Gazzetta Musicale di Milano, 1871/N. 1

N. 1 – 1 gennaio 1871

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Indice N. 2

[p. 1 modifica]50 Gli Associati annui, oltre molti premi in Opere complete, Danze, Sinfonie. Fotografìe, Album di Autografi, ricevono in dono nel corso dell’anno i 24 eleganti fascicoli della RIVISTA MINIMA ni ANTONIO OHISLANZONI PER L’ESTERO.SI AGGIUNGONO LE MAGGIORI SPESE POSTALI BIMESTRALI — UN NUMERO SEPARA Esce tutte le Domeniche REDATTORE D I E T T 0 F( E AVVISO L’af>l>oiidlaiiza di materie lia j reso necessaria per questo numero l’aggiunta d’un doppio supplemento alla G-A.ZZETTA., elio disolito consta di 8 pagine. Notiamo per altro clic questa necessità di aumento gratuito di pagine è un fatto die avviene spesso durante l’annata; così nel passato anno gli Associati elblbero SO pagine di regalo. La stessa alblbondanza di materie ci lia ol>l>ligato a differire di qualche giorno la pulddicazione dell’ultimo fascicolo dei CAPRICCI LE T T..E IÎ A lili die verrà spedito ai vecclii associati insieme coll’indice delle materie e col frontispizio dell’anno 18*7"O. V pw LETTOR La nostra Gazzetta, come ognun vede, inccfiiando si abbellisce. 2 dii giornale senza colore - dicevano per lo addietro i nostri detrattori (maestri inediti, cantanti sciupati, suonatori incompresi). - Ed ecco, la Gazzetta. si colorisce inaspettatamente di un bel colore roseo-giallognolo, simbolo di indipendenza e di spensieratezza. Convien proprio essere spensierati fino alla follia per prodigare a questi giorni tanto lusso di carta e di tipi in un giornale quasi esclusivamente dedicato alla musica. Giorni tristissimi davvero, e avversi, quanto altri mai, agli sviluppi di quest’arte genialissima, che domanda orecchio pacato e cuore tranquillo. Non monta. Mentre il fragore incessante del cannone e il grido quotidiano di migliaia e migliaia di morenti fa inorridire la terra, noi dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per reclamare l’attenzione del pubblico verso quegli studii che ingentiliscono ed elevano lo spirito. Dobbiamo ricordare alle nazioni più colte di Europa, che sembrano averlo obliato, gli uomini non essere creati per dilaniarsi soltanto, e massacrarsi fra loro. Pur troppo, i nostri sforzi saranno vani. La canaglia umana, al di sopra di tutte le arti, ha mai sempre ammirata Varte della guerra, non peritandosi a rivelare la ferocia de’ suoi istinti, col denominare teatro quel campo di eccidii e di abbominazioni dove si compiono le battaglie. Orbene: lasciamo pure che i cannibali ei scherniscano. Non ei imponga il brutale sarcasmo; soprattutto guardiamoci dal lasciarci trascinare in quel vortice di passioni e di lotte dove ogni senso dell’ideale e del bello si smarrisce. [p. 2 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Noi parliamo ai cultori della musica. Se questa non é epoca propizia alle arti, se il mondo inferocito ei volge le spalle per accorrere di preferenza agli spettacoli di sangue - procuriamo noi, nel nostro isolamento, di custodire e di alimentare la sacra fiamma della civiltà. Non vergognandoci della nobile missione che ei è confidata. Non invidiamo l’atroce gloria dei massacratori di popoli, noi che dei popoli dobbiamo essere i civilizzatori. - Operiamo nella solitudine e nel silenzio, finché l’umanità, stanca e prostrata dalle carneficine, non ridomandi ai cultori dell* arte i conforti del bello e del vero. Questo preludio sentimentale significa che, malgrado i miglioramenti introdotti nella nostra Gazzetta, e malgrado l’aumento e l’attrattiva dei premii, non speriamo di triplicare quest’anno i nostri abbonati, come l’anno scorso ei avvenne. Abbiamo obbedito a quell’eterno dettato, della coscienza: fa quel che deci, avvenga che può. Il più ampio formato del giornale ei consentirà di dar maggiore estensione alla rubrica delle Notizie teatrali, e di pubblicare più spesso, nelle Appendici, delle Riviste letterarie, dei Racconti, delle Riografie, ecc., ecc. I nostri collaboratori rimangono quei medesimi dello scorso anno. Per la parte critica, avremo sempre il Mazzucato, il D’Arcais, il Filippi, l’Edwart, ecc., ecc. - La Rivista dei teatri di Milano e le Riviste letterarie rimangono affidate a Salvatore Farina, meno i casi eccezionali, in cui un Matto qualunque non entri in mezzo inaspettatamente ad agitare la sua frusta irresponsabile. In luogo dei due fascicoletti mensili dei Capricci letterarii, gli abbonati riceveranno la Rivista Minima, giornaletto bimensile di A. Ghislanzoni. Tutte le questioni di attualità verranno sfiorate in questo elegante periodico, dove la politica e l’arte, la letteratura e l’aneddoto, l’indovinello, la sciarada si alterneranno con amenissimo effetto di contrasti. Nelle Appendici della Rivista Minima vedrà la luce il Dizionario umoristico-fdosofico, rassegna critica del passato, del presente e dell’avvenire. Il romanzo Gli Artisti da Teatro, V Album di Autografi ed altri doni verranno aggiunti alla Gazzetta musicale ed alla Rivista Minima. Cosi pel prezzo di lìi»© so, gli abbonati avranno due giornali, l’uno artisticomusicale, in grande formato di pagine otto, 1* altro politico-aneddotico-umoristico di 32 pagine, una cassettina di volumi...., ecc., ecc. Tutto ciò - lo ripetiamo - senza speranza di veder aumentare i nostri abbonati, ma solamente per dimostrare che l’avversità dei tempi non rallenta il nostro zelo per la coltura e