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Gli Associati annui, oltre molti premi in Opere complete, Danze, Sinfonie. Fotografìe, Album di Autografi, ricevono in dono nel corso dell’anno i 24 eleganti fascicoli della
RIVISTA MINIMA ni ANTONIO OHISLANZONI
PER L’ESTERO.SI AGGIUNGONO LE MAGGIORI SPESE POSTALI
BIMESTRALI — UN NUMERO SEPARA
Esce tutte le Domeniche
REDATTORE
D I E T T 0 F( E
AVVISO
L’af>l>oiidlaiiza di materie lia j reso necessaria
per questo numero l’aggiunta d’un doppio
supplemento alla G-A.ZZETTA., elio disolito
consta di 8 pagine. Notiamo per altro clic questa
necessità di aumento gratuito di pagine è un
fatto die avviene spesso durante l’annata; così
nel passato anno gli Associati elblbero SO pagine
di regalo.
La stessa alblbondanza di materie ci lia ol>l>ligato
a differire di qualche giorno la pulddicazione
dell’ultimo fascicolo dei CAPRICCI
LE T T..E IÎ A lili die verrà spedito ai vecclii
associati insieme coll’indice delle materie e col
frontispizio dell’anno 18*7"O.
V pw LETTOR
La nostra Gazzetta, come ognun vede, inccfiiando
si abbellisce.
2 dii giornale senza colore - dicevano per
lo addietro i nostri detrattori (maestri inediti,
cantanti sciupati, suonatori incompresi). - Ed
ecco, la Gazzetta. si colorisce inaspettatamente
di un bel colore roseo-giallognolo, simbolo
di indipendenza e di spensieratezza. Convien
proprio essere spensierati fino alla
follia per prodigare a questi giorni tanto lusso
di carta e di tipi in un giornale quasi esclusivamente
dedicato alla musica.
Giorni tristissimi davvero, e avversi, quanto
altri mai, agli sviluppi di quest’arte genialissima,
che domanda orecchio pacato e cuore
tranquillo.
Non monta. Mentre il fragore incessante
del cannone e il grido quotidiano di migliaia
e migliaia di morenti fa inorridire la terra,
noi dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per
reclamare l’attenzione del pubblico verso quegli
studii che ingentiliscono ed elevano lo
spirito. Dobbiamo ricordare alle nazioni più
colte di Europa, che sembrano averlo obliato,
gli uomini non essere creati per dilaniarsi
soltanto, e massacrarsi fra loro.
Pur troppo, i nostri sforzi saranno vani.
La canaglia umana, al di sopra di tutte le
arti, ha mai sempre ammirata Varte della
guerra, non peritandosi a rivelare la ferocia
de’ suoi istinti, col denominare teatro quel
campo di eccidii e di abbominazioni dove si
compiono le battaglie.
Orbene: lasciamo pure che i cannibali ei
scherniscano. Non ei imponga il brutale sarcasmo;
soprattutto guardiamoci dal lasciarci
trascinare in quel vortice di passioni e di
lotte dove ogni senso dell’ideale e del bello
si smarrisce. [p. 2 modifica ] GAZZETTA MUSICALE DI MILANO
Noi parliamo ai cultori della musica. Se
questa non é epoca propizia alle arti, se il
mondo inferocito ei volge le spalle per accorrere
di preferenza agli spettacoli di sangue
- procuriamo noi, nel nostro isolamento,
di custodire e di alimentare la sacra fiamma
della civiltà.
Non vergognandoci della nobile missione
che ei è confidata. Non invidiamo l’atroce gloria
dei massacratori di popoli, noi che dei
popoli dobbiamo essere i civilizzatori. - Operiamo
nella solitudine e nel silenzio, finché
l’umanità, stanca e prostrata dalle carneficine,
non ridomandi ai cultori dell* arte i conforti
del bello e del vero.
Questo preludio sentimentale significa che,
malgrado i miglioramenti introdotti nella nostra
Gazzetta, e malgrado l’aumento e l’attrattiva
dei premii, non speriamo di triplicare
quest’anno i nostri abbonati, come l’anno
scorso ei avvenne.
Abbiamo obbedito a quell’eterno dettato,
della coscienza: fa quel che deci, avvenga
che può.
Il più ampio formato del giornale ei consentirà
di dar maggiore estensione alla rubrica
delle Notizie teatrali, e di pubblicare più
spesso, nelle Appendici, delle Riviste letterarie,
dei Racconti, delle Riografie, ecc., ecc.
I nostri collaboratori rimangono quei medesimi
dello scorso anno. Per la parte critica,
avremo sempre il Mazzucato, il D’Arcais,
il Filippi, l’Edwart, ecc., ecc. - La Rivista
dei teatri di Milano e le Riviste letterarie
rimangono affidate a Salvatore Farina, meno
i casi eccezionali, in cui un Matto qualunque
non entri in mezzo inaspettatamente ad agitare
la sua frusta irresponsabile.
In luogo dei due fascicoletti mensili dei
Capricci letterarii, gli abbonati riceveranno
la Rivista Minima, giornaletto bimensile di
A. Ghislanzoni. Tutte le questioni di attualità
verranno sfiorate in questo elegante periodico,
dove la politica e l’arte, la letteratura e l’aneddoto,
l’indovinello, la sciarada si alterneranno
con amenissimo effetto di contrasti. Nelle
Appendici della Rivista Minima vedrà
la luce il Dizionario umoristico-fdosofico,
rassegna critica del passato, del presente e
dell’avvenire.
Il romanzo Gli Artisti da Teatro, V Album
di Autografi ed altri doni verranno aggiunti
alla Gazzetta musicale ed alla Rivista Minima.
Cosi pel prezzo di lìi»© so, gli abbonati
avranno due giornali, l’uno artisticomusicale,
in grande formato di pagine otto,
1* altro politico-aneddotico-umoristico di 32
pagine, una cassettina di volumi...., ecc., ecc.
Tutto ciò - lo ripetiamo - senza speranza
di veder aumentare i nostri abbonati, ma solamente
per dimostrare che l’avversità dei
tempi non rallenta il nostro zelo per la coltura
e il progresso dell’arte, e per animare tutti
gli spiriti gentili a non disertare dal campo.
LA VERITÀ VERA
DIVAGAZIONE
Si diceva, in temporibus illis, die la verità non si
era mai mostrata nuda ai re — ai tempi nostri è questo
un assioma che si può applicare a tutto il mondo,
in quanto che la verità vera pochi hanno il coraggio
di dirla, nessuno d’ascoltarla! — Tutto si copre d’un
velo; le reticenze, le mezze parole sono all’ordine del
giorno!... vedete: perfino in Parlamento si vive di continue
bugie!... molte insolenze, molte sciocchezze — e
verità?... uhm, non mi ricordo d’averne sentito qualcuna
che quando viveva quel buon’uomo di Cavour!...
il quale forse è morto appunto per questo brutto peccato.
Figuratevi dunque, se in su in su verità non se ne
sentono e non se ne dicono, che razza di corbellerie si
diranno nelle cose minori della vita.
— Alto là, signor matto: a che mira codesto tuo
preambolo?.... credi forse d’esser tu la perla rara, la
fenice introvabile?.... credi forse d’aver tu il privilegio
di schiccherare le verità?.... e che tutti gli altri siano
bugiardi?...
— Oh! questo no, signor mio: dalla verità alla bugia
v’ha un bel pezzo di strada: e poi v’è modo e modo
di dire la verità: se può far piacere la si dice francamente:
se non può venir troppo accetta, la si dice a.
mezza bocca, con un po’ di zucchero e di miele: se
poi non può garbare affatto, la si sottintende, si ricorre
ai puntini...., ecc., ecc.
La verità vera appartiene a quest’ultima categoria:
capisco che non tutti i savi possono dirla: ma un matto?....
che ha da perdere un povero matto come me?...,
Tutt’al più mi si dichiarerà furioso, ed il medico mi
ordinerà 24 ore di camicia di forza, dopo di che si tornerà
all’usato trattamento di prima, precisamente come
si fa coi regolamenti del nostro onorevole municipio,
e del nostro previdente questore!
«I decret del scior sindegh de Milan
«Duren mo’ giusta dall’incœu al diman,
«Per no’ fagli tort a quij del nost questor
«Che duren malapénna dòdes or.
(Antico proverbio milanese ilei 1643).
È che la verità vera non sia cosa facile a dirsi me lo
provano gli articoli dettati dai critici musicali milanesi
a proposito della sera del Santo Stefano al teatro della [p. 3 modifica ] GAZZETTA MUSICALE DI MILANO
3
Scala: qualche buffetto di là, qualche buffetto di qua;
una dolce tiratina d’orecchi a Tizio, ed un lieve ganascino
a Sempronio — malva!, malva!, malva!...
Nè il breve sussiego dell’ufficiale Lombardia, nè le
bacchiche escandescenze del Piovani, nè la critica alT
olio di fegato di merluzzo del Pungolo, mi valgono a
persuadere del contrario.
Ai signori critici ed al colto pubblico darò un esempio:
Siete invitati a pranzo da un ricco epulone, il quale
ha fatto acquisto delle più rare e squisite ghiottonerie
del mondo: i fagiani ungheresi, il pan-duro di Roma, i
salami mantovani, le sfogliate toscane ed i filets-de bœuf,
le ostriche, i rombi, le orade, ecc., ecc., tutto, tutto è
della miglior qualità possibile; i vini sono sceltissimi
(avviso all’egregio Rovani), i dolciumi fanno venir
E acquolina in bocca al solo vederli: insomma è una
vera benedizione di Dio!... Vi sedete a tavola con un
appetito dei più formidabili.... mangiate.... e ohimè!...
tutto è insipido! freddo! perfino nauseante!... le
salse lunghe, lunghe, come il brodo dei seminani; di
più fra una portata e l’altra passa tanto e tanto tempo,
che quasi v’addormentate!...
Di chi è dunque la colpa?...
Forse di quel vostro anfitrione che ha speso somme
enormi per acquistare quanto di più prelibato v’era sul
mercato?... forse del carbone dei fornelli?... forse della
forma delle casseruole?
