribuissero a poveri 3700. Toman; e che si spedissero gli ordini necessarj a’ Governadori delle Provincie, per liberare tutti i prigionieri del Regno.

Andai il Venerdì 23. a desinare in casa del Direttore della Compagnia Olandese, il quale mi fece infinite cortesie. Il Sabato 24. andai a caccia, ed uccisi gran numero di colombe, di cui son piene quelle campagne.

Essendo andato la Domenica 25. a udir la Messa da’ PP. Carmelitani Scalzi, riseppi dal P. Elia, che il Vert-abiet colla Tua potenza, avea renduta vana ogni opra de’ Cattolici, per lo ristabilimento della loro Missione in Zulfa. Il Lunedì [p. 122 modifica]26. non avendo altro che fare, andai a diporto col P. Priore, ed alcuni Religiosi del nostro Ospizio: e’l Martedì 27. si sparse novella, che il Re stava agonizante. Venne il P. Elia il Mercordì 28. a visitarmi, e a dirmi, che non avendo più rimedio la loro causa, bisognava proccurare attestati di tutto l’accaduto, per aver da’ Principi Cristiani d’Europa lettere di raccomandazione alla Corte di Persia.

Il Giovedì 29. si pubblicò la morte del Re circa mezzo dì, vedendosi gli Eunuchi, e’l Kilar-Agasì (o Capo de’ Schiavi) colle vesti lacere, che è il segno di lutto appo i Persiani: alla qual novella corse il Saper-selar in palagio, con tanta fretta, che gli venne meno sotto il cavallo, e si ruppe una gamba. Quindi si portò il corpo l’istesso giorno nel giardino detto di Bag-sce-hecl Sultan; dove in un fonte di marmo fu lavato dal Casul Bascì. Costui è il Capo de’ lava morti, il quale non fa il suo mestiere, che nella morte de’ Re, e si prende per mercede 50. Toman, e gli abiti, con tutto quello, che si truova addosso al Re; eziandio il tappeto, che lo cuopre. Lavato che fu (giusta il costume Maomettano) fu posto dentro una camera, disteso sopra un [p. 123 modifica]tappeto, per trasportarlo indi a Kom nel sepolcro de’ suoi maggiori.

Fu arrestato il Medico, che avea atteso alla cura del Re, per dargli poi morte, o l’esilio; secondo il costume della Corte Persiana, per tenere nel loro dovere i Medici Maomettani. Dicevano però che questi sarebbe restato prigioniero in vita.

Si disse anche che mentre il Re stava rendendo lo spirito, confortato a ben morire dall’Axond (che è il secondo Giudice delle cose di Religione); cercò al Nabab (lor Sommo Sacerdote) una tela per esservi involto il suo corpo: dicendo, che non volea portarsi cosa alcuna da questo Mondo.

Sino a tanto che non si fece la coronazione del nuovo Re, si dispensarono a’ Mullah, e poveri mille Cangaris (o piatti grandi) di pilao dalla cucina Reale, ed altrettanti di confetture, per suffragio dell’anima del morto.

Morì Scia-Selemon d’anni 53. dopo aver regnato 30. Egli era stato innalzato al Trono sotto nome di Scia-Sofì II. ma poi avuta una infermità mortale, mutossi il nome, nella maniera che siegue. Si costuma in Persia, che quando [p. 124 modifica]inferma il Re, tutti i Signori principali, e Governadori di Provincie mandano una gran quantità di monete d’oro, dentro un bacino dello stesso metallo ingiojellato. Questo si passa sopra la testa de’ Re tre volte, pronunziando queste parole: Patscia bascena curbon olson; cioè quello danajo è sacrificato per la salute della testa Reale. Se il Re sana, si distribuisce a’poveri, con altri presenti de’ suoi servidori; se muore si pone dentro il tesoro. Gli Armeni anche essi mandano il loro danajo; però non si pronunziano le medesime parole, ma Berasad duk, cioè a dire, destinato per limosina.