il progresso dell’arte, e per animare tutti gli spiriti gentili a non disertare dal campo. LA VERITÀ VERA DIVAGAZIONE Si diceva, in temporibus illis, die la verità non si era mai mostrata nuda ai re — ai tempi nostri è questo un assioma che si può applicare a tutto il mondo, in quanto che la verità vera pochi hanno il coraggio di dirla, nessuno d’ascoltarla! — Tutto si copre d’un velo; le reticenze, le mezze parole sono all’ordine del giorno!... vedete: perfino in Parlamento si vive di continue bugie!... molte insolenze, molte sciocchezze — e verità?... uhm, non mi ricordo d’averne sentito qualcuna che quando viveva quel buon’uomo di Cavour!... il quale forse è morto appunto per questo brutto peccato. Figuratevi dunque, se in su in su verità non se ne sentono e non se ne dicono, che razza di corbellerie si diranno nelle cose minori della vita. — Alto là, signor matto: a che mira codesto tuo preambolo?.... credi forse d’esser tu la perla rara, la fenice introvabile?.... credi forse d’aver tu il privilegio di schiccherare le verità?.... e che tutti gli altri siano bugiardi?... — Oh! questo no, signor mio: dalla verità alla bugia v’ha un bel pezzo di strada: e poi v’è modo e modo di dire la verità: se può far piacere la si dice francamente: se non può venir troppo accetta, la si dice a. mezza bocca, con un po’ di zucchero e di miele: se poi non può garbare affatto, la si sottintende, si ricorre ai puntini...., ecc., ecc. La verità vera appartiene a quest’ultima categoria: capisco che non tutti i savi possono dirla: ma un matto?.... che ha da perdere un povero matto come me?..., Tutt’al più mi si dichiarerà furioso, ed il medico mi ordinerà 24 ore di camicia di forza, dopo di che si tornerà all’usato trattamento di prima, precisamente come si fa coi regolamenti del nostro onorevole municipio, e del nostro previdente questore! «I decret del scior sindegh de Milan «Duren mo’ giusta dall’incœu al diman, «Per no’ fagli tort a quij del nost questor «Che duren malapénna dòdes or. (Antico proverbio milanese ilei 1643). È che la verità vera non sia cosa facile a dirsi me lo provano gli articoli dettati dai critici musicali milanesi a proposito della sera del Santo Stefano al teatro della [p. 3 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 3 Scala: qualche buffetto di là, qualche buffetto di qua; una dolce tiratina d’orecchi a Tizio, ed un lieve ganascino a Sempronio — malva!, malva!, malva!... Nè il breve sussiego dell’ufficiale Lombardia, nè le bacchiche escandescenze del Piovani, nè la critica alT olio di fegato di merluzzo del Pungolo, mi valgono a persuadere del contrario. Ai signori critici ed al colto pubblico darò un esempio: Siete invitati a pranzo da un ricco epulone, il quale ha fatto acquisto delle più rare e squisite ghiottonerie del mondo: i fagiani ungheresi, il pan-duro di Roma, i salami mantovani, le sfogliate toscane ed i filets-de bœuf, le ostriche, i rombi, le orade, ecc., ecc., tutto, tutto è della miglior qualità possibile; i vini sono sceltissimi (avviso all’egregio Rovani), i dolciumi fanno venir E acquolina in bocca al solo vederli: insomma è una vera benedizione di Dio!... Vi sedete a tavola con un appetito dei più formidabili.... mangiate.... e ohimè!... tutto è insipido! freddo! perfino nauseante!... le salse lunghe, lunghe, come il brodo dei seminani; di più fra una portata e l’altra passa tanto e tanto tempo, che quasi v’addormentate!... Di chi è dunque la colpa?... Forse di quel vostro anfitrione che ha speso somme enormi per acquistare quanto di più prelibato v’era sul mercato?... forse del carbone dei fornelli?... forse della forma delle casseruole? — Oibò! oibò! (siete voi che rispondete); la colpa non può essere, e non è che del cuoco!.... del cuoco che non ha saputo cucinar bene e mettere in rilievo il gusto de’vari manicaretti, del cuoco che fu così lento nel servire i piatti che arrivarono in tavola freddi, del cuoco che non cucinò appuntino le carni, i pesci, ecc. Mò bravi, signori miei, avete ragione. 7 0 7 O Mettiamo al posto d’un bel fagiano la Fricci, al posto del pan-duro di Roma il Tiberini, a quello dei tortellini bolognesi la Pozzi-Branzanti, a quello de’salati mantovani il mio buon amico Collini, ed al posto delle squisite acquavite viadanesi l’altitonante Maini, e così via fino alle salse che rappresentano i cori, l’orchestra, il vestiario, ecc., ecc. Tutta questa è roba buona!... può darsi che ad un artista non si adatti troppo la parte, ma in fin dei conti quando si è Tiberini, momenti felici d’ispirazione e di canto se ne trovano sempre. I cori hanno voci potenti, belle e fresche: appartengono per la maggior parte a quelli oramai famosi del teatro Comunale di Bologna: e così pure i professori d’orchestra scritturati in sostituzione ai nostri buoni amici, che quest’anno giocarono ai capricci!!... (Pur troppo il noto e vecchio adagio «nessuno è indispensabile a questo mondo» s’applicò anche ai renitenti alla leva d’orchestra 1870-71; ed i nuovi artisti non sono da meno dei vecchi, in quanto che diedero prove del loro valore in altri primari teatri). Come va dunque che con tutto quest’assieme, innegabilmente buonissimo, con scene e vestiario sfarzosi, magnifici, V Africana ebbe un successo de’più glaciali? la musica apparve noiosa, lunga, slegata?! povera Africana! guai a te se ti presentavi in tal modo per la prima volta!.... potevi dormire addirittura il