Giobbe (Diodati 1821)/capitolo 6

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capitolo 5 capitolo 7

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  E GIOBBE rispose e disse:

2  Fosse pur lo sdegno mio ben pesato, e fosse parimente la mia calamità levata in una bilancia!

3  Perciocchè ora sarebbe trovata più pesante che la rena del mare; E però le mie parole vanno all’estremo.

4  Perchè le saette dell’Onnipotente sono dentro di me, E lo spirito mio ne beve il veleno; Gli spaventi di Dio sono ordinati in battaglia contro a me.

5  L’asino salvatico raglia egli presso all’erba? Il bue mugghia egli presso alla sua pastura?

6  Una cosa insipida si mangia ella senza sale? Evvi sapore nella chiara ch’è intorno al torlo dell’uovo?

Le cose che l’anima mia avrebbe ricusate pur di toccare sono ora i miei dolorosi cibi.

8  Oh! venisse pur quel ch’io chieggio, E concedessemi Iddio quel ch’io aspetto!

9  E piacesse a Dio di tritarmi, Di sciorre la sua mano, e di disfarmi!1

10  Questa sarebbe pure ancora la mia consolazione, Benchè io arda di dolore, e ch’egli non mi risparmi, Che io non ho nascoste le parole del Santo.

11  Quale è la mia forza, per isperare? E quale è il termine che mi è posto, per prolungar l’aspettazione dell’anima mia?

12  La mia forza è ella come la forza delle pietre? La mia carne è ella di rame?

13  Non è egli così che io non ho più alcun ristoro in me? E che ogni modo di sussistere è cacciato lontan da me?

14  Benignità dovrebbe essere usata dall’amico inverso colui ch’è tutto strutto2; Ma esso ha abbandonato il timor dell’Onnipotente,

15  I miei fratelli mi hanno fallito, a guisa

[p. 439 modifica] Prova note↑ Originale↓

Sal. 39. 4. Sal. 90. 6. Is. 40. 6. Giac 4. 14.

Gen. 18. 25. Rom. 3. 4, 5. / Giob. 1. 5, 18.

c Sal . 103. 16. rf Sal . 8. 5 ; 144. 3. Eb. 2. 6.