— Oibò! oibò! (siete voi che rispondete); la colpa
non può essere, e non è che del cuoco!.... del cuoco
che non ha saputo cucinar bene e mettere in rilievo
il gusto de’vari manicaretti, del cuoco che fu così lento
nel servire i piatti che arrivarono in tavola freddi, del
cuoco che non cucinò appuntino le carni, i pesci, ecc.
Mò bravi, signori miei, avete ragione.
7 0 7 O
Mettiamo al posto d’un bel fagiano la Fricci, al posto
del pan-duro di Roma il Tiberini, a quello dei tortellini
bolognesi la Pozzi-Branzanti, a quello de’salati
mantovani il mio buon amico Collini, ed al posto delle
squisite acquavite viadanesi l’altitonante Maini, e così
via fino alle salse che rappresentano i cori, l’orchestra,
il vestiario, ecc., ecc.
Tutta questa è roba buona!... può darsi che ad un
artista non si adatti troppo la parte, ma in fin dei
conti quando si è Tiberini, momenti felici d’ispirazione
e di canto se ne trovano sempre. I cori hanno voci
potenti, belle e fresche: appartengono per la maggior
parte a quelli oramai famosi del teatro Comunale di
Bologna: e così pure i professori d’orchestra scritturati
in sostituzione ai nostri buoni amici, che quest’anno
giocarono ai capricci!!...
(Pur troppo il noto e vecchio adagio «nessuno è indispensabile
a questo mondo» s’applicò anche ai renitenti
alla leva d’orchestra 1870-71; ed i nuovi artisti
non sono da meno dei vecchi, in quanto che diedero
prove del loro valore in altri primari teatri).
Come va dunque che con tutto quest’assieme, innegabilmente
buonissimo, con scene e vestiario sfarzosi,
magnifici, V Africana ebbe un successo de’più glaciali?
la musica apparve noiosa, lunga, slegata?! povera
Africana! guai a te se ti presentavi in tal modo per la
prima volta!.... potevi dormire addirittura il sonno eterno,
senza ricorrere all’ombra del Manzanillo.
Di chi la colpa?
— Del cuoco, diamine, di nissun altri che del cuoco —
ed il cuoco del teatro della Scala è il signor maestro
Terziani.
E qui cade acconcio il dire finalmente questa benedetta
verità vera! E si può e si deve dirla ad un
egregio maestro come è il sig. Terziani, il quale da
artista coscienzioso e che ama e rispetta troppo Tarte
si persuaderà che il matto non è poi tanto matto!!...
L’essere maestro e profondo conoscitore di musica, non
implica la qualità di direttore d* orchestra: il signor
Terziani è un buon maestro certamente, conosce profondamente
l’arte, ma non è per questo il direttore
d’orchestra che vuoisi in un teatro di tanta importanza
come la Scala.
Le qualità necessarie per essere un buon direttore e
concertatore sono tali e tante che difficilmente si riscontrano
in una stessa persona: due soli hanno fama
grandissima ed incontrastabile e sono il Mariani ed il
Costa: altri pure brillarono di vivida luce, ma non ebbero
campo di misurare le loro forze in teatri di primo
ordine e con mezzi potenti, come ad esempio (per non
citarne che due): il Bassi, direttore e concertatore, ed
il Fumi, direttore; il primo è oggimai naturalizzato
russo, e l’altro ebbe il talento di fare quattrini in America,
ed in breve tempo.
Le qualità positive del signor Terziani non compensano
le sue qualità negative che sono: incertezza nell’attacco
dei tempi, coloriti insignificanti, mancanza
assoluta di brio: i tempi o larghi e slombati, o troppo
stretti e precipitosi; non mai raggiunta T interpretazione
intuitiva!... epperò fallito T effetto ideato dall’autore!...
Gli artisti sono completamente abbandonati a sè
stessi, giacché il Terziani legge continuamente la partitura,
o si sbraita a destra ed a mancina in movimenti
marcatissimi, mentre la bacchetta segna circoli viziosi,
in modo che pare un vascello sbattuto dalle onde di un
mar procelloso. Questo movimento ondulatorio è causa
principale dell’esecuzione incerta, bislacca, senza efficacia
che si ode da qualche tempo alla Scala.
Qualcuno mi citerà le famose 16 battute all’unisono!...
e gli applausi ed i bis con cui vennero accolte.
Mettiamo per un momento che T effetto prodotto da
queste battute sia tutto merito del direttore: ma signori
miei, per sole 16 battute riescile bene, mette il conto
di udirne delle migliaia riuscite male?... Felici voi se
vi accontentate di così poco!...
Ma non si può ammettere che un effetto puramente
acustico, immancabile quando v’è un certo numero di
buoni archi, sia merito speciale del direttore: il primo
dilettante di musica che capiti in teatro, può andar francamente
a dirigere le 16 battute!.... perfino il povero
matto è certo di fare un bis!... forse il primo e l’ultimo
in vita sua.
Queste parole, il so, mi susciteranno contro rancori
grandissimi!... recriminazioni interminabili!... lo so, lo
so, e mi aspetto che il dottore venga a legarmi come
un... salame. Ma vivaddio, matto fin che volete, ma
senza peli nella lingua: la verità vera si dica finalmente
una buona volta!... Il nostro teatro della Scala
rappresenta interessi troppo vitali, troppo generali, perchè
non se ne debba parlare seriamente: non basta il [p. 4 modifica ] 4
GAZZETTA MUSICALE DI MILANO
dire che il tale od di tal altro spettacolo non è ben
riescilo: bisogna indagarne le cause, ed accennarle coraggiosamente,
anche a costo di ferire l’amor proprio
di qualche brava persona. - E poi i soli direttori d’orchestra
saranno inviolabili?... Se un pittore espone un
quadro cattivo, non vedo che gli si usi tanta cortesia,
e lo si grida ai quattro venti in tutte le appendici.
Dissi più sopra che queste mie parole susciteranno
dei rancori!... ora, pensandoci meglio, non mi stupirei
che comparissero anche quelle care insinuazioni maligne,
che sono tanto in voga a’ giorni nostri!... E vero
che ad un matto, anche le insinuazioni maligne possono
fare poco danno!... ma voglio io stesso smascherarle
prima. Non mancheranno certamente coloro che
mi accuseranno di avere in pectore qualche amico direttore
d’orchestra, e di volerlo far salire sul trono
direttoriale della Scala!...
Prima di tutto rispondo: se questo fosse vero, e se
Uamico in pectore fosse un ottimo direttore, che male
adunque vi sarebbe? quale il danno all’impresa, al pubblico,
all’arte?...
Davvero è difficile il rispondermi: a meno che non mi
si rimproverasse che un danno ne verrebbe al maestro
Terziani; ma anche questo non esisterebbe o sarebbe
rimediabile, giacché esso si è acquistato già bellissima
fama su altri teatri, come ad esempio Padova, Bergamo,
ecc., ecc.: e nella capitale Roma, sua patria,
ove certamente è desiderato. Che le sue belle qualità
non sieno sufficienti per un teatro come la Scala, non
vuol dire ch’esse non sieno più che bastanti in teatri
di minor vastità, e dove vi sono minori esigenze.
Ma il matto, d’amici in pectore non ne ha proprio:
s’egli vedesse domani sul seggio direttoriale della Scala
il pasticciere dell’offelleria Cova, e che questi ottenesse
magnifici effetti dalle masse, griderebbe: Viva! con
tutto il cuore e con tutta l’anima.
Pensi adunque chi tocca a rimediare a questa lacuna:
per me sono contento d’aver vuotato una buona
volta il sacco, che davvero mi pesava di troppo sulle
spalle.
Ho parlato con coscienza, con convinzione, senz’altro
di mira che il bene del nostro gran teatro, che con
un poco di cura e di buon senso artistico potrebb’essere
ancora il primo teatro del mondo.
Questa è verità vera!...
HONNY SOIT QUI MAL Y PENSE.
Jl ^Iatto
LA FORMAZIONE DEL PROGRAMMA
COMMEDIA IN UN ATTO ED UNA SCENA
L’azione ha luogo in Milano nella sala della Segreteria della
SOCIETÀ DEL QUARTETTO
All’alzarsi del sipario gli Onorevoli membri della Presidenza della Società
sono seduti intorno ad un tavolino coperto di carte: nel mezzo sta l’egregio
Presidente Prinetti col relativo campanello.
PRESIDENTE
(si alza, si soffia il naso - tosse, sorride, sputa)
Signori garbatissimi - aperta è la seduta.
Il cavaliere Chiusi - egregio segretario,
Della seduta odierna - ne leggerà il sommario.
CHIUSI
All’ordine del giorno - per oggi ventinove;
Programma d’un concerto - e relative prove;
Nome, cognome e patria - di dodici signori
Che voglion farsi iscrivere - fra i soci protettori:
Avverto che al contrario - diventano più rari
Coloro che s’iscrivono - come soci ordinari;
Del resto è naturale - che in tempi tanto tristi
Economi si facciano - i nostri bravi artisti.
Propongo, miei signori, - che in una volta sola...
presidente (interrompendo)
Permetta d’osservarle - che ancora la parola
Ella non ebbe a chiedere - ed entra già in quistione;
Non dubito, anzi credo - ch’ella avrà pur ragione,
Ma intanto è molto meglio - che in ordin procediamo,
E quindi dal programma - per ora incominciamo.
POSS
Domando la parola! ERBA.
Domando la parola! pesta.ga.lli
(con forza)
Domando la parola! PRESIDENTE
Davvero mi consola
Veder tanto interesse, - tanto focoso zelo!...
A quelli che ei accusano - d’esser come di gelo
Allora che si tratti - d’artisti italiani,
E questa una rispósta - che li dichiara insani.
chiusi (con vivacità)
Insani, mentecatti - son sempre, miei signori,
Color ch’osano erigersi - a farne da censori:
Anzi per meglio dire, - dire vorrei...
presidente (come sopra)
La prego,
Ella dirà benissimo - e questo non lo nego;
Ma lasci ch’ora parli - qualcun degli altri membri,
Che ha pur la lingua in bocca - per quanto a lei non sembri.
(Il segretario Chiusi dà segni di stupore)
SALA
Del fenomeno strano - non v’è a restar confusi:
Ella non se n’è accorto - perchè hanno i labbri chiusi.
PRESIDENTE
Dunque do la parola - al signor Poss.
POSS
La prendo
Onde mostrar che anch’io - di musica m’intendo,
E che non temo alcuno - qual mio competitore...