sonno eterno, senza ricorrere all’ombra del Manzanillo. Di chi la colpa? — Del cuoco, diamine, di nissun altri che del cuoco — ed il cuoco del teatro della Scala è il signor maestro Terziani. E qui cade acconcio il dire finalmente questa benedetta verità vera! E si può e si deve dirla ad un egregio maestro come è il sig. Terziani, il quale da artista coscienzioso e che ama e rispetta troppo Tarte si persuaderà che il matto non è poi tanto matto!!... L’essere maestro e profondo conoscitore di musica, non implica la qualità di direttore d* orchestra: il signor Terziani è un buon maestro certamente, conosce profondamente l’arte, ma non è per questo il direttore d’orchestra che vuoisi in un teatro di tanta importanza come la Scala. Le qualità necessarie per essere un buon direttore e concertatore sono tali e tante che difficilmente si riscontrano in una stessa persona: due soli hanno fama grandissima ed incontrastabile e sono il Mariani ed il Costa: altri pure brillarono di vivida luce, ma non ebbero campo di misurare le loro forze in teatri di primo ordine e con mezzi potenti, come ad esempio (per non citarne che due): il Bassi, direttore e concertatore, ed il Fumi, direttore; il primo è oggimai naturalizzato russo, e l’altro ebbe il talento di fare quattrini in America, ed in breve tempo. Le qualità positive del signor Terziani non compensano le sue qualità negative che sono: incertezza nell’attacco dei tempi, coloriti insignificanti, mancanza assoluta di brio: i tempi o larghi e slombati, o troppo stretti e precipitosi; non mai raggiunta T interpretazione intuitiva!... epperò fallito T effetto ideato dall’autore!... Gli artisti sono completamente abbandonati a sè stessi, giacché il Terziani legge continuamente la partitura, o si sbraita a destra ed a mancina in movimenti marcatissimi, mentre la bacchetta segna circoli viziosi, in modo che pare un vascello sbattuto dalle onde di un mar procelloso. Questo movimento ondulatorio è causa principale dell’esecuzione incerta, bislacca, senza efficacia che si ode da qualche tempo alla Scala. Qualcuno mi citerà le famose 16 battute all’unisono!... e gli applausi ed i bis con cui vennero accolte. Mettiamo per un momento che T effetto prodotto da queste battute sia tutto merito del direttore: ma signori miei, per sole 16 battute riescile bene, mette il conto di udirne delle migliaia riuscite male?... Felici voi se vi accontentate di così poco!... Ma non si può ammettere che un effetto puramente acustico, immancabile quando v’è un certo numero di buoni archi, sia merito speciale del direttore: il primo dilettante di musica che capiti in teatro, può andar francamente a dirigere le 16 battute!.... perfino il povero matto è certo di fare un bis!... forse il primo e l’ultimo in vita sua. Queste parole, il so, mi susciteranno contro rancori grandissimi!... recriminazioni interminabili!... lo so, lo so, e mi aspetto che il dottore venga a legarmi come un... salame. Ma vivaddio, matto fin che volete, ma senza peli nella lingua: la verità vera si dica finalmente una buona volta!... Il nostro teatro della Scala rappresenta interessi troppo vitali, troppo generali, perchè non se ne debba parlare seriamente: non basta il [p. 4 modifica]4 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO dire che il tale od di tal altro spettacolo non è ben riescilo: bisogna indagarne le cause, ed accennarle coraggiosamente, anche a costo di ferire l’amor proprio di qualche brava persona. - E poi i soli direttori d’orchestra saranno inviolabili?... Se un pittore espone un quadro cattivo, non vedo che gli si usi tanta cortesia, e lo si grida ai quattro venti in tutte le appendici. Dissi più sopra che queste mie parole susciteranno dei rancori!... ora, pensandoci meglio, non mi stupirei che comparissero anche quelle care insinuazioni maligne, che sono tanto in voga a’ giorni nostri!... E vero che ad un matto, anche le insinuazioni maligne possono fare poco danno!... ma voglio io stesso smascherarle prima. Non mancheranno certamente coloro che mi accuseranno di avere in pectore qualche amico direttore d’orchestra, e di volerlo far salire sul trono direttoriale della Scala!... Prima di tutto rispondo: se questo fosse vero, e se Uamico in pectore fosse un ottimo direttore, che male adunque vi sarebbe? quale il danno all’impresa, al pubblico, all’arte?... Davvero è difficile il rispondermi: a meno che non mi si rimproverasse che un danno ne verrebbe al maestro Terziani; ma anche questo non esisterebbe o sarebbe rimediabile, giacché esso si è acquistato già bellissima fama su altri teatri, come ad esempio Padova, Bergamo, ecc., ecc.: e nella capitale Roma, sua patria, ove certamente è desiderato. Che le sue belle qualità non sieno sufficienti per un teatro come la Scala, non vuol dire ch’esse non sieno più che bastanti in teatri di minor vastità, e dove vi sono minori esigenze. Ma il matto, d’amici in pectore non ne ha proprio: s’egli vedesse domani sul seggio direttoriale della Scala il pasticciere dell’offelleria Cova, e che questi ottenesse magnifici effetti dalle masse, griderebbe: Viva! con tutto il cuore e con tutta l’anima. Pensi adunque chi tocca a rimediare a questa lacuna: per me sono contento d’aver vuotato una buona volta il sacco, che davvero mi pesava di troppo sulle spalle. Ho parlato con coscienza, con convinzione, senz’altro di mira che il bene del nostro gran teatro, che con