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sbatteva la mazzetta fra le colonnine di ferro fuso della ringhiera.

Andrea, poco dopo, trovò Giacinta che si asciugava gli occhi.

— Hai pianto?... Che cosa è stato?

— Nulla.

— Al solito! Ti torturi per capriccio, e torturi gli altri...

Sentendolo parlare con la lingua un po’ impacciata e vedendolo pallidissimo, Giacinta balzò dalla seggiola:

— Ti senti male?

— Un leggero disturbo... di stomaco, una cosa da nulla.

Ella gli tastava la fronte:

— Come hai ghiacce le mani! Che cosa ti senti?

Andrea la guardava con gli occhi sbalorditi:

— Non so... forse quel bicchierino di digestivo... preso pochi momenti addietro... Ero già indisposto, sin dal mattino...

Si buttò sul canapè, per riposarsi, chiudendo gli occhi, sforzandosi di vincere lo sconcerto...

— Una tazza di caffè? — disse Giacinta.

— Grazie. Lasciami stare; non farmi parlare.

Ella gli sedette al fianco. Andrea restava immobile, senza neppure rispondere alle affettuose strette della mano di lei:

— Il suo stomaco indebolito rifiutava i liquori, assolutamente! Non avrebbe più ritentato. Ed ecco un’altra distrazione che gli veniva negata. Ormai non sapeva più in che modo affogare la sua noia, la sua stanchezza, la sua viltà!... Sì la sua viltà! Nessuna poteva rinfacciargliela più energicamente che non se la rinfacciasse egli stesso... Ma quel suo