Or con tutti questi presenti nulla migliorando il Re, furono malamente trattati i tre Medici, che attendevano alla sua cura; come se fusse stato in potestà loro di guarirlo subitamente. Quindi temendo gli altri di peggio, persuadettero al Re, che la sua infermità procedeva, dal non aver ben saputo gli Astrologi scegliere un’ora più propizia per la sua elevazione al Trono; e che perciò facea d’uopo in tempo più favorevole prenderne di nuovo il possesso, e cangiare nome. Essendo adunque i Persiani molto creduli di somiglianti follie, [p. 125 modifica]facilmente il Re prestò orecchio a’ loro consigli, onde fatta dagli Astrologi, e Medici sciegliere un’ora fausta, stabilì un giorno per la nuova coronazione.

Ma non potendo il Re, giusta la legge Maomettana, far quest’azione, se non dopo aver superato e discacciato alcuno ingiusto pretensore, o usurpatore della Corona; fece prendere un Gorì, che si diceva discendente dall’antica stirpe de’ Rustani (che signoreggiarono la Persia, e la Parthia) e porlo sul Trono, colle spalle appoggiate ad una figura di legno. Indi fece venire tutti i Grandi ad inchinarlo, e riverirlo come legittimo Re, sino a tanto che venisse l’ora fortunata. Giunta l’ora, nell’istesso punto un’ufficiale con la scimitarra tagliò la testa alla figura di legno, e’l Gorì fuggì via: dopo di che il Re montò sui Trono, fu salutato da’ Grandi, si cinse la scimitarra, e si pose la berretta di Sofì in testa (che sono gli atti possessivi della Corona appo i Persiani) mutandosi il nome di Sofì in quello di Selemon. Da indi in poi gli Astrologi cadettero dalla grazia del Re, e ricuperaronla i Medici.

Scia-Selemon era nato di una Giorgiana; e come che prima di salire al [p. 126 modifica]Trono, menato avea suoi giorni o fra donne, o fra Eunuchi neri, non avea potuto apprendere che crudeltà, e lascivia. Tratto dal suo genio sanguinolento, governò sul principio con soverchio rigore e severità; di cui non leggiero esemplo si è quello, che pose in opra con una sua concubina. Essendo costume (per altro Convenevole e barbaro) de’ Re Persiani collocare in matrimonio le loro concubine con persone di vil condizione (al contrario degli Ottomani, che le danno a’ principali Bassà.) Scia-Selemon diede la sua più diletta a un Gozor, o lava panni: ma dal soverchio amore che alla donna portava stimolato, se la tolse di nuovo nell’Aram; mandando in lontane parti con onorevole carica il marito, con cui già ella avuto avea sei figliuoli. Un giorno curioso, o più tosto geloso il Re dimandolla, a qual de’ due più amore portava: ed essendogli stato risposto intrepidamente, che al marito, perché vi stava in grazia di Dio; sdegnato egli comandò, che fusse gettata nel fiume. Amore s’interpose col suo barbaro genio, sicchè sospesa l’esecuzione, s’indusse a perdonarla: come anche alcuni mesi dopo, che avea comandato [p. 127 modifica]si bruciasse viva; onde di presente vive ancora nell’Aram.

Continuò questo rigore per molti anni, facendo morire per fievolissime cagioni molti Signori della sua Corte; ma datosi poscia in preda all’ubbriachezza, e a’ sollazzi dell’Aram, perdè in tal guisa l’autorità, che non avea più di Regio altro che il nome: lasciato avendo tutto il peso del governo a Mirzhà Taher primo Visir, che avea saputo occupare il primo luogo nella sua grazia. Costui era il più gran ladro del Mondo, e nulla curando della sua cadente età di 80. anni, sentendosi gagliardo della persona; ascoltava solamente chi più donava, e tal fiata si abbassava a prendere anche uno scudo. Dicevano, che interrogato un giorno dal Re, quanti figliuoli avesse, rispose, che non si ricordava del numero; ma che andato a casa glie l’avrebbe mandato in iscritto. Era montato a sì alto grado di fortuna, per esser sommamente piacciati al Re alcuni suoi versi.