Diamin, sono o non sono - aneli’ io compositore?
Dopo la bella festa - fatta pel gran tedesco,
Dopo i solenni brindisi - gridati intorno al desco,
(In cui, modestia a parte, - ei disser benemeriti
Di tutti i nostri soci - e futuri e preteriti)
Crediam non sia possibile - (anzi ne siamo certi)
Che dare ancor si possano - altri buoni concerti.
Tutta quell’altra musica - è roba oramai vieta;
Dunque non v’ha rimedio: - si taccialo si ripeta
Il programma sublime, - che accese tanto gli estri,
In onor di Peethoffen - maestro dei maestri.
STRUTH
Appoggio la proposta - con penna e con matita.
PRESIDENTE
Se si va di tal passo - non si fa più finita!
POSS
Perdoni: io la finisco - con tre, con due parole:
Peethoffen solo è immenso - splendente come un sole,
Il resto è un nulla, un soffio!... - direi, se mi è concesso:
Il resto è un astro minimo - che brilla per riflesso.
Verdi, Rossini, eteetera - son raggi di pianeta,
Se pur la coda effimera - non son d’una cometa;
Ma è vano in ciò l’insistere - noi tutti siamo intesi
A proclamar quel grande - dell’arte la sintèsi.
SALA.
Preferirei lo sdrucciolo. STRUTH
E sdrucciolo pur sia;
S’intèsi troppo piano - la colpa non è mia.
Torno, signori, a casa - lasciando il resto a parte,
E proclamò Peethoffen - la sìntesi dell’arte.
Bis, dunque, il centenario; - pensin che a questo patto
Io posso anche una volta - prestare il mio ritratto!...
Ormai, non c’è che dire, - trionfa la Germania,
Voler quindi combatterla - è "proprio folle!insania:
E il prova, in fede mia, - chi sta là sulla Senna!
STRUTH
Appoggio la proposta - con matita e con penna. [p. 5 modifica ] GAZZETTA MUSICALE DI MILANO
ERBA
Ed io codesta idea - davvero non l’approvo Nò
per quanto si dica - dal mio parer mi movo.
Adoperar l’orchestra - va ben per qualche volta,
Ma poi tanto frastuono - ristucca chi l’ascolta:
La vera e buona musica - fu scritta sol pel piano;
Così non s’ha a ricorrere - al solito baccano Bando
alla piena orchestra, - che reca tanto impiccio:
La sinfonia non vale - la fantasia, il capriccio.
Che ambrosia! d’un buon piano - gustare i dolci suoni,.
E le brillanti scale, - le belle variazioni!
E poi la è cosa vecchia, - da tutti la si sa,
Che il piano rappresenta - la nostra civiltà.
SALA
Si aggiunga che i Prussiani - preser col piano i forti...
E i Prussian son civili - lo sanno i vivi... e i morti.
ERBA
Dunque per farla corta - senza farmene un merto,
Propongo che nel prossimo - nostro grande concerto,
Si suoni tutta musica - per quattro pianoforti!
SALA
Oh! Dio! se ciò s’avvera - siam bell’e tutti morti.
E questo un piano in erba. erba
(con fòrza)
Protesto!
pestagalli (con maggior forza)
Anch’io protesto!
Prima di dar concerti - vuoisi pensare al resto!
Si fabbrichi un locale: - la nostra società
Ha d’uopo d’una sala - che sia sua proprietà.
SALA
Che sala va cercando?... - è desto, o parla in sogno?
Dove son io, di sala - non ve n’è mai bisogno!
pestagalli (riscaldandosi)
Non creda, mio signore, - di farmi ammutolire
L’arguzia de’ suoi motti - coll’obbligarmi a udire.
Ripeto ch’è ornai tempo - che cessi il provvisorio,
Noi siam tutti basati - proprio sull’illusorio:
Ripeto ch’è ridicolo - veder di quando in quando
Andar attorno i soci - la sala mendicando!...
Sappian, signori miei, - non sempre c’è la bazza:
E qualche giorno poi - ei troveremo in piazza.
SALA
Potremo ben ricorrere - allora alla parrucca.
pestagalli (impazientito)
Davver con questo spirito - direi che la mi stucca!
PRESIDENTE
Si calmino, signori, - nè usciam dalla quistione;
Parliamci un po’ sul serio, - parliamci colle buone.
Per fare un bel programma - siam qui adunati apposta.
STRUTH
Con matita e con penna - sostengo la proposta.
ALBERTI
Il nostro buon Pollini - non vedo qui presente.
SALA
Egli ha cento ragioni; - sarebbe un imprudente
Se in questi giorni sacri - all’orgia, all’allegria,
Andasse vagolando - per questa o quella via.
Coll’appetito monstre - dei milanesi in festa
Risicano i pollini - di perdere la testa!
PISA
Un programma... un programma... - sta ben, signori cari,
Ma faccio una dimanda: - come stiamo a danari?
Non facciam troppo presto - per non far conti in fallo:
Vorrei su tal quistione - porci ben a cavallo.
SAI.A
Porci a cavallo!... appoggio. - Questo, ne sono certo,
Fia spettacol più grato, - più raro d’un concerto.
Simonetta (con entusiasmo)
Cavallo!?... eccomi qua - con elmo, lancia e spada!
Nè temano, signori, - che da cavallo io cada.
Offro con tutto il cuore - questo mio personale:
Mi fece suo dragone - la Banca Nazionale.
PRESIDENTE
Riconoscente accetto - la sua gentile offerta:
S’abbia quindi signore, - le grazie che si merta.
Ma intanto ho rimarcato - che il Vice-Presidente
Cavalier Mazzucato - non disse ancora niente.
MAZZUCATO
A dire il ver, signori, - tacer mi giova, ed oso
Chiamare il mio silenzio - un silenzio prezioso,
In quanto che tacendo, - da osservatore serio,
Delle opinioni varie - posso farmi un criterio;
Però, se mi permettono, - ancor preferirei
Lasciare un po’ discorrere - gli altri colleghi miei.
CHIUSI
Mi pare che parole - ne fur dette abbastanza
Senza nulla concludere... - intanto il tempo avanza
Ed io non ho potuto - dir loro il mio pensiero
Che nel cervello scalpita, - indocile corsiero;
Così, con mio stupore, - contro il costume usato
Udii molti a parlare... - ma io non ho parlato.
Mi spiace: non potei - dir loro da principio,
Che impazienti mi attendono - al nostro municipio:
Inoltre da stamane - perfin mi si dimanda
Presso la Direzione - di questa nostra banda:
Nè basta: un po’ più tardi - mi toccherà d’andare
A confortar d’un guardo - la Banca popolare Con
tanti e tanti impegni - non vo’ lasciare intanto
Dimentica la scuola - popolare di canto...
Infin, tutti mi cercano, - mi vogliono, mi bramano,
Factotum di Milano - di qua, di là, mi chiamano.
Non posso farmi in quattro: - m’usin la cortesia
Di troncar la seduta, - lasciandomi andar via.
PRESIDENTE
Aspettino, signori, - restino un poco ancora...
Cinque minuti chiedo, - suvvia, non chiedo un’ora!
SALA
E noi che speravamo - d’essere liberati!...
presidente (con sorriso paterno)
Ma, se lo son dal carcere - saran da me alloggiati.
SALA
Ma infin, questo concerto - daranno, o non daranno?
Con certi lo combinano, - con altri non lo fanno,..
POSS
Si replichi Peethoffen PRESIDENTE
Oh! sì, se fossi matto!
ERBA
Ci voglion pianoforti! poss
(indignato)
Ci vuole il mio ritratto!
pestagalli (violentemente)
Occorre far la sala! Pisa
(persuasivo)
Ci vogliono danari!
CHIUSI
Mi lascino parlare - colleglli miei preclari!
STRUTH
Con penna...
pestagalli (interrompendo)
Basta, basta, - ei fa diventar gialli!
STRUTH
Permetta ch’io le tica - golleca Pestacalli...
SALA
Ma bene!... ei lo dichiara - con tal prezioso dato
Dell’ottimo Briziano - socio cointeressato!
MAZZUCATO
Ora che i lor pareri - ho proprio ben sentito
Tacciano un po’, m’ascoltino, - ho un bel concetto ardito.
Credo prima opportuno - dir loro le ragioni
Per cui stimo prudente... SALA
Si suoni o non si suoni,
Io me ne vado.
ERBA
Anch’io. MAZZUCATO
Ma se nessun mi ascolta!...
CHIUSI
E meglio che il programma - si faccia un’altra volta.
POSS
Ma dunque il gran Peethoffen - si replica sì, o no?
Che dirà mai Filippi? PRESIDENTE
Codesto poi noi so,
Ma molti ornai partirono - e in numero non siamo:
Fia ben che la seduta - per ora proroghiamo. [p. 6 modifica ] STRUTH
Finché c’è qualcheduno - non me ne voglio andare:
Con penna e con matita - qualcosa vo’ approvare.
PRESIDENTE
Poiché nessun risponde, - poiché nessuno ascolta,
Dichiaro ad alta voce - che la seduta è sciolta.
AL PUBBLICO
La colpa non è mia - se nulla s’è concluso:
Io ne sono stordito - e mi si allunga il muso.
Bisogna confessare - cld è proprio un gran peccato:
Aveva la seduta - sì bene incominciato!...
Ala poi che alcun programma - non fu ancor messo insieme,
E di riudir Beethoven - non ei riman la speme,
Non voglio che per nulla - vi siate tutti mossi;
Che partiate desidero - almeno un po’ commossi.
Se di Beethoven ora - le sembianze arruffate
Esser da voi non possono - di nuovo contemplate,
Vi compenso, esponendovi - un altro bel ritratto...
Vedetelo, ammiratelo, - dite s’è bello... è
La sera del Santo Stefano — il Rubicone delle imprese — è
passata, e pressoché tutti i Cesari apocrifi della stampa a quest’ora
hanno aggiunto un’apposita nota ai loro commentarli per
dire al mondo come qualmente il famoso passo si sia compiuto.
Questa è la mia volta, ed incomincio.
Ma prima di tutto lasciate che io vi faccia una dimanda:
avete mai esaminato la fisonomia del pubblico in genere, e di
quello della Scala in ispecie, nella famosa sera di S. Stefano?
