Gemme d'arti italiane - Anno I/La bagnatrice

Jacopo Cabianca

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Interno della chiesa di S. Marco in Venezia Venere che entra nel bagno

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LA BAGNATRICE

QUADRO AD OLIO

DI FRANCESCO HAYEZ

per commissione del Signor Dott. Barabani

Fantasia

Ignoto al guardo, tacito, selvaggio
S’imbosca il loco:
Appena in mezzo delle frasche un raggio
Di sole avanza päuroso e fioco,
E l’aura, sotto a le fresche ombre, serba
Recente l’erba.
Sorge, e in leni zampilli una fontana
Correndo a basso
Si allarga in un bacin limpida e piana.
E il castagno che nasce entro dei sasso
All’azzurrino specchio il color perde
E lo f

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a verde.
Gemma d’amore, incognita donzella
Dal freddo amplesso
Dell’onda emerge, e dalla fronte bella
E giù dal crine nereggiante e spesso
Piovon l’umide stille, ed a vederle
Sembrano perle.
Nell’innocenza de’ suoi quindici anni
Non ella chiude
Sotto l’ingombro de’ gelosi panni
Il paradiso delle membra ignude:
Come a sengibianza sua le ha fatte il cielo
Son senza velo.
Alla vezzosa di seder si piacque
Là dove il lito
Dolcemente calando a fior delle acque,
Quasi erboso origlier, le fece invito;
Ivi stassi, e tappeto al molle fianco
È un lino bianco.
Sovra l’un de’ ginocchi ella riposa,
Come a sgabello,
L’altra sua gamba, e colla man di rosa
Sostienla, e piega in arco il corpo snello
Mentre col picciol piè batte e divide
L’onda che ride.
Oh candide allegrezze! O miti voglie
Della fanciulla!
Un fior che più vivaci abbia le foglie
Una pinta farfalla la trastulla;
Od or pavida spia se da lontano
Sguardo profano

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Tra le fronde la scopra, or tutta arrossa
Chinando gli occhi,
Se qualche foglia dalle aurette scossa
Cadendo leggerissima la tocchi:
Al sol così la fragola arrubina
Sulla collina.
Ed or perché si affisa ed abbandona
Dalla dischiusa
Mano il lenzuolo, e il viso e la persona
Ad un’aria compon muta e confusa
Quale di chi dubbioso appena crede
A ciò che vede?
Tre volte gli occhi a sé d’intorno gira
Per meraviglia:
Tutto si ammanta a festa e tutto spira
Un piacer cui nessuno altro simiglia.
Ridon la terra e il ciel, ridon gioconde
L’erbette e l’onde.
Nato immortale da cotanto riso
Si leva e move
Un incognito spirito che fiso
La guarda e in forme caramente nove
Agita l’ali e sullo strato istesso
Le siede presso.
E poi che ogni altro senso a lei ne tolle
Con dolce incanto
Più soave del zeffiro, più molle
Che di notturno rossignolo il canto
Le sussurra all’orecchio arcana, sola
Una parola.

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La vergine per subito languore
Sente all’ignote
Gioie, mancarsi, e d’improvviso in core
Cosa le avvien che a sé ridir non puote,
Ne sa qual altra avvicinarle, o come
Suoni il suo nome.
Da quell’ora ne’ sogni e nelle care
Veglie secrete
Spesso l’arcana vision le appare,
Che l’incognito suono le ripete,
Ma in van si prova a divinar che sia
Quell’ armonia...
Morian del sole, i fuggitivi lampi
Dietro le rotte
Nuvole, e fuori per gli aperti campi
La giovinetta ritrovò la notte
Ed era seco di gentile aspetto
Un giovinetto.
Egli riguarda alla fanciulla, ed ella
Riguarda ad esso,
Quasi cercando con muta favella
La cara veste del pensiero istesso:
E così a lungo da vicin seduti
Stavano muti.
Ma poscia che la luna il suo diffuse
Raggio d’argento,
il garzon, cui l’amore audacia infuse
Ruppe il lungo silenzio, ed in accento
Qual parca che dall’anima venisse
- T’amo - le disse.

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Tremò, pianse, gelò, tutta di foco
Ella divenne;
Poi, quando alla memoria a poco a poco
L’arcana vision le risovenne,
- Voce ignota - esclamò - che udii nel bosco
Or ti conosco!

Jacopo Cabianca