Fra le altre stravaganze fatte da questo Re per l’eccessivo bere, si racconta, che un giorno trovandosi in sua presenza fra molti grandi Persiani Achbar figliuolo del G. Mogol (ricoverato sotto la sua [p. 128 modifica]protezione dall’ira del Padre) pose mano alla spada per ferire i Grandi, e l’avrebbe fatto se questi non fussero salvati colla fuga. Indi a poco tempo dimandò Achbar, che gli pareva di cotal fatto; e gli fu risposto saviamente, che egli avea gran possanza sul suo Trono. Avea assegnati a questo Principe dodici Toman il giorno, oltre l’abitazione, e’l bisognevole per la stalla.

Stimolato tal volta a far la guerra al Turco, essendo in tempo così opportuno, che meglio non poteva desiderarsi; rispondeva, che avendo una volta data la pace richiestagli, non dovea romper la fede: e replicandogli gli amici, che non perciò il Turco, terminata la guerra co’ Principi Cristiani, non avrebbe di nuovo prese le armi contro di lui; scioccamente diceva, che saria stato contento sempre che gli rimaneva Ispahan. Tai sentimenti erangli istillati nell’animo dal suo primo Ministro (stimato della Setta Turchesca) e da alcuni Consiglieri, i quali eran di parere, che quando i Principi Cristiani avrebbon tolto lo Stato a’ Turchi, non avrian mancato di dare addosso al loro altresì.

Stava nondimeno in guerra con Suboan Colican Re degli Usbeki, e con [p. 129 modifica]grave suo danno, per la cagion che siegue. Dovendo passare alla Mecca il fratello di quel Re, con la Regina, accompagnati da 3000. Tartari; primieramente non volle Scia-Selemon, che ne entrassero in Ispahan più di 200. poi essendogli stata lasciata in custodia una cassetta piena di gioje, per doverla restituire al ritorno di quei Principi; saputo che la Regina tornava senza il Cognato, morto per istrada, feccia passare per Sciràs, non per Ispahan, senza volerle mai più render le gioje.

Ritornai nel Meidan il Venerdì 30. per veder l’apparecchio de’ funerali; e trovai nella Moschea del Re gran moltitudine di poveri a divorare, non che mangiare il pilao, che loro si distribuiva per l’anima del defonto.

Desinai la mattina coll’Ambasciador di Polonia, che m’invitò ad esser di sua compagnia nella visita del nuovo Re; ciò che mi fu sommamente caro, per poter vedere il palagio. La seguente notte all’ora settima, trascelta dagli Astrologi come felice, dovea tagliarsi il drappo per la cubaya, o vede, con cui il Re dovea esser coronato.

Il Sabato ultimo del mese fu vietato [p. 130 modifica]a chiunque si fusse di partire dalla Città, se prima non seguiva l’acclamazione. Gli Ambasciadori stiedero confinati in casa; e al figlio del G. Mogol furono poste le guardie.

La Domenica primo di Agosto circa le 14. ore si fecero l’esequie. Precedevano cento fra cammelli, e muli carichi di cose dolci, ed altro, per darsi da mangiare per lo cammino a mille persone, che l’accompagnavano. Veniva quindi il cadavere dentro una gran lettiga coperta di drappo d’oro, e portata da due cammelli, ch’eran menati dal Nazar, o Maggiordomo del Re. Allato andavano due servidori, bruciando i più preziosi aromi dentro due bragiere d’oro; e gran moltitudine di Mullah con strepito grande, dicendo le loro preci. Seguiva appresso un’altra lettiga coperta di pano rosso e verde, per servire in caso che si rompesse la prima: e quindi tutti i Grandi della Corte con le vesti squarciate, ed a piedi; fuor che l’Atmath-Dulet, al quale fu permesso d’andare a cavallo, a cagion di sua vecchiezza. Dovunque passava si sentivan pianti, e lamentevoli strida de’ sudditi; ingrossandosi frattanto con gran confusione l’accompagnamento, [p. 131 modifica]che giunse sino a dieci mila. Fù portato in fine un miglio lontano dalla Città nel giardino di Bax-Sofì-Mirzà, dove io andai a vederlo. Lo trovai dentro la lettiga circondato da’ medesimi Mullah, sotto una gran volta. Non molto dopo venne il Kilar-Agasì a dispensare il pilao a quei, che doveano accompagnare il morto: e mangiato che l’ebbero, si posero circa mezzora di notte in cammino, per condurlo a Kom, senza veruna ordinanza, e confusamente; avendo di più tolto a’ cammelli i soliti arnesi, ed a’ cavalli i peli delle code. Dicevano, che in panando per gli Casali, i villani sarebbono usciti all’incontro, e in segno di dolore, s’avrebbon tagliate con barbari modi le carni.