un poco di cura e di buon senso artistico potrebb’essere ancora il primo teatro del mondo. Questa è verità vera!... HONNY SOIT QUI MAL Y PENSE. Jl ^Iatto LA FORMAZIONE DEL PROGRAMMA COMMEDIA IN UN ATTO ED UNA SCENA L’azione ha luogo in Milano nella sala della Segreteria della SOCIETÀ DEL QUARTETTO All’alzarsi del sipario gli Onorevoli membri della Presidenza della Società sono seduti intorno ad un tavolino coperto di carte: nel mezzo sta l’egregio Presidente Prinetti col relativo campanello. PRESIDENTE (si alza, si soffia il naso - tosse, sorride, sputa) Signori garbatissimi - aperta è la seduta. Il cavaliere Chiusi - egregio segretario, Della seduta odierna - ne leggerà il sommario. CHIUSI All’ordine del giorno - per oggi ventinove; Programma d’un concerto - e relative prove; Nome, cognome e patria - di dodici signori Che voglion farsi iscrivere - fra i soci protettori: Avverto che al contrario - diventano più rari Coloro che s’iscrivono - come soci ordinari; Del resto è naturale - che in tempi tanto tristi Economi si facciano - i nostri bravi artisti. Propongo, miei signori, - che in una volta sola... presidente (interrompendo) Permetta d’osservarle - che ancora la parola Ella non ebbe a chiedere - ed entra già in quistione; Non dubito, anzi credo - ch’ella avrà pur ragione, Ma intanto è molto meglio - che in ordin procediamo, E quindi dal programma - per ora incominciamo. POSS Domando la parola! ERBA. Domando la parola! pesta.ga.lli (con forza) Domando la parola! PRESIDENTE Davvero mi consola Veder tanto interesse, - tanto focoso zelo!... A quelli che ei accusano - d’esser come di gelo Allora che si tratti - d’artisti italiani, E questa una rispósta - che li dichiara insani. chiusi (con vivacità) Insani, mentecatti - son sempre, miei signori, Color ch’osano erigersi - a farne da censori: Anzi per meglio dire, - dire vorrei... presidente (come sopra) La prego, Ella dirà benissimo - e questo non lo nego; Ma lasci ch’ora parli - qualcun degli altri membri, Che ha pur la lingua in bocca - per quanto a lei non sembri. (Il segretario Chiusi dà segni di stupore) SALA Del fenomeno strano - non v’è a restar confusi: Ella non se n’è accorto - perchè hanno i labbri chiusi. PRESIDENTE Dunque do la parola - al signor Poss. POSS La prendo Onde mostrar che anch’io - di musica m’intendo, E che non temo alcuno - qual mio competitore... Diamin, sono o non sono - aneli’ io compositore? Dopo la bella festa - fatta pel gran tedesco, Dopo i solenni brindisi - gridati intorno al desco, (In cui, modestia a parte, - ei disser benemeriti Di tutti i nostri soci - e futuri e preteriti) Crediam non sia possibile - (anzi ne siamo certi) Che dare ancor si possano - altri buoni concerti. Tutta quell’altra musica - è roba oramai vieta; Dunque non v’ha rimedio: - si taccialo si ripeta Il programma sublime, - che accese tanto gli estri, In onor di Peethoffen - maestro dei maestri. STRUTH Appoggio la proposta - con penna e con matita. PRESIDENTE Se si va di tal passo - non si fa più finita! POSS Perdoni: io la finisco - con tre, con due parole: Peethoffen solo è immenso - splendente come un sole, Il resto è un nulla, un soffio!... - direi, se mi è concesso: Il resto è un astro minimo - che brilla per riflesso. Verdi, Rossini, eteetera - son raggi di pianeta, Se pur la coda effimera - non son d’una cometa; Ma è vano in ciò l’insistere - noi tutti siamo intesi A proclamar quel grande - dell’arte la sintèsi. SALA. Preferirei lo sdrucciolo. STRUTH E sdrucciolo pur sia; S’intèsi troppo piano - la colpa non è mia. Torno, signori, a casa - lasciando il resto a parte, E proclamò Peethoffen - la sìntesi dell’arte. Bis, dunque, il centenario; - pensin che a questo patto Io posso anche una volta - prestare il mio ritratto!... Ormai, non c’è che dire, - trionfa la Germania, Voler quindi combatterla - è "proprio folle!insania: E il prova, in fede mia, - chi sta là sulla Senna! STRUTH Appoggio la proposta - con matita e con penna. [p. 5 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO ERBA Ed io codesta idea - davvero non l’approvo Nò per quanto si dica - dal mio parer mi movo. Adoperar l’orchestra - va ben per qualche volta, Ma poi tanto frastuono - ristucca chi l’ascolta: La vera e buona musica - fu scritta sol pel piano; Così non s’ha a ricorrere - al solito baccano Bando alla piena orchestra, - che reca tanto impiccio: La sinfonia non vale - la fantasia, il capriccio. Che ambrosia! d’un buon piano - gustare i dolci suoni,. E le brillanti scale, - le belle variazioni! E poi la è cosa vecchia, - da tutti la si sa, Che il piano rappresenta - la nostra civiltà. SALA Si aggiunga che i Prussiani - preser col piano i forti... E i Prussian son civili - lo sanno i vivi... e i morti. ERBA Dunque per farla corta - senza farmene un merto, Propongo che nel prossimo - nostro grande concerto, Si suoni tutta musica - per quattro pianoforti! SALA Oh! Dio! se ciò s’avvera - siam bell’e tutti morti. E questo un piano in erba. erba (con fòrza) Protesto! pestagalli (con maggior forza) Anch’io protesto! Prima di dar concerti - vuoisi pensare al resto! Si fabbrichi un locale: - la nostra società Ha d’uopo d’una sala - che sia sua proprietà. SALA Che sala va cercando?... - è desto, o parla in sogno? Dove son io, di sala - non ve n’è mai bisogno! pestagalli (riscaldandosi) Non creda, mio signore, - di farmi ammutolire L’arguzia de’ suoi motti - coll’obbligarmi