E siete voi riusciti a darvi ragione della musoneria implacabile,
della severità sospettosa, inquisitoriale con cui invita sè stesso
a tacere appena vede in aria il primo segno cabalistico della
bacchetta del direttore d’orchestra? Io mi sono detto almeno
una dozzina di volte, che in quel contegno di serietà ufficiale,
volere o non volere, ei aveva da essere qualche cosa di panettone
indigerito, e con un lieve sforzo d’immaginazione ho visto
in ogni membro di quel gran corpo che si chiama il pubblico
un ventricolo pieno. Ma chi è, in nome di Dio, quel Cesare apocrifo
che si rispetta che non abbia detto e commentato questa
preziosa scoperta almeno una dozzina di volte?
Quest’anno ho trovato di meglio; sissignori, con un’occhiata
più profonda del solito, (ciò che mi fa credere di essermi spinto
ad una profondità rispettabile) io ho analizzato e scomposto le
traccie del malumore che il pubblico porta periodicamente al
teatro nella sera di Santo Stefano. Ecco il mio ragionamento:
il giorno di Santo Stefano, agli occhi del vero filosofo, non è
tanto un giorno di esclusiva proprietà di questo Santo (come
sembra indicarlo la particella di) quanto un’appendice del giorno
del Santo Natale - il giorno sacro all’idillio del focolare, del panettone
e della bottiglia; il che è quanto dire che il Santo
Stefano ha diritto alla sua fetta d’idillio; il che è quanto dire
che ogni galantuomo si trova nel bivio crudele di rinunziare
all’idillio o di mancare all’apertura del teatro; il che è quanto
dire che ogni spettatore non è che troppo disposto a pentirsi
della scelta che ha fatto — il che è quanto dire che egli non
cerca di meglio che di mostrare a qualcheduno il suo malumore.
Riassumendo: nel giorno del Santo Stefano si va al teatro
perchè il teatro si apre in quel giorno, ma se il teatro avesse
il buon senso di non aprirsi in quel giorno, il buon pubblico
resterebbe volontieri a casa.
Dagli spettatori veniamo agli spettacoli.
La Scala è riuscita a risolvere un problema che si può proporre
così: data una mezza dozzina di artisti più o meno celebri,
dati novanta professori d’orchestra esimii, e ottantasei coristi
scelti, data un’opera di sicuro esito, trovare il fiasco d’obbligo del
Santo Stefano. Lo ripeto: il problema fu risolto meravigliosamente,
e Y Africana di Meyerbeer, interpretata dalla Fricci, dalla
Pozzi-Branzanti, dal Tiberini, dal Maini, dal Collini e dall’Antonucci,
diede un tuffo, ricomparve a galla, diede un altro tuffo
e sparì nei profondi gorghi della scena, che come tutti sanno
è un mare instabile; in altri termini: Y Africana dopo l’onore
(equivoco) di due rappresentazioni fu cancellata dal cartellone
per preparare l’andata in scena della Norma.
Questa catastrofe imprevedibile ed impreveduta si spiega con
una frase che non è la meno graziosa del gergo teatrale: mancava
Vaffiatamento. Gli artisti, uno per uno, cercarono di fare
del loro meglio, da gente onesta che sa di essere celebre od
esimia e tiene a farlo vedere, ma tutti insieme, Timo sull’altro,
in monte... mancavano d’affiatamento.
Fra tutti gli esecutori emerse la Fricci, artista che ha pochi
eguali per le doti del canto e nessuno superiore per la parte
drammatica. Si è trovato che la voce della Fricci è diventata
alcun poco rantolosa, e non si è pensato che forse è alquanto
rantolosa la parte di Selika; per me credo che la voce della
Fricci non abbia nulla perduto e sono certo che la prima rappresentazione
della Norma farà dire a qualche confratello che:
Y organo della Fricci è sempre Yorgano meraviglioso d’una volta.
Il Tiberini, valentissimo tenore che gode a ragione la benevolenza
del pubblico milanese, non è assolutamente a suo posto
nella parte di Vasco; però l’impressione che egli produsse fu
tanto più sconfortante in quanto grandissime erano le aspettazioni
e sconfinata la fiducia che si aveva nel suo talento sebbene
si sapesse che egli doveva essere stanco per un lungo viaggio
e che aveva assunto la parte di Vasco con sole due prove
per sostituire il tenore Adams. Aneli’ egli però ebbe momenti
felici, e nel famoso duetto d’amore dell’atto quarto seppe gettare
nel pubblico una di quelle scintille elettrizzanti che mutano
la freddezza in entusiasmo.
La Pozzi-Branzanti non ha una voce robustissima, ma ha in
compenso una dolcezza d’accento e una soavità di canto invidiabili;
fu freddimela dal principio alla fine, ma nei duetti del quarto
e del quinto atto fece valere tutte le sue doti e il pubblico riconobbe
e festeggiò in essa un’eccellente artista.
Il Collini (Nelusco), il [Maini (Don Pedro), T Antonucci, e
gli altri (tutti bravissimi artisti) passarono senza infamia e
senza lode non lasciando dietro di sè null’altro che la speranza,
e vorrei dire la certezza, di poterli accogliere più degnamente
in un’altra opera.
L’orchestra era in carattere, e tirò faticosamente innanzi con
una lentezza e con un sussiego degno di ammirazione; essa aveva
l’aria di accompagnare con una marcia funebre alla sepoltura il
disgraziato cadaverino d’uno spettacolo morto prima di nascere
per mancanza di.... affiatamento.
In quanto al vestiario e alle scene, salvo il famoso spaccato
di vascello che rassomigliava più a una trappola tesa che ad [p. 7 modifica ] GAZZETTA MUSICALE DI MILANO
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uno spaccato di checchessia, e salvo il ridevole assalto dei selvaggi
cogli analoghi fuochi di bengala, tutto andò benissimo. E
questo il luogo di regalare agli impresari di tutto T orbe una
buona massima. Eccola: «il pubblico che perdona volentieri quando
si tratta di mostrarsi ignorante, non perdona mai quando si tratta
di mostrarsi indulgente.» E nel caso concreto: il pubblico che perdonò
di aver vestito Vasco di Gama coll’orpello dei pagliacci,
perchè po’ su, po’ giù T aveva sempre visto così, non perdonò allo
spaccato di vascello e ai fuochi di tengala dei selvaggi, perchè
tutto ciò l’aveva visto a far meglio.
l’uomo e che i filosofi non hanno ancora spiegato la potenza
gioconda d’un calcio applicato saviamente... nella parte innominabile; sta il fatto che dacché mondo è mondo un calcio ha sempre
fatto ridere; ma questa volta il pubblico del Santa Radegonda
rise con tanto gusto, con tanta e così sincera soddisfazione,
che certamente Marte ei entrava per qualche cosa. In fatti,
conveniamone, in questi momenti in cui il dio delle battaglie ne
fa tante delle sue, non è piccolo conforto per un cuore ben fatto
il pensiero che, almeno nel palcoscenico del teatro Santa Radegonda,
si trova ancora un dio capace d’infliggergli coram populo
una simile punizione. S. F.
Il teatro Carcano ha incominciato la stagione col Rigoletto,
al quale succedette due giorni dopo la Lucia di Lammermoor.
Due capolavori in una settimana! Siamo sinceri; non è già trattar
male il pubblico, specialmente quando i capolavori non si presentano
storpiati fino alla deformità, fenomeno non raro nei
fasti di quel teatro. Il Rigoletto, è vero, ei aveva qualche cosa
di più della gobba e della sciancatura messa al mondo da Victor
Hugo e posta in musica da Verdi, ma non era addirittura un
mostro come sa farne il Rovaglia, ed avrebbe potuto attraversare
un’orda di biricchini senza farsi tirare i sassi — il che
non è poco. Ma tanto e tanto non arrisero troppo liete sorti
al povero Rigoletto, e sebbene il Giori, la Bellariva e T Amorini
facessero di tutto per guadagnare la partita, il pubblico che per
le ragioni dette sopra era di malumore trovò il pretesto del tenore,
che era ancora alle prese col panettone della vigilia, per
mostrarsi arcigno ed intrattabile, come se ad un onesto tenore
non dovesse esser lecito di partecipare alle carezze pletoriche
del Santo Natale. Quando un pubblico ricorre a simili pretesti
per tenere il broncio, egli firma la sua sentenza con tutte le
sue mani — e la critica non ha di meglio a fare che pubblicarla
ai canti delle vie.
La Lucia ebbe sorti migliori; emerse la Brambilla che cantò
con molta grazia, e piacque un tenorino — Lojacono — il quale
ha, più che una bella voce, un aspetto gradevole, che non è la
allampanata esilità dei tenori sentimentali, nè la rotonda mole
dei tenori di forza, ma un non so che tra due che ’fa credere
di vedere davvero un innamorato; cosa che avviene cosi di rado
fra i tenori, che bisogna tenerne conto ad ogni costo.
Anche il baritono Rossi-Romiati, incrollabile sul palcoscenico
del Carcano da qualche tempo, si tolse lodevolmente dalla sua
parte; e gli altri non guastarono ad onore e gloria dell’impresa.
Peccato che tutto ciò si sia compiuto dinanzi a un pubblico così
diradato, che pareva meglio gli avanzi generosi d’un pubblico
che si fosse battuto a Sedan, che un pubblico vero. Si attende
ora il Fornaretto, il Mosè, il Roberto il Diavolo, il Faust e
tante altre meraviglie — e Rovaglia è uomo da farne vedere
delle belle... se il pubblico vorrà vederle.
La Canobbiana ha finalmente il suo bravo spettacolo di commedia
e ballo; dico bravo per non dire cattivo, ma se dicessi
cattivo, per quanto ciò dovesse crescermi fama di sapienza, mi
sentirei ardere dai rimorsi; mi spiego meglio: la compagnia drammatica
eseguisce bene e piace; il ballo, Fra Diavolo, non è eseguito
bene e non piace.
Al Re (vecchio) recita la compagnia Pezzana, ricca di artisti
eccellenti, ma più ricca di artisti mediocri; non mancherà occasione
di occuparmene di proposito quanto prima.