Il Lunedì 2. d’Agosto, essendo la festa della Porziuncula, mi confessai, e indegnamente presi la Santissima Eucaristia.

Dovendosi poi il Martedì 3. fare il sacrificio del cammello, mi posi di buona ora a cavallo per andarlo a vedere; e passando per la casa del Deroga, trovai gran numero di persone, che aspettavano per vedere uscire la misera bestia condennata a morte. In fatti non passò un’ora, che la vedemmo menata per la cavezza da due [p. 132 modifica]manigoldi, appresso a’ quali veniva il Deroga. Io seguendo il loro cammino fuori la Città, osservi in passando il bel ponte, detto di Sciras, sul fiume Sanderù. Egli è composto di 33. archi ben fatti: sopra vi sono alte mura di mattoni coloriti, che lasciano grande spazio nel mezzo, con una loggia coperta, e picciole stradette a’ lati verso il fiume.

Giugnemmo in fine in un gran campo (che si appella Mussalà) dove erano infinite sepolture di Turchi, fatte in diverse foggie. Quivi ligate al cammello le gambe, fu disteso sul suolo; e’l Deroga postasi la beretta di Sofì (rotonda al di sopra, con un corno nel mezzo, e una picciola banda, che cade all’indietro, come quelle delle mitre Vescovali) gli diede una lanciata: dopo di che un manigoldo colla mannaia gli tagliò il capo, per presentarlo al Re. I quattro quarti furono distribuiti a’ Grandi, e’l rimanente del corpo a quei della minuta plebe, che si davano colpi mortali per averne qualche pezzetto. La pompa saria stata maggiore, se non fusse accaduta la morte del Re. Questo stesso cammello io l’avea veduto tre giorni prima passare con tre fanciulli sopra, al suono di due [p. 133 modifica]come sottocoppe, con gran compagnia di vagabondi, armati chi di scure, e chi di lancia, che lo conducevano casa per casa, a fine di aver la mancia.

Tutta sì fatta cerimonia, o superstizione, si fa ogni anno da’ Persiani in rimembranza del sacrificio di Abramo, che dicono volesse egli fare, non d’Isac, ma d’Ismaele; e che Dio vi mandò un cammello, non un montone. Ciascheduno in quel giorno mangia di quella carne (se può) con grandissima divozione; uccidendo oltreacciò in propria casa montoni, agnelli, e polli in gran numero, per solennizar cotal festa: di questi animali non mangiano i Cristiani per le superstiziose parole, che pronunciano in uccidendogli.

Passai poscia in Zulfa a veder la Casa de’ Padri Gesuiti; e vidi per istrada in una campagna le sepolture degli Armeni, assai ben fabbricate. La Chiesa de’ Gesuiti era bene intesa, benché picciola, e ben dipinta all’uso di quei paesi. Hanno un’ottimo giardino, e vigna; e col tempo staranno assai comodamente, se il Vert-abiet gli lascierà per gli fatti loro.