a udire. Ripeto ch’è ornai tempo - che cessi il provvisorio, Noi siam tutti basati - proprio sull’illusorio: Ripeto ch’è ridicolo - veder di quando in quando Andar attorno i soci - la sala mendicando!... Sappian, signori miei, - non sempre c’è la bazza: E qualche giorno poi - ei troveremo in piazza. SALA Potremo ben ricorrere - allora alla parrucca. pestagalli (impazientito) Davver con questo spirito - direi che la mi stucca! PRESIDENTE Si calmino, signori, - nè usciam dalla quistione; Parliamci un po’ sul serio, - parliamci colle buone. Per fare un bel programma - siam qui adunati apposta. STRUTH Con matita e con penna - sostengo la proposta. ALBERTI Il nostro buon Pollini - non vedo qui presente. SALA Egli ha cento ragioni; - sarebbe un imprudente Se in questi giorni sacri - all’orgia, all’allegria, Andasse vagolando - per questa o quella via. Coll’appetito monstre - dei milanesi in festa Risicano i pollini - di perdere la testa! PISA Un programma... un programma... - sta ben, signori cari, Ma faccio una dimanda: - come stiamo a danari? Non facciam troppo presto - per non far conti in fallo: Vorrei su tal quistione - porci ben a cavallo. SAI.A Porci a cavallo!... appoggio. - Questo, ne sono certo, Fia spettacol più grato, - più raro d’un concerto. Simonetta (con entusiasmo) Cavallo!?... eccomi qua - con elmo, lancia e spada! Nè temano, signori, - che da cavallo io cada. Offro con tutto il cuore - questo mio personale: Mi fece suo dragone - la Banca Nazionale. PRESIDENTE Riconoscente accetto - la sua gentile offerta: S’abbia quindi signore, - le grazie che si merta. Ma intanto ho rimarcato - che il Vice-Presidente Cavalier Mazzucato - non disse ancora niente. MAZZUCATO A dire il ver, signori, - tacer mi giova, ed oso Chiamare il mio silenzio - un silenzio prezioso, In quanto che tacendo, - da osservatore serio, Delle opinioni varie - posso farmi un criterio; Però, se mi permettono, - ancor preferirei Lasciare un po’ discorrere - gli altri colleghi miei. CHIUSI Mi pare che parole - ne fur dette abbastanza Senza nulla concludere... - intanto il tempo avanza Ed io non ho potuto - dir loro il mio pensiero Che nel cervello scalpita, - indocile corsiero; Così, con mio stupore, - contro il costume usato Udii molti a parlare... - ma io non ho parlato. Mi spiace: non potei - dir loro da principio, Che impazienti mi attendono - al nostro municipio: Inoltre da stamane - perfin mi si dimanda Presso la Direzione - di questa nostra banda: Nè basta: un po’ più tardi - mi toccherà d’andare A confortar d’un guardo - la Banca popolare Con tanti e tanti impegni - non vo’ lasciare intanto Dimentica la scuola - popolare di canto... Infin, tutti mi cercano, - mi vogliono, mi bramano, Factotum di Milano - di qua, di là, mi chiamano. Non posso farmi in quattro: - m’usin la cortesia Di troncar la seduta, - lasciandomi andar via. PRESIDENTE Aspettino, signori, - restino un poco ancora... Cinque minuti chiedo, - suvvia, non chiedo un’ora! SALA E noi che speravamo - d’essere liberati!... presidente (con sorriso paterno) Ma, se lo son dal carcere - saran da me alloggiati. SALA Ma infin, questo concerto - daranno, o non daranno? Con certi lo combinano, - con altri non lo fanno,.. POSS Si replichi Peethoffen PRESIDENTE Oh! sì, se fossi matto! ERBA Ci voglion pianoforti! poss (indignato) Ci vuole il mio ritratto! pestagalli (violentemente) Occorre far la sala! Pisa (persuasivo) Ci vogliono danari! CHIUSI Mi lascino parlare - colleglli miei preclari! STRUTH Con penna... pestagalli (interrompendo) Basta, basta, - ei fa diventar gialli! STRUTH Permetta ch’io le tica - golleca Pestacalli... SALA Ma bene!... ei lo dichiara - con tal prezioso dato Dell’ottimo Briziano - socio cointeressato! MAZZUCATO Ora che i lor pareri - ho proprio ben sentito Tacciano un po’, m’ascoltino, - ho un bel concetto ardito. Credo prima opportuno - dir loro le ragioni Per cui stimo prudente... SALA Si suoni o non si suoni, Io me ne vado. ERBA Anch’io. MAZZUCATO Ma se nessun mi ascolta!... CHIUSI E meglio che il programma - si faccia un’altra volta. POSS Ma dunque il gran Peethoffen - si replica sì, o no? Che dirà mai Filippi? PRESIDENTE Codesto poi noi so, Ma molti ornai partirono - e in numero non siamo: Fia ben che la seduta - per ora proroghiamo. [p. 6 modifica]STRUTH Finché c’è qualcheduno - non me ne voglio andare: Con penna e con matita - qualcosa vo’ approvare. PRESIDENTE Poiché nessun risponde, - poiché nessuno ascolta, Dichiaro ad alta voce - che la seduta è sciolta. AL PUBBLICO La colpa non è mia - se nulla s’è concluso: Io ne sono stordito - e mi si allunga il muso. Bisogna confessare - cld è proprio un gran peccato: Aveva la seduta - sì bene incominciato!... Ala poi che alcun programma - non fu ancor messo insieme, E di riudir Beethoven - non ei riman la speme, Non voglio che per nulla - vi siate tutti mossi; Che partiate desidero - almeno un po’ commossi. Se di Beethoven ora - le sembianze arruffate Esser da voi non possono - di nuovo contemplate, Vi compenso, esponendovi - un altro bel ritratto... Vedetelo, ammiratelo, - dite s’è bello... è La sera del Santo Stefano — il Rubicone delle imprese — è passata, e pressoché tutti i Cesari apocrifi della stampa a quest’ora hanno aggiunto un’apposita nota ai loro commentarli per dire al mondo come qualmente il famoso passo si sia compiuto. Questa è la mia volta, ed incomincio. Ma prima di tutto