Il Santa Radegonda è rimasto fedele al passato e continua a
beatificare la folla coi vaudevilles del repertorio francese. Di questi
giorni ce ne furono ammaniti due migliori e meglio eseguiti
dei soliti, cioè: Monsieur de Choufleuri con quel che segue, e
Orphée aux enfers, T uno e T altro di Offenbach. Il successo di
entrambi fu lusinghiero, ma quello del secondo lo fu in modo
speciale grazie all’amenità della caricatura. Fra le tante bellezze
scoperte dal pubblico in questo Orfeo ce ne fu una che le
passò tutte, voglio dire un calcio applicato da Giove nella parte
innominabile di Marte. È cosa che si collega colla natura delPS.
Il doppio spettacolo — Norma e La Dea del Walhalla
(ballo) — ebbe ieri alla Scala un successo assai lusinghiero.
La Fricci ha eguagliato la sua fama e fu applauditissima in tutta
Topera: nella frase: Oh non tremare, o perfido, fu sublime, ed
entusiasmò il pubblico che ne volle la replica. Fu pure assai bene
accolto il tenore Tasca de Capellio. Il ballo parve troppo lungo,
ma vi è un’abbondanza di luce, di apparizioni, di trasformazioni
e una ricchezza di scene e di vestiarii che sbalordisce. Buoni
ballabili e gruppi di bell’effetto non ne mancano.
Lo spettacolo, allietato da un pubblico numeroso e ben disposto,
fu contristato sul principio da una disgrazia toccata all’egregio
clarinettista Luigi Bassi, il quale fu colpito da sincope e
dovette esser trasportato fuori del teatro privo di sensi. Il pubblico,
che vuol dare una causa anche alle sincopi, suppone che
non siano estranei a quella sciagura certi dispiaceri che di questi
giorni toccarono al Bassi per motivi della sua carica. Speriamo
ad ogni modo che la cosa non sia grave e che l’esimio artista
sarà presto ridonato alla nostra orchestra. Notiamo intanto
il coraggio fortunato del clarinettista sig. Sarno Antonio, il quale
sostituì il Bassi all’improvviso senza alcuna prova precedente e
se ne tolse con onore.
NB. L’organo della Fricci, non vi è più dubbio, è sempre
T organo d’una volta. S. F.
Torino 9 29 dicembre 1870.
Non posso trattenere la mia impazienza di farvi noto il successo
del nostro spettacolo al Regio, dal momento che le notizie
di codesto della Scala e di quello della Pergola non sono guari
liete, e le massime scene di Napoli e di Genova non hanno potuto
solennizzare la loro riapertura nè a Natale nè a Santo
Stefano.
Un certo tal quale orgoglio municipale mi spinge d’altronde
a parlarvene brevemente e subito, inquantochè il Regio è stato
abbastanza fortunato per poter contare un successo, malgrado
che non ei sia stato gran merito per parte di tutti i personaggi
secondarii ed anche di qulcuno de’ primarii, almeno di quelli
che dovrebbero essere tali. [p. 8 modifica ] 8
GAZZETTA MUSICALE DI MILANO
La storia della serata è questa: nel primo atto applausi calorosi
alla romanza del tenore, approvazione alla canzone guerresca
di Marcello, cantata dal Brémond con grande sicurezza di
cantante e d’attore e con molta forza di mezzi vocali: attestati
di simpatia alla signora Corsi, un paggio che si esprime con
garbo e canta di grazia sopra due ben tornite gambe: qualche
smorfia all’aria di Margherita tagliata della metà e pure troppo
lunga, attesa la voce un poco gutturale della signora Luppi, la
quale vocalizza bene, gli è vero, ma non a posto sotto gli abiti
della promessa sposa di Enrico IV; applausi prolungati al gran
finale del secondo atto.
Il famoso coro del rataplan non è andato bene causa il BoisRosè
che ha tirato le masse fuori di carreggiata; il duetto fra
Marcello e Valentina, uno dei migliori pezzi dell’opera, è passato
sotto silenzio: benissimo il settimino; egregiamente il coro della
lite, ma l’atto è terminato piuttosto freddo. Al contrario nel
terzo atto è piaciuto il gran pezzo della congiura, e il famosissimo
duetto è stato campo d’immensi trionfi alla Benza ed al
Capponi, i quali, avendo tratto il pubblico all’entusiasmo, sono
stati chiamati cinque volte al proscenio.
Nel quinto atto non c’è più stato che qualche applauso al
terzetto, inteso da pochi spettatori, perchè, dopo la chiusa strepitosa
dell’atto precedente e stante l’ora tarda e la lunghezza
di questo interminabile spartito, buona parte del pubblico s’era
frettolosamente ritirato.
L’orchestra è stata inappuntabile, non cosi la banda sul palco,
dove certe trombe scorticavano senza misericordia le nostre povere
orecchie. Anche i cori meritano elogi, e infatti alla terza
sera, cambiato il soldato troppo ugonotto, s’è avuta una interpretazione
più cristiana. I ballabili sono stati meschinissimi e
sono riesciti un perditempo e nulla più: belle le scene, magnifico
il vestiario, grette le decorazioni, scarso il comparsane.
All’indomani tutta la nostra stampa politica s’è pronunziata
in generale contro lo spettacolo restringendo gli elogi alla Benza
ed al Capponi e ne ha cercato le cause in diversi motivi più o
meno accettabili. Nessuno per altro ha detto il principale, che
a parer mio si è quello avere anche i colossi meyerberiani fatto
il loro tempo, come tutte le altre opere del repertorio straniero,
le quali, passata la novità dell’imponenza e del prestigio esercitato
dalle masse e dal dramma, finiscono per stancare le moltitudini
che, avide di novità e sopratutto di melodie, corrono
al teatro e vogliono assolutamente divertirsi con poca fatica di
mente e colla minor possibile perdita di tempo.
Ne sia prova la commedia con musica intitolata La festa in
montagna che i piemontesi diretti dal Milone hanno già ripetuta
27 volte: ne sia prova l’operetta La Perichole d’Offenbach,
che è l’unica risorsa dei francesi attendati allo Scribe: ne sia
prova il successo ottenuto al circolo Ermione dalla farsa in musica
I due Ciabattini del Ruggi, con cui quegli egregi dilettanti
di canto e suono hanno saputo farsi immensamente applaudire. C.
M.
Venezia, 27 dicembre 1870.
L’apertura del teatro La Fenice avvenuta ieri sera, volendo
mantenere le storiche tradizioni del San Stefano, fu qualche
cosa, sotto il punto di vista artistico, di veramente bello, fgrandioso,
stupendo.
Per trovarvi un riscontro bisognerebbe rimontare a molti
anni addietro, e precisamente a quegli anni in cui la briosissima
penna del nostro T. Locatelli, la cui perdita non è mai deplorata
abbastanza, il G. Gozzi dei giorni nostri, ne faceva le
relazioni con quel fino criterio, con quella gentilezza d’animo e
con quella soave giovialità che erano le doti particolari di quel
delicatissimo ingegno.
Quantunque ei fosse una grande aspettazione; quantunque da
alcune settimane non si facesse che inneggiare alla valentia dei
cantanti che erano stati scritturati pelle nostre scene; quantunque
i fortunati mortali che erano stati ammessi alle prove avessero,
anche i più schifiltosi, detto mirabilia ai loro amici — pure
l’esito superò di molto ogni prevenzione.
Il Don Carlo ebbe ieri sera un trionfo tale che a pochi spartiti, su scene cotanto importanti, fu concesso di ottenere. Le
bellezze peregrine di questo lavoro, che il Verdi deve aver scritto
a bello studio per mostrare al mondo attonito quanto facile sia
all’arte italiana di vincere anche nell’aringo delle armonie, delle
moltiformi combinazioni scientifiche, delle difficoltà d’ogni fatta,
chiunque volesse tentarne la prova, codeste bellezze peregrine,
ripeto, vennero poste ieri sera tutte in risalto da quella schiera
di veramente eletti artisti che abbiamo la fortuna di possedere
oggidì.
Primi tra i primi dobbiamo mettere la Stolz ed il Cotogni
che si elevarono a tale altezza che a pochissimi è dato di raggiungere,
a nessuno di superare. Dotata la prima di magnifica
voce di vero soprano di tale estensione da toccare senz’ombra
di sforzo le note più belle d’un vero contralto; sorretta da tutte
quelle risorse che il lungo studio, il delicato sentire ed un’anima
di fuoco possono ispirare, fu un’Elisabetta sorprendente. Dalla
prima all’ultima frase essa si rivelò somma, inarrivabile artista. —
Nel mentre la sua voce docile e soave ti ricerca le fibre più
remote del cuore, il suo sguardo, composto a serenità, concorre
aneli’ esso potentemente a trasfondertene la sensazione, e devi
amare, dirò cosi, del suo amore: al contrario allorché sprigiona
dall’invidiabile registro, presaghe di corruccio, di dolore, di disperazione, ben più potenti note, il dardeggiar dell’occhio fulmineo, le franche e recise movenze, tutte subordinate ad uno
squisito sentimento del bello, ti trascinano spietatamente nel vortice
del suo affanno. — Il punto però più saliente in cui veniva
maggiormente acclamata fu la grand’aria dell’atto quinto.
«Tu che le vanità conoscesti del mondo «che disse in modo meraviglioso, profondendo a piene mani gli
immensi tesori d’una voce cotanto superba, e mostrando, rispetto
a modi, un sorprendente magistero.
Il Cotogni, che ben si può chiamare il principe dei baritoni
del giorno, ha decisamente affascinato il pubblico. Questo cantante
dalla voce potente e soave è veramente qualche cosa di
straordinario: egli canta come pochi sanno cantare, e sia
pure la sua parte irta di difficoltà, egli tutto abbatte e vince
con una facilità, con un possesso che sbalordisce: in lui non
travedi nè sforzo nè la più lieve fatica: sia pure talvolta il suo
canto vibrato e potente, la voce ne esce tranquilla e sicura. I
suoi modi sono elettissimi e sovente, non contento delle difficoltà
inerenti allo spartito, egli ve ne aggiunge delle nuove sempre
di ottimo gusto e pare si diverta a sfidarle.
La voce di questo cantante sovrano ti lascia un’impressione
perenne. Infatti chi può dimenticare quella sua frase:
«Carlo mio, con me dividi
Il tuo pianto, il tuo dolor! «e T altra nel terzetto dialogato:
«Dato gli sia - che vi riveda,
Se tornerà - salvo sarà».