Un Padre Gesuita Francese mi menò quindi a vedere il Casale de’ Gori, [p. 134 modifica]annoverato da alcuni Scrittori fra gli Borghi d’Ispahan. Egli si è una strada lunga circa un miglio, alla quale non può entrarsi che dalle due estremità, e da un’altra apertura nel mezzo. E’ ornata da due file di verdeggianti Cinar, e da due canali d’acqua.

Alcuni di essi Gori mi condussero al loro Tempio, fatto a volta in forma di Croce, con le finestre nel basso del muro, chiuse di gelosie. Non vi era alcuno altare, e solo una lampana appesa nel mezzo. Montati sei gradini, mi fecero vedere, in una camera attaccata al Tempio, il lor fuoco, che alimentano con legna, e talvolta vi bruciano su grasso di coda di montone. Se avviene, che ad alcun di loro si spegna il fuoco in casa, bisogna che lo vadano a cercare al ministro del Tempio; e perciò proccurano molto ben conservarlo.

Vivono questi Gori con lavorar la Terra. Eglino quantunque ignoranti credono in un sol Dio Creatore del tutto. Venerano, non adorano il fuoco (come alcuni scrissero) in memoria del fuoco, da cui restò illeso Abramo, quando vi fu buttato per ordine d’un Re de’ Caldei (vantandosi eglino esser discendenti [p. 135 modifica]di Abramo, e degli antichi Re di Persia) onde si legge nella Scrittura Genes. c. 15. n. 7.; Qui Abraham puerum tuum de ur Chaldeorum eductum, con quel che siegue. Quindi s’inganna fortemente il Tavernier, allor che dice, intendersi Tom. I. pag. 481. questo fatto di Abram Ebraim-zer-Ateucht lor Profeta preservato dal fuoco.

I loro matrimonj si celebrano così. Venuti gli sposi avanti al Sacerdote, quelli in presenza di testimonj riceve il consentimento d’ambe le parti: poi lava loro la fronte, mormorando alcune preci; dopo di che non ponno ripudiarsi senza legittima causa. I figliuoli che nascono, gli lavano dopo alcuni giorni con acqua, in cui siano bolliti molti fiori; facendo in tanto i loro ignorantissimi Preti qualche preghiera.

Spezial cura hanno eglino di uccidere tutti gli animali immondi; avendo un giorno stabilito dell’anno, in cui uomini, e donne d’ogni età vanno per le campagne uccidendo le rannocchie. Bevono vino, e mangiano carne di porco, ma che sia cresciuto da loro, ne abbia mangiato cosa sporca. Cinque soli giorni dell’anno si attengono dal mangiar carne, pesce, butiro, ed uova: e tre altri non [p. 136 modifica]prendon alcun cibo sino alla sera. Hanno di più trenta giorni festivi de’ loro Santi.

Morendo un di loro, lo portano fuori dell’abitato, in un luogo chiuso di mura vicino la montagna. Ivi legano il morto in piedi ad un pilastro (de’ quali molti ve ne sono) alto sette palmi; e postisi a pregare per l’anima del defonto, aspettano, che vengano i corvi a mangiarselo: se questi cominciano dall’occhio destro, sepelliscono il morto, e tornano a casa tutti giulivi, avendolo per buono augurio; se dall’occhio sinistro, con somma tristizia se ne tornano, lasciandolo insepolto.

Il vestire non è nulla differente da quello degli altri contadini Persiani. Quello delle donne è molto onesto; avendo una gonna all’Italiana; e di sotto calzoni, e scarpe alla Persiana. Il capo lo avvolgono in un panno dì lino, e seta; e dalle spalle in giù ne pende un’altro ben grande, che non solo cuopre tutto il di dietro, ma ligato sotto il mento tutto il petto ancora. Hanno le narici forate, per portarvi un’annello d’oro, o d’argento poco più picciolo di quello delle Arabe.

In ritornando a Zulfa un’Armeno [p. 137 modifica]venne a farmi vedere un’orologio di nuova invenzione. Egli si era una ruota pendente da due fila ligate all’asse; e in mezzo a due legni movendosi regolatamente (per alcuno ingegno postovi dentro) segnava l’ore.