lasciate che io vi faccia una dimanda: avete mai esaminato la fisonomia del pubblico in genere, e di quello della Scala in ispecie, nella famosa sera di S. Stefano? E siete voi riusciti a darvi ragione della musoneria implacabile, della severità sospettosa, inquisitoriale con cui invita sè stesso a tacere appena vede in aria il primo segno cabalistico della bacchetta del direttore d’orchestra? Io mi sono detto almeno una dozzina di volte, che in quel contegno di serietà ufficiale, volere o non volere, ei aveva da essere qualche cosa di panettone indigerito, e con un lieve sforzo d’immaginazione ho visto in ogni membro di quel gran corpo che si chiama il pubblico un ventricolo pieno. Ma chi è, in nome di Dio, quel Cesare apocrifo che si rispetta che non abbia detto e commentato questa preziosa scoperta almeno una dozzina di volte? Quest’anno ho trovato di meglio; sissignori, con un’occhiata più profonda del solito, (ciò che mi fa credere di essermi spinto ad una profondità rispettabile) io ho analizzato e scomposto le traccie del malumore che il pubblico porta periodicamente al teatro nella sera di Santo Stefano. Ecco il mio ragionamento: il giorno di Santo Stefano, agli occhi del vero filosofo, non è tanto un giorno di esclusiva proprietà di questo Santo (come sembra indicarlo la particella di) quanto un’appendice del giorno del Santo Natale - il giorno sacro all’idillio del focolare, del panettone e della bottiglia; il che è quanto dire che il Santo Stefano ha diritto alla sua fetta d’idillio; il che è quanto dire che ogni galantuomo si trova nel bivio crudele di rinunziare all’idillio o di mancare all’apertura del teatro; il che è quanto dire che ogni spettatore non è che troppo disposto a pentirsi della scelta che ha fatto — il che è quanto dire che egli non cerca di meglio che di mostrare a qualcheduno il suo malumore. Riassumendo: nel giorno del Santo Stefano si va al teatro perchè il teatro si apre in quel giorno, ma se il teatro avesse il buon senso di non aprirsi in quel giorno, il buon pubblico resterebbe volontieri a casa. Dagli spettatori veniamo agli spettacoli. La Scala è riuscita a risolvere un problema che si può proporre così: data una mezza dozzina di artisti più o meno celebri, dati novanta professori d’orchestra esimii, e ottantasei coristi scelti, data un’opera di sicuro esito, trovare il fiasco d’obbligo del Santo Stefano. Lo ripeto: il problema fu risolto meravigliosamente, e Y Africana di Meyerbeer, interpretata dalla Fricci, dalla Pozzi-Branzanti, dal Tiberini, dal Maini, dal Collini e dall’Antonucci, diede un tuffo, ricomparve a galla, diede un altro tuffo e sparì nei profondi gorghi della scena, che come tutti sanno è un mare instabile; in altri termini: Y Africana dopo l’onore (equivoco) di due rappresentazioni fu cancellata dal cartellone per preparare l’andata in scena della Norma. Questa catastrofe imprevedibile ed impreveduta si spiega con una frase che non è la meno graziosa del gergo teatrale: mancava Vaffiatamento. Gli artisti, uno per uno, cercarono di fare del loro meglio, da gente onesta che sa di essere celebre od esimia e tiene a farlo vedere, ma tutti insieme, Timo sull’altro, in monte... mancavano d’affiatamento. Fra tutti gli esecutori emerse la Fricci, artista che ha pochi eguali per le doti del canto e nessuno superiore per la parte drammatica. Si è trovato che la voce della Fricci è diventata alcun poco rantolosa, e non si è pensato che forse è alquanto rantolosa la parte di Selika; per me credo che la voce della Fricci non abbia nulla perduto e sono certo che la prima rappresentazione della Norma farà dire a qualche confratello che: Y organo della Fricci è sempre Yorgano meraviglioso d’una volta. Il Tiberini, valentissimo tenore che gode a ragione la benevolenza del pubblico milanese, non è assolutamente a suo posto nella parte di Vasco; però l’impressione che egli produsse fu tanto più sconfortante in quanto grandissime erano le aspettazioni e sconfinata la fiducia che si aveva nel suo talento sebbene si sapesse che egli doveva essere stanco per un lungo viaggio e che aveva assunto la parte di Vasco con sole due prove per sostituire il tenore Adams. Aneli’ egli però ebbe momenti felici, e nel famoso duetto d’amore dell’atto quarto seppe gettare nel pubblico una di quelle scintille elettrizzanti che mutano la freddezza in entusiasmo. La Pozzi-Branzanti non ha una voce robustissima, ma ha in compenso una dolcezza d’accento e una soavità di canto invidiabili; fu freddimela dal principio alla fine, ma nei duetti del quarto e del quinto atto fece valere tutte le sue doti e il pubblico riconobbe e festeggiò in essa un’eccellente artista. Il Collini (Nelusco), il [Maini (Don Pedro), T Antonucci, e gli altri (tutti bravissimi artisti) passarono senza infamia e senza lode non lasciando dietro di sè null’altro che la speranza, e vorrei dire la certezza, di poterli accogliere più degnamente in un’altra opera. L’orchestra era in carattere, e tirò faticosamente innanzi con una lentezza e con un sussiego degno di ammirazione; essa aveva l’aria di accompagnare con una marcia funebre alla sepoltura il disgraziato cadaverino d’uno spettacolo morto prima di nascere per mancanza di.... affiatamento. In quanto al vestiario e alle scene, salvo il famoso spaccato di vascello che rassomigliava più a una trappola tesa che ad [p. 7 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 