Finalmente chi può riprodurre a parole l’impressione che si prova
udendolo in quel bellissimo canto:
«Per me giunto è il dì supremo «No; la parola non basta a riprodurre sensazioni simili: bisogna
udirlo e una volta udito il Cotogni non si dimentica più mai:
il suo canto, specialmente a questo passo, che dovette replicare,
ti lascia un’impressione incancellabile: la sua voce, per dirla
alla Guerrazzi, ha le vibrazioni dell’arpa che cessò di esser tocca,
vibrazioni che perdurano eterne.
Il Fancelli ha bellissima voce, ma a me sembra che sarebbe
più a posto nelle opere di Rossini ed in taluna del Bellini. La
sua voce, più che forte, è graziosa, e pel canto verdiano abbisogna
un fraseggiare largo, vibrato, potente. Egli ha modi eletti,
ma inutilmente tu aspetti per tutto lo spartito uno di que’ mo [p. 9 modifica ] GAZZETTA MUSICALE DI MILANO
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menti (uno solo) che hanno tanto sovente i due primi. Anche il
genere della voce, (del resto, lo ripeto, stupendamente bella) non
ha il timbro confacente per un canto eminentemente drammatico.
Io amerei udirlo nei Puritani., nel Mosè, nel Barbiere ed
in cento altr e opere, che, a mio avviso, gli porgerebbero larghissimo
campo a straordinari trionfi. — Per altro egli cantò
la sua parte assai bene e fu fatto segno di sincere acclamazioni.
La Contarini fu a buon diritto festeggiatissima. Questa simpatica
cantante, su cui, parecchi anni or sono, udendola a
Verona nel Giuramento, ebbi a vaticinare di belle cose assai
(e lo ricordo con compiacenza, perchè si sono avverate), fu. un
Eboli inappuntabile. Quantunque avesse a lottare colle indelebili
ricordanze della Gaietti, nell’arte del canto e nella fluente soavità
della voce a nessuna seconda, pure seppe farsi applaudire
clamorosamente alla Canzone del Velo detta con somma leggiadria,
quantunque troppo bassa pel suo registro; ma applausi ben
più vivi e chiamate ella si ebbe alla sua aria nell’atto quarto:
«Dono fatai, dono crudel «La udremo presto nella Beatrice e mi azzardo a dire fin d’ora
che piacerà, d appoichè la fama di questa artista veramente diligente
ed eg re già non fu carpita, ma guadagnata con meriti
reali. Basti il ricordare cerne l’anno scorso assumesse qui
la faticosissima parte di Margherita nell’Alberigo del maestro
Malipiero, opera d’una tessitura cotanto ardita, particolarmente
per lei, che pcche donne tra le migliori avrebbero potuto sostenere:
eppure per 12 o 13 sere ella cantò con taleamore che
fu T idolo del pubblico, ed il Malipiero deve serbar carissima
memoria di lei che tanto cooperò al buon esito dell’opera.
Il basso Angelini (Filippo) è buon cantante, ma la sua voce
riesce monotona. Le re miniscenze del Medini sono per lui fatali;
cionullameno, specialmente nei pezzi concertati, sa trar partito
da’ suoi mezzi e farsi applaudire.
Il Nannetti (inquisitore) ha bella vece e canta bene: fu merito
tutto suo se questa volta si potè gustare il duo dei bassi
nell’atto quarto, duetto che due anni or sono passava inosservato
malgrado il molto bello che racchiude.
L’orchestra diretta dal valentissimo Castagneri ed i cori capitanati
dal bravo Acerbi, rivaleggiarono con nobilissima emulazione,
e meritano entrambi le più larghe ledi.
La messa in iscena potrebbe essere migliore, ma non bisogna
cavillare sulle inezie quando ei si dà del buono e del bello a
profusione. — In una parola se il Don Carlo nello stesso
teatro or fanno due anni piacque, ora desta un vero entusiasmo.
E non è a dire che l’esecuzione di allora non fosse commendevole
per più riguardi. La Gaietti, la Blume, il Villani, il Colini,
il Medini sono n orni carissimi nella storia dell’arte; ma questa
volta v’ha un complesso che meglio si adatta alla perfetta
interpretazione del grandioso capolavoro... Qui m’accorgo di
aver di troppo varcato i confini d’una corrispondenza e mi fermo
ad un tratto. Ve ne chiedo venia, ma aveva veramente bisogno
di dir bene d’uno spettacolo alla nostra Fenice. E infatti era
tempo che que sto splendido ritrovo, che ha delle tradizioni cotanto
rispettabili, potesse emettere i soavi profumi d’uno spettacolo
monstre p er ripulirsi dei deleteri miasmi di cui l’avevano
infetto e conta minato, specialmente l’anno decorso, certi profani
sacerdoti dell’arte e certi ancor più spudorati speculatori.
Nella prossi ma settimana vi terrò parola dei teatri minori.
P. F.
Mantova, 29 Dicembre 1870.
Un tempo indemoniato, e. da far rammentare la ritirata di
Mosca, impedì alla maggior parte dei nostri cittadini di recarsi
la sera del 26 corrente al teatro Sociale per assistere alla prima
rappresentazio ne del Buy Blas del Marchetti.
In verità mi faceva dispiacere il vedere un teatro mezzo vuoto
per ascoltare uno spartito tanto desiderato ed. eseguito anche da
artisti di merito.
Io non vi farò una critica, perchè non farei che ripetere il
già detto anche su questo stesso giornale, nel N. 15 dell’anno
scorso, allorché il Ruy Blas veniva rappresentato per la prima
volta in Milano.
Il nostro pubblico fece lieta accoglienza a quest’opera che presenta
dei punti veramente belli, ma che in massima non ha di
quei pezzi che affascinano ed attirano le masse.
Sebbene il Ruy Blas abbia fatto il giro di molti teatri d’Italia,
metto pegno che non ha fatto e non farà mai l’interesse
delle imprese.
Comunque sia, l’esecuzione fu buona per parte degli artisti i quali
fecero risaltare i punti salienti dell’opera, cioè: il duetto di Don
Sallustio e Ruy Blas nel primo atto, la ballata di Casilda nel
secondo, l’aria di Ruy Blas, il duetto d’amore ed il successivo
duetto con Don Sallustio nel terzo atto, e finalmente il terzetto
tra Don Sallustio, Ruy Blas e la Regina e il duetto finale nel
quarto atto.
Steger nel terzo e quarto atto fu inarrivabile, allorché specialmente
il dramma incalza; gli fu forza replicare il duetto
d’amore, ed ebbe molti applausi al finale dell’opera. La signorina
Ciuti ha una bella voce di soprano che si adatta benissimo
alla partitura, ed oltre ciò ha intelligenza e sentimento musicale.
La signorina Massaro, benché esordiente e dominata da
timor panico, seppe cogliere applausi nella parte di Casilda, e
dobbiamo rendere giustizia al Cima che nella difficile parte di
Don Sallustio ebbe non dubbie prove di approvazione. Tutto sommato
piacquero l’opera e i cantanti.
Si hanno però a lamentare le indecenti scene, i vestiari, specialmente
delle donne, e la messa in scena tutt’altro che intelligente. D.r
E. P.
Vienna, 21 dicembre 1870.
Le giornate 16, 17, 18 e 19 dicembre faranno epoca negli
annali dell’arte, essendo state consacrate alla memoria di Beef
thoven per la ricorrenza dell’anniversario secolare della sua nascita.
Beethoven non è viennese, però che nacque a Bonn, ma
fu viennese per adozione perchè ivi concepì le sue migliori produzioni,
perchè trovò nell’ospitalità viennese occasione e campo
a sviluppare il suo genio, perchè se Vienna non intese il suo
primo vagito, raccolse però il suo ultimo sospiro, essendo imma[
Diramente morto fra noi nell’anno 1827, ed avendoci lasciato
la sua spoglia che giace nel camposanto di Wàhring. Beethoven
è dunque nostro concittadino per sentimento e per convivenza
e come tale vollero rendergli omaggio gli amici ed i cultori
dell’arte musicale.
La così detta festa di Beethoven fu concepita sovra dimensioni
assai larghe, perchè il comitato promotore volle far rivivere
il maestro presentandolo al pubblico sotto i molteplici
aspetti che una prodiga natura gli permise di prendere. Si volle
rammentare ai discendenti il Beethoven lirico-drammatico, concertista,
sinfonista, scrittore di melodie sacre e teatrali, sommo
in tutto, benché l’eccellente di una singola delle sue parti avrebbe
bastato per tramandarne il nome alla posterità. Se il comitato
promotore ebbe un torto, fu di aver pensato soltanto agli artisti od
amatori, conoscitori, e per nulla a quella parte del pubblico
che, benché profano, pure sente immenso diletto ad introdursi nel
santuario delle muse. Non bastava, a parer mio, magnificar Beethoven,
dovevasi eziandio popolarizzarlo e render la festa accessibile,
ad un uditorio tre o quattro volte più grande, il che non
era difficile perchè in Vienna i locali non mancano per siffatte
riunioni. La festa invece si circoscrisse fra le sale dell’Accademia
filarmonica; molti furono i chiamati e pochi gli eletti, vale
a dire che moltissimi sarebbero accorsi corrispondendo un prezzo
modico, mentre in proporzione pochi furono gli ammessi pagando
una forte entrata. Ed ancora se non si fosse trattato che di pagar
T entrata! ma bisognava pagar gl’incettatori di entrata, e
farlo in tempo, in guisa che, benché i promotori delle feste
ei ponessero briga, tempo e forse dispendio, pure non vanno
esenti dal sospetto di avere evocato i mani di Beethoven per [p. 10 modifica ] 10
GAZZETTA MUSICALE DI MILANO
specularvi sopra. Povero Beethoven! chi direbbe che lo spartito
originale della messa, eseguita il di 18, trovato nell’inventario
dei suoi scritti dopo morto, venne venduto al padre del vivente
Artaria per l’ingente somma di fiorini 7, 6 (dico sette fiorini e
sei kreuzer), appena la metà del prezzo di entrata che si pagò
per udirne T esecuzione!
Per essere breve vi dirò che la festa cominciò il di 16 colla
rappresentazione dell’opera Fidelio nel nuovo teatro Imperiale
dell’Opera. La sala era splendidamente illuminata, grande e
scelto il concorso. Ivi si incontrarono le sommità di ogni classe
sociale, Corte, diplomazia, armata e sovratutto T opulente
finanza del vecchio testamento che, per gusto o per calcolo,
rappresentando la parte del Mecenate, sulla ’scena sociale, va
bel bello soppiantando la caduca aristocrazia. La serata principiò
con la Sinfonia festiva op. 115; a questa succedette un
Prologo drammatico declamato dall’esimia artista signora Welter,
che compariva sulla scena nell’aspetto di una Musa con una
lira dorata in mano e produceva, altri dicono un contrasto,
quanto a me dirò un singolare anacronismo, standosi sulla scena
attorniata dai preclari e benemeriti intendenti, direttori, ispettori,
ecc., ecc. del teatro Imperiale in cravatta bianca, gialla, nera a
coda di rondine, pantaloncini e scarpette. Il che non toglie che
la Wolter porgesse col suo talento, accompagnata da alcuni accordi
melodrammatici, un’apoteosi del venerato Maestro, dando ai
versi colla sua enfasi un colorito che non seppe dargli il poeta.
Alla declamazione successe un coro, poscia si alzò un sipario
che smascherò un tempio, attorniato da figure allegoriche fra
le quali campeggiava un busto colossale di Beethoven. La Wolter
sali sui gradini del tempio e depose sul capo dell’eroe della
festa una corona di alloro fra i fragorosi applausi del pubblico.
Non nego che la scena riescisse bene, il teatro prestandosi egregiamente
agli effetti di luce, ma per un occhio un po’ esperto
ed abituato agli spettacoli di molti paesi, appariva un fondo arcadico
ed accademico che sapeva un tantino di pedanteria. E
questo fu il punto culminante dell’apoteosi.
Dopo la fantasmagoria si venne al sodo, cioè a Beethoven in
anima ed in corpo, qual ce lo rivelava il Fidelio, il quale fece
dimenticar tutto il preambolo di cui vi narrai per dovere di
cronista. Fare l’analisi del Fidelio e profondermi in encomii
gli è portar acqua al mulino. Mi limito a dirvi che fu eseguito
come doveva esserlo da una eccellente orchestra e da consumati
artisti. Ivi rifulse di nuova e sempre viva luce la Dustmann,
nella parte di Leonora, il Beek in quella di Pizarro,
Walter in quella di Florestano, e fecesi onore la Tellheim, il
Draxler, nonché Schmid e Pirk. Grande e commovente sensazione
produsse il coro dei prigionieri, ove la natura ed il sentimento
drammatico sono così veramente tratteggiati che si direbbe
una pittura di note. Basta questo pezzo per dar un’idea
del talento drammatico di Beethoven.
All’indomani e fino al 19 si alternarono i concerti nelle sale
deH’Accademia filarmonica. Le bandiere che sventolavano innanzi
all’edificio annunziavano la festa al pubblico. Il locale era ben
addobbato, il vestibolo trasformato in giardino, ma se il teatro
era già ristretto, era l’Accademia cosi angusta, che non vi era
più un angolo per ficcarsi; tutto era pieno fino alla cornice.
Il 16 cominciò il concerto con la Sinfonia op. 124 scritta
nell’anno 1822 per l’apertura del teatro della Josefstadt. Qui
mi permetto una riflessione. L’apertura di un teatro suburbano,
ormai diventato di terz’ordine, s’inaugurava con un’opera nuova
scritta appositamente da un gran maestro, mentre aprendosi il
sontuoso teatro dell’Opera, Tanno scorso, non si trovò di nuovo
che alcune strofe, a guisa di prologo, regalateci dalla musa del
Consigliere Dingelstedt; quanto all’opera si dovè pescare nel
repertorio vecchio di Mozart. Pure il teatro nuovo dell’Opera
costò quaranta volte più del vecchio della Josefstadt; giacché
eravamo nelle spese poteasi pagare un maestro per iscrivere
un’opera. Ma in Vienna pur troppo si moltiplicano i teatri lirici,
ma i Mozart, i Beethoven sono diventati introvabili. Per
supplirvi si sopraccaricano i teatri di dignitari, intendenti, consiglieri
e direttori a iosa — dalla Corte si sale al Parnaso. Tornando
al soggetto, alla sinfonia successe pure un prologo, applaudito,
perchè detto dagli egregi Lewinski e Weilens, ma che,
a meno di volerci dimostrare la fraternità fra la musica e la
poesia, il che sappiamo da un pezzo, era affatto superfluo riducendosi
ad un’apologia di Beethoven alla quarta potenza, di cui
non avevamo bisogno, mentre ogni nota scritta dal maestro gli
serve di apologia. Ma gli è nel carattere tedesco di ripetere e
ricalcare le cose usque ad satietatem e di non avvedersi ch’ei
diventa stucchevole e monotono.
Il signor Door eseguì squisitamente sul cembalo uno dei concerti
più melodiosi, Top. 73. Pure questo stesso concerto, oggi
cosi applaudito, fece fiasco nella stessa Vienna l’anno 1812! Il
trattenimento fu chiuso con la grandiosa sinfonia op. 125, col
concorso di Dessoff e dell’orchestra dell’Opera.
Domenica 18 la stessa sala aprivasi ad altri esercizi musicali,
ove sotto la direzione del signor Hellmesberger eseguivasi la
Messa solenne scritta nel 1822 e dedicata all’Arciduca Rodolfo,
arcivescovo di Olmùtz. Nell’orchestra contavansi 80 suonatori, e
fra i cantanti 700 individui. I soli di soprano furono cantati dalla
sig.a Wilt, quelli di contralto dalla sig.a Gomperg-Bettelheim; i
soli di violino suonati dal Grùn e l’organo da Bruckner e Frank.
L’esecuzione riuscì, bene, quantunque tratto tratto si palesassero
imperfezioni nate dall’associazione di tanti diversi elementi più
o meno istruiti. Il Kyrie, il Gloria ed il Credo furono freneticamente
applauditi.
Lunedi 19 fu T ultimo giorno delle feste ed il terzo dei concerti.
Il concerto ch’ebbe luogo di giorno all’Accademia filarmonica
si aggirò in quelle composizioni cosi dette di salotto.
Si aprì col terzetto op. 97 scritto nel 1811, eseguito da
Epstein, Grùn e Popper. Troppo grandioso trovossi questo terzetto
per un’accademia, ma esuberante di originalità che rapiscono
anche i profani. A questi successe un ciclo di canzoni che
ei rivelavano Beethoven sotto un altro aspetto, canzoni piene di frasi
espressive e ricche di sentimento. La signora Gomperg cantò alcune
melodie inedite o meno note in Vienna. Si terminò col famoso
quartetto composto nel 1826, un anno prima della morte dell’autore,
ove si distinsero nell’esecuzione Hellmesberger e Bacimeli.
La sera riaprivasi il teatro colla rappresentazione ceV Fgmont,
poesia di Goethe e musica di Beethoven. Se il teatro era zeppo
ce n’era ben donde, perchè chi non accorrerebbe all’intendere
questi due grandi nomi? Conchiudo dicendovi che gli artisti delT
Opera coll’orchestra diretta da Herbeck fecero risaltare tutte
le bellezze dello spartito riscuotendo immensi applausi e lasciando
nell’uditorio un desiderio ancor più vivo di udire le produzioni
di quel genio, distribuendole per serie, onde assaporarle
con calma e comodo, senz’affastellarle come venne fatto in questi
quattro giorni festivi. G. Gelsi.
— MILANO. Il nuovo atrio del teatro alla Scala soddisfece pienamente al
gusto del pubblico. L’antica sala di aspetto delle signore fu ridotta alla sua
primitiva destinazione di vestibolo, e fu adattata un’altra sala d’aspetto, abbastanza
elegante, che negli anni avvenire dovrà avere la sua corrispondente.
Questa nuova distribuzione dei locali non danneggia punto la libera circolazione,
come altri aveva temuto.
MODENA. Scrive il Panaro del 26 dicembre:
Ieri sera si aprirono le scene del nostro maggior teatro e si diede la prima
rappresentazione della Contessa d’Amalfi e del Brahma. Il teatro era affollato,
ma il pubblico non era di buon umore, e sembrava che il gelo, che ricerca
il midollo dell’ossa in questi giorni, tenesse eccitati i nervi degli spet [p. 11 modifica ] GAZZETTA MUSICALE DI MILANO
li
tatori e li spingesse ad una critica impaziente anziché ad una tollerante indulgenza.
Gli è perciò che l’opera è andata un po’suMe grucce, e un’alternativa di
plauso e di zittire non ha permesso di giudicare il merito rispettivo degli
artisti della Contessa d’Amalfi. La signora D’Alberti per altro è stata spesso
applaudita, ed il signor Rampini è riuscito con molto sangue freddo a vincere
il panico che lo dominava e a farsi incoraggiare. Anche il Buffagni è stato
applaudito.
CASALE (Monferrato). In questo carnevale anche Casale, cosa insolita,
ha la sua brava opera buffa. Sabbato, ultimo giorno del passato anno, ebbe
luogo la prima rappresentazione del Crispino e la Comare, di cui ei mancano
notizie.
NAPOLI. Il teatro S. Carlo si aprirà non più tardi del 6 corrente ad un
corso di 84 rappresentazioni che durerà fino al 31 maggio. Verranno eseguite
durante la stagione tre opere nuove per Napoli, cioè: Don Carlo di
Verdi; Ruy Blas del Marchetti; Regina e Favorita del maestro Sangermano.
Quest’ultima opera fu scritta apposta per Napoli.
Nell’elenco degli artisti scritturati troviamo i seguenti: soprani: signore
Palmieri e Krauss; tenori: Barbacini e Vicentelli; baritoni: Mendioroz e
Maurel; basso: Luigi Vecchi.
CAGLIARI. Al teatro Civico andò in scena la Vestale del compianto Mercadante;
l’esecuzione fiacca ed incerta, causa il timore panico degli artisti,
danneggiò il successo che fu un po’ freddo; non mancarono però gli applausi
e gli incoraggiamenti ai principali esecutori.
TREVISO. Il Don Giovanni di Mozart, interpretato da due esordienti e
da artisti men che mediocri, ebbe esito infelice. L’impresa pensa ad allestire
un altro spettacolo.
CATANIA. La sera del 22 dicembre andò in scena il Rigoletto che ebbe
esito felice. Amodio (Rigoletto), la signora Dominasi (Gilda) e il Tombes!
(Duca) furono applauditissimi. Le seconde parti guastarono la pienezza del
successo.
MADRID. La Marta ebbe favorevolissima accoglienza al teatro Nazionale.
Nell’esecuzione emerse la signora Ortolani-Tiberini che fu applaudita entusiasticamente
in tutti i suoi pezzi principali. Il tenore Perotti fu acclamatissimo
alla romanza; non mancarono applausi alla Testa ed agli altri esecutori.
— Ci giungono notizie del buon esito del Faust, in cui la Spezia, il Perotti,
il Selva e l’Aldighieri furono applauditi più volte.
LIPSIA. La prima rappresentazione dei Maestri Cantori ebbe pieno sue
cesso; non vi fu nemmeno tentativo di opposizione. Se si trattasse d’un altro
compositore e d’un’altra opera, questa dichiarazione parrebbe meglio un epigramma
che un complimento; ma quando si parla di Wagner e dei Maestri
Cantori, dire che non vi furono nè fischi, nè grugniti, nè vie di fatto, è qualche
cosa che vai bene un complimento.
PRAGA. Al teatro Nazionale ebbe favorevole accoglienza una nuova opera
comica, Der St. Nicolaus, di Kopkoschny.
MOSCA. Al teatro dell’opera russa si rappresenta con grande successo
Il portator d’acqua di Cherubini.
BERLINO. Dal 15 al 21 dicembre si rappresentarono:
Al R. teatro d’Opera: Dei’ Freisclwtz, Fidelio, Die beiden Schützen di Lortzing,
Flik e Floh (ballo).
Al R. teatro della Commedia: Egmont di Goethe con musica di Beethoven.
Al teatro Kroll (Nowack): L’Ebrea, Lucia, Czar und Zimmerman, Fra
Diavolo, Le Nozze di Figaro.
Molti giornali di Napoli parlano dell’offerta fatta o da farsi
a Verdi della carica di Direttore del Reai Collegio di S. Pietro
in Majella, invece del defunto Mercadante, e danno come cosa
probabile l’accettazione dell’illustre maestro.
Questa offerta non solo onora chi la riceve, ma altresì chi
rende in tal modo un dovuto omaggio ad una delle nostre più
care glorie nazionali.
Noi abbiamo T onore di conoscere abbastanza intimamente l’illustre
maestro e crediamo che non accetterà T onorevole incarico.
Uomo indipendente, amante della libera vita de’ suoi campi
nativi, non può sobbarcarsi ad impegni di tal natura, epperò egli
respinse più volte offerte di simili cariche tanto in Italia che
all’estero.
Fortunatamente, Verdi è ancora militante nei campi dell’arte,
e facciamo voti che ciò sia per lungo tempo ancora: se non può
accettare il posto di Direttore del Collegio musicale di Napoli,
non per questo egli rendesi meno utile all’arte stessa, scrivendo
di quando in quando que’ capolavori con cui empi. il mondo della
propria fama, alto tenendo cosi il glorioso vessillo dell’arte italiana.
— Milano. L’egregio critico musicale Filippo Filippi ha abbandonato col
corrente anno il posto di direttore del giornale II Mondo Artistico, posto che
da gran tempo egli non conservava più che di nome.
— Lipsia. Il festival in onore di Beethoven riuscì splendidissimo. Il primo
giorno fu consacrato all’esecuzione della Messa solenne sotto la direzione del
professore Riedel. Il giorno successivo una sinfonia di Beethoven precedette
la rappresentazione di gala. Il terzo giorno il maestro concertatore David e
il suo eccellente quartetto diedero una serata di musica da camera nella
sala del Gewandhaus; successivamente fu eseguito: al teatro Egmont di
Goethe con musica di Beethoven; al Gewandhaus la nona sinfonia; al teatro
dell’Opera le Ruine d’Ateneo e il ballo Prometeo e l’ultima sera Fidelio colle
sue tre sinfonie.
— Madrid. Ci scrivono: Esiste qui un Conservatorio, ora chiamatoEscueZa national
de Musica, aperto il 2 aprile 1831, sotto la denominazione di Reai Conservatorio
de Musica Maria Cristina, dal direttore e professore di canto D. Francisco
Piermarini. Otto mesi dopo la fondazione di questo istituto, ebbero
luogo dei pubblici esperimenti, e si hanno splendidi documenti dei buoni risultati
degli allievi istruiti dai professori Carnicer, Saldoni, Albeniz, Jardin, ecc.
La celebre cantante spagnuola Donna Manuela Lema de Oreiro, che poi si
maritò al noto scrittore Ventura de la Vega, fu allieva di questo primo periodo
splendido del Conservatorio, e riportò grandi trionfi, a lato di Rubini, [p. 12 modifica ] GAZZETTA MUSICALE DI MILANO
nelle parti di Amina, Desdemona e Lucia- I ritratti di questi due artisti, dipinti
da Esquisel, adornano l’odierna sala del Conservatorio, il cui attuale direttore
è Don Emilio Arrieta. Gli ultimi risultati dell’Escitela national de
Musica, specialmente per ciò che riguarda il canto, non corrisposero alle
esigenze, però la classe del violino, sotto la direzione di Monasterio, e la
classe del pianoforte, diretta dal professore Savalza, fecero buona prova
negli ultimi esperimenti.
— Pestìi. I giornali ungheresi annunziano che il conte Bismarck ha fatto
pervenire da Versailles all’abate Franz Liszt l’offerta di assumere la direzione
vacante dell’alta scuola accademico-musicale di Berlino.
— Berlino. Il signor Herm. Demuth ha donato alla R. Biblioteca la partitura
autografa dell’opera La clemenza di Tito di Mozart.
— Boston. Ci scrivono: La Nilsson ha dato qui otto concerti che hanno
fruttato all’impresa la bagattella di 60,000 dollari (300,000 lire). A quest’ora,
dacché la Nilsson trovasi in America, cioè da due mesi circa, essa ha dato
35 concerti; inutile dire che nel trentesimoquinto la sua voce era freschissima,
e il suo canto sempre ugualmente appassionato ed inappuntabile.
— Nuova-York. La Nilsson si fece udire testé nel Messia di Handel con
un successo clamoroso; essa è aspettata a Filadelfia.
— L’eminente pianista Mary Krebs va di trionfo in trionfo nel nuovo mondo.
Essa pre.se parte a cinque concerti del Steinway-Hall e a due concerti a
Boston; la Società Filarmonica di quest’ultima città ha domandato e ottenuto
il suo concorso per il festival in onore di Beethoven.
— Pietroburgo. Il concerto dato allo scopo di concorrere all’erezione di
un monumento a Glinka ebbe un successo straordinario; il programma non
conteneva che composizioni dell’illustre maestro russo: la sinfonia, l’introduzione,
il finale del primo atto, l’aria di Farlaff e una scena del quinto atto
della sua opera Russlan e Ludmilla; un trio, un coro, un intermezzo, e l’epilogo
della Vita per lo Czar, la sinfonia sopra temi spagnuoli, Kamarinskaja
(fantasia per orchestra) e alcuni altri frammenti di minore importanza.
— Il maestro Kui compone una nuova opera con libretto di Seroff.
26-31 Dicembre
TEATRO DELLA SCALA
Lunedì — L’Africana, opera di Meyerbeer.
Martedì — L’Africana.
Sabato — Norma, opera di Bellini — La Dea del Valhalla, ballo.
TEATRO DELLA CANOBBIANA
Lunedì
— È pazza, commedia —
Fra Diavolo, ballo.
Martedì
— La Verità, commedia,
w *
Mercoledì
— L’amore, commedia
Giovedì
— Prosa, commedia
Venerdì
— Celeste, idillio.
Sabato
— La dote, commedia
5, «TEATRO CARCANO
Lunedì — Rigoletto, opera di Verdi.
Martedì — Rigoletto.
Mercoledì — Lucia di Lammermoor, opera di Donizetti.
Giovedì — Lucia di Lammermoor.
Sabato — Lucia di Lammermoor
TEATRO RE
Lunedì
Martedì
Mercoledì
Giovedì
Venerdì
Sabato
— L’Amore, dramma — II Campanello, farsa.
— Fernanda, dramma»»
— Vecchia e Nuova Società, commedia.
— Amore senza stima, dramma.
— L’Orfano, commedia — disse e Cleopatra, farsa.
— Fragilità, commedia — Gli avventurieri galanti, farsa.
TEATRO SANTA RADEGONDA
Venerdì — Orphée aux enfers, opera.
TEATRO MILANESE
Lunedì — EI Barchett de Boffalora, vaudeville.
Martedì — La mader madregna — L’arco baleno in d’on cumò.
Giovedì — EI Barchett de Boffalora, vaudeville.
Venerdì — EI Barchett de Boffalora, «— L’arco baleno in
d’on cumò, farsa.
Sabato — EI Barchett de Boffalora, «— I foeugh artificiai,
farsa.
— Fermo. Alessandro Marziali, violinista valentissimo, direttore d’orchestra
e maestro della Scuola comunale per gli strumenti d’arco, morì il 22
dicembre 1870.
— Parigi. Ci perviene la notizia della morte del pianista compositore
Eugenio Ketterer, avvenuta per un attacco di vajolo. Il nome di Ketterer è
forse uno dei più bei nomi che abbiano brillato nella schiera dei compositori
per pianoforte, ed è certamente quello chei gode maggior popolarità in
Italia e fuori fra i dilettanti di questo strumento. Le sue composizioni erano
piuttosto facili, ciò che non è certamente un difetto, specialmente quando la
facilità va congiunta all’eleganza ed al buon gusto, nel che il Ketterer oggidì
non aveva rivali. Le sue esequie ebbero luogo il 20 dicembre a Nostra
Donna di Loreto.
L’eclitore Ricordi ha acquistato
la proprietà dell’Opera
UN CAPRICCIO DI DONNA
del maestro
Æ. CÆOTVOTVI.
Editore-Proprietario, TITO DI GIO. RICORDI.
Oggioni Giuseppe., gerente.