Giacinta/Parte terza/V

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Ma dopo un mese d’intermittente tranquillità, il doloroso sospetto le si era di nuovo svegliato nell’animo; e si ritrovava daccapo martirizzata, esausta di forze. [p. 202 modifica]

— Se potessi non amarlo più! Se una mattina mi svegliassi col cuore rassegnato o indifferente!

— Ma dunque lei crede di amarlo ancora? — le disse il dottor Follini.

Giacinta gli spalancò gli occhi in faccia, come s’egli avesse tentato di strapparle un brano del cuore, vivo vivo!

Il dottore, un po’ sconcertato, si mise a sfogliare alcuni giornali di moda aperti sul tavolinetto di lacca. S’era dunque ingannato?

— Con le donne, chi indovina è bravo.

— Perchè? — domandò Giacinta, dopo alcuni momenti di silenzio.

— È inutile che glielo spieghi. Può anche darsi ch’io non abbia saputo osservar bene, o abbia scambiato un fenomeno per un altro, o mi sia lasciato fuorviare dalle apparenze... Forse...

— Dica!

— Forse... non sono più disinteressato come sul principio.

— Scherza!

— E se parlassi seriamente?

— Capisco: è una gentile maniera di rimproverarmi. Ha ragione; divento indiscreta. Ma che vuole? Nessuno sa intendermi. Lei solo mi tollera, mi compatisce, come una vera malata.

— Purchè la malattia non si attacchi al dottore!

— È impossibile; lei sa bene...

Certamente, non era possibile. Perchè s’era lasciate scappar di bocca quelle parole?

— Le donne come quella amano una volta sola; le loro forze si esauriscono nell’unica battaglia della loro vita...

E scendendo le scale, a capo chino, il dottore [p. 203 modifica] sbatteva la mazzetta fra le colonnine di ferro fuso della ringhiera.

Andrea, poco dopo, trovò Giacinta che si asciugava gli occhi.

— Hai pianto?... Che cosa è stato?

— Nulla.

— Al solito! Ti torturi per capriccio, e torturi gli altri...

Sentendolo parlare con la lingua un po’ impacciata e vedendolo pallidissimo, Giacinta balzò dalla seggiola:

— Ti senti male?

— Un leggero disturbo... di stomaco, una cosa da nulla.

Ella gli tastava la fronte:

— Come hai ghiacce le mani! Che cosa ti senti?

Andrea la guardava con gli occhi sbalorditi:

— Non so... forse quel bicchierino di digestivo... preso pochi momenti addietro... Ero già indisposto, sin dal mattino...

Si buttò sul canapè, per riposarsi, chiudendo gli occhi, sforzandosi di vincere lo sconcerto...

— Una tazza di caffè? — disse Giacinta.

— Grazie. Lasciami stare; non farmi parlare.

Ella gli sedette al fianco. Andrea restava immobile, senza neppure rispondere alle affettuose strette della mano di lei:

— Il suo stomaco indebolito rifiutava i liquori, assolutamente! Non avrebbe più ritentato. Ed ecco un’altra distrazione che gli veniva negata. Ormai non sapeva più in che modo affogare la sua noia, la sua stanchezza, la sua viltà!... Sì la sua viltà! Nessuna poteva rinfacciargliela più energicamente che non se la rinfacciasse egli stesso... Ma quel suo [p. 204 modifica] tardivo svegliarsi di dignità, ch’ei non riusciva a palesare, che mai valeva?

E quando Giacinta, aggrappandoglisi febbrilmente al collo, gli scottava la pelle del volto con le labbra di fuoco, e gli ripeteva angosciosamente: «Fingi almeno! Sappimi ingannare!» egli s’ingegnava di mentire con tanta buona volontà, che spesso arrivava fino a ingannare sè medesimo.

Non lei!

Giacinta, una mattina, aveva fatto chiamare il dottor Follini, che da una settimana non la visitava.

— Dottore, non dormo più. Mi dia nuovamente cloralio!

La voce era tremula, le mani convulse.

Il Follini le gittò addosso uno sguardo scrutatore, di scienziato all’erta:

— La crisi? Se l’aspettava da un pezzo.

— Com’è vigliacco quell’uomo! — disse Giacinta, nascondendo la faccia tra le mani.

— O dunque?

— Che importa? Dev’esser mio!... Sarà mio per sempre!

E continuava, a scatti, compiendo con l’efficacia della voce e del gesto il rapido accenno della parola:

— Potevo essere anch’io un modello di moglie... Oh, provo orrore di me stessa... Ma ho bisogno di lui. E saprò farmi amare; non sono donna per nulla: vedrà... Questo pure è un nuvolo passeggero... Mi faccia dormire, intanto. Oh! La mia povera testa riposi almeno la notte!... Lo crederà? Mi era stato detto d’una vecchia, d’una specie di maga, che prepara dei filtri d’amore (rida pure, divento superstiziosa come una femminuccia!) e sono andata da lei. Una stamberga umida e buia. Tremavo dalla paura dinanzi alla brutta megera; ma le sue parole [p. 205 modifica] ebbero, per un momento, la incredibile potenza di farmi sperare l’assurdo. E uscii di là consolata, come se la boccetta di filtro da lei datami contenesse davvero la mia salvezza... Ma la buttai via, appena giunta a casa, vergognandomi... Noi donne siamo pazze. Ci tendiamo da noi stesse una fitta rete di inganni. La colpa non è forse tutta nostra; abbiamo la testa debole. Bisognerebbe possedere un briciolo di senno di più; bisognerebbe...

E si fermò un istante, con le pupille fisse su qualcosa che pareva sfuggirle.

— Scusi. Che può importarle di tutto questo? — ella riprese con tristezza.

— Anzi, m’interessa tanto!

Nel silenzio che seguì, gli occhi di lei, gonfi di lagrime, sorridevano al dottore diventato serio e muto. Un alito refrigerante le accarezzava il viso, un senso di riposo ineffabile la ristorava.

E quando il dottore, rizzatosi a un tratto e strettale forte la mano, andò via senza dire una parola, ella non si mosse; ma guardò lungamente l’uscio dietro cui egli era sparito.

— Perchè non l’aveva conosciuto prima?

E il suo pensiero si perdeva a poco a poco in una densa nebbia, come nel sonno.