7 uno spaccato di checchessia, e salvo il ridevole assalto dei selvaggi cogli analoghi fuochi di bengala, tutto andò benissimo. E questo il luogo di regalare agli impresari di tutto T orbe una buona massima. Eccola: «il pubblico che perdona volentieri quando si tratta di mostrarsi ignorante, non perdona mai quando si tratta di mostrarsi indulgente.» E nel caso concreto: il pubblico che perdonò di aver vestito Vasco di Gama coll’orpello dei pagliacci, perchè po’ su, po’ giù T aveva sempre visto così, non perdonò allo spaccato di vascello e ai fuochi di tengala dei selvaggi, perchè tutto ciò l’aveva visto a far meglio. l’uomo e che i filosofi non hanno ancora spiegato la potenza gioconda d’un calcio applicato saviamente... nella parte innominabile; sta il fatto che dacché mondo è mondo un calcio ha sempre fatto ridere; ma questa volta il pubblico del Santa Radegonda rise con tanto gusto, con tanta e così sincera soddisfazione, che certamente Marte ei entrava per qualche cosa. In fatti, conveniamone, in questi momenti in cui il dio delle battaglie ne fa tante delle sue, non è piccolo conforto per un cuore ben fatto il pensiero che, almeno nel palcoscenico del teatro Santa Radegonda, si trova ancora un dio capace d’infliggergli coram populo una simile punizione. S. F. Il teatro Carcano ha incominciato la stagione col Rigoletto, al quale succedette due giorni dopo la Lucia di Lammermoor. Due capolavori in una settimana! Siamo sinceri; non è già trattar male il pubblico, specialmente quando i capolavori non si presentano storpiati fino alla deformità, fenomeno non raro nei fasti di quel teatro. Il Rigoletto, è vero, ei aveva qualche cosa di più della gobba e della sciancatura messa al mondo da Victor Hugo e posta in musica da Verdi, ma non era addirittura un mostro come sa farne il Rovaglia, ed avrebbe potuto attraversare un’orda di biricchini senza farsi tirare i sassi — il che non è poco. Ma tanto e tanto non arrisero troppo liete sorti al povero Rigoletto, e sebbene il Giori, la Bellariva e T Amorini facessero di tutto per guadagnare la partita, il pubblico che per le ragioni dette sopra era di malumore trovò il pretesto del tenore, che era ancora alle prese col panettone della vigilia, per mostrarsi arcigno ed intrattabile, come se ad un onesto tenore non dovesse esser lecito di partecipare alle carezze pletoriche del Santo Natale. Quando un pubblico ricorre a simili pretesti per tenere il broncio, egli firma la sua sentenza con tutte le sue mani — e la critica non ha di meglio a fare che pubblicarla ai canti delle vie. La Lucia ebbe sorti migliori; emerse la Brambilla che cantò con molta grazia, e piacque un tenorino — Lojacono — il quale ha, più che una bella voce, un aspetto gradevole, che non è la allampanata esilità dei tenori sentimentali, nè la rotonda mole dei tenori di forza, ma un non so che tra due che ’fa credere di vedere davvero un innamorato; cosa che avviene cosi di rado fra i tenori, che bisogna tenerne conto ad ogni costo. Anche il baritono Rossi-Romiati, incrollabile sul palcoscenico del Carcano da qualche tempo, si tolse lodevolmente dalla sua parte; e gli altri non guastarono ad onore e gloria dell’impresa. Peccato che tutto ciò si sia compiuto dinanzi a un pubblico così diradato, che pareva meglio gli avanzi generosi d’un pubblico che si fosse battuto a Sedan, che un pubblico vero. Si attende ora il Fornaretto, il Mosè, il Roberto il Diavolo, il Faust e tante altre meraviglie — e Rovaglia è uomo da farne vedere delle belle... se il pubblico vorrà vederle. La Canobbiana ha finalmente il suo bravo spettacolo di commedia e ballo; dico bravo per non dire cattivo, ma se dicessi cattivo, per quanto ciò dovesse crescermi fama di sapienza, mi sentirei ardere dai rimorsi; mi spiego meglio: la compagnia drammatica eseguisce bene e piace; il ballo, Fra Diavolo, non è eseguito bene e non piace. Al Re (vecchio) recita la compagnia Pezzana, ricca di artisti eccellenti, ma più ricca di artisti mediocri; non mancherà occasione di occuparmene di proposito quanto prima. Il Santa Radegonda è rimasto fedele al passato e continua a beatificare la folla coi vaudevilles del repertorio francese. Di questi giorni ce ne furono ammaniti due migliori e meglio eseguiti dei soliti, cioè: Monsieur de Choufleuri con quel che segue, e Orphée aux enfers, T uno e T altro di Offenbach. Il successo di entrambi fu lusinghiero, ma quello del secondo lo fu in modo speciale grazie all’amenità della caricatura. Fra le tante bellezze scoperte dal pubblico in questo Orfeo ce ne fu una che le passò tutte, voglio dire un calcio applicato da Giove nella parte innominabile di Marte. È cosa che si collega colla natura delPS. Il doppio spettacolo — Norma e La Dea del Walhalla (ballo) — ebbe ieri alla Scala un successo assai lusinghiero. La Fricci ha eguagliato la sua fama e fu applauditissima in tutta Topera: nella frase: Oh non tremare, o perfido, fu sublime, ed entusiasmò il pubblico che ne volle la replica. Fu pure assai bene accolto il tenore Tasca de Capellio. Il ballo parve troppo lungo, ma vi è un’abbondanza di luce, di apparizioni, di trasformazioni e una ricchezza di scene e di vestiarii che sbalordisce. Buoni ballabili e gruppi di bell’effetto non ne mancano. Lo spettacolo, allietato da un pubblico numeroso e ben disposto, fu contristato sul principio da una disgrazia toccata all’egregio clarinettista Luigi Bassi, il quale fu colpito da sincope e dovette esser trasportato fuori del teatro privo di sensi. Il pubblico, che vuol dare una causa anche alle sincopi, suppone che non siano estranei a quella sciagura certi dispiaceri che di questi giorni toccarono al Bassi per motivi della sua carica. Speriamo ad ogni modo che la cosa non sia grave e che l’esimio artista sarà presto ridonato alla nostra orchestra. Notiamo intanto il coraggio fortunato del clarinettista sig. Sarno Antonio, il quale sostituì il Bassi all’improvviso senza alcuna prova precedente e se ne tolse con onore. NB. L’organo della Fricci, non vi è più dubbio, è sempre T organo d’una volta. S. F. Torino 9 29 dicembre 1870. Non posso trattenere la mia impazienza di farvi noto il successo del nostro spettacolo al Regio, dal momento che le notizie di codesto della Scala e di quello della Pergola non sono guari liete, e le massime scene di Napoli e di Genova non hanno potuto solennizzare la loro riapertura nè a Natale nè a Santo Stefano. Un certo tal quale orgoglio municipale mi spinge d’altronde a parlarvene brevemente e subito, inquantochè il Regio è stato abbastanza fortunato per poter contare un successo, malgrado che non ei sia stato gran merito per parte di tutti i personaggi secondarii ed anche di qulcuno de’ primarii, almeno di quelli che dovrebbero essere tali. [p. 8 modifica]8 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO La storia della serata è questa: nel primo atto applausi calorosi alla romanza del tenore, approvazione alla canzone guerresca di Marcello, cantata dal Brémond con grande sicurezza di cantante e d’attore e con molta forza di mezzi vocali: attestati di simpatia alla signora Corsi, un paggio che si esprime con garbo e canta di grazia sopra due ben tornite gambe: qualche smorfia all’aria di Margherita tagliata della metà e pure troppo lunga, attesa la voce un poco gutturale della signora Luppi, la quale vocalizza bene, gli è vero, ma non a posto sotto gli abiti della promessa sposa di Enrico IV; applausi prolungati al gran finale del secondo atto. Il famoso coro del rataplan non è andato bene causa il BoisRosè che ha tirato le masse fuori di carreggiata; il duetto fra Marcello e Valentina, uno dei migliori pezzi dell’opera, è passato sotto silenzio: benissimo il settimino; egregiamente il coro della lite, ma l’atto è terminato piuttosto freddo. Al contrario nel terzo atto è piaciuto il gran pezzo della congiura, e il famosissimo duetto è stato campo d’immensi trionfi alla Benza ed al Capponi, i quali, avendo tratto il pubblico all’entusiasmo, sono stati chiamati cinque volte al proscenio. Nel quinto atto non c’è più stato che qualche applauso al terzetto, inteso da pochi spettatori, perchè, dopo la chiusa strepitosa dell’atto precedente e stante l’ora tarda e la lunghezza di questo interminabile spartito, buona parte del pubblico s’era frettolosamente ritirato. L’orchestra è stata inappuntabile, non cosi la banda sul palco, dove certe trombe scorticavano senza misericordia le nostre povere orecchie. Anche i cori meritano elogi, e infatti alla terza sera, cambiato il soldato troppo ugonotto, s’è avuta una interpretazione più cristiana. I ballabili sono stati meschinissimi e sono riesciti un perditempo e nulla più: belle le scene, magnifico il vestiario, grette le decorazioni, scarso il comparsane. All’indomani tutta la nostra stampa politica s’è pronunziata in generale contro lo spettacolo restringendo gli elogi alla Benza ed al Capponi e ne ha cercato le cause in diversi motivi più o meno accettabili. Nessuno per altro ha detto il principale, che a parer mio si è quello avere anche i colossi meyerberiani fatto il loro tempo, come tutte le altre opere del repertorio straniero, le quali, passata la novità dell’imponenza e del prestigio esercitato dalle masse e dal dramma, finiscono per stancare le moltitudini che, avide di novità e sopratutto di melodie, corrono al teatro e vogliono assolutamente divertirsi con poca fatica di mente e colla minor possibile perdita di tempo. Ne sia prova la commedia con musica intitolata La festa in montagna che i piemontesi diretti dal Milone hanno già ripetuta 27 volte: ne sia prova l’operetta La Perichole d’Offenbach, che è l’unica risorsa dei francesi attendati allo Scribe: ne sia prova il successo ottenuto al circolo Ermione dalla farsa in musica I due Ciabattini del Ruggi, con cui quegli egregi dilettanti di canto e suono hanno saputo farsi immensamente applaudire. C. M. Venezia, 27 dicembre 1870. L’apertura del teatro La Fenice avvenuta ieri sera, volendo mantenere le storiche tradizioni del San Stefano, fu qualche cosa, sotto il punto di vista artistico, di veramente bello, fgrandioso, stupendo. Per trovarvi un riscontro bisognerebbe rimontare a molti anni addietro, e precisamente a quegli anni in cui la briosissima penna del nostro T. Locatelli, la cui perdita non è mai deplorata abbastanza, il G. Gozzi dei giorni nostri, ne faceva le relazioni con quel fino criterio, con quella gentilezza d’animo e con quella soave giovialità che erano le doti particolari di quel delicatissimo ingegno. Quantunque ei fosse una grande aspettazione; quantunque da alcune settimane non si facesse che inneggiare alla valentia dei cantanti che erano stati scritturati pelle nostre scene; quantunque i fortunati mortali che erano stati ammessi alle prove avessero, anche i più schifiltosi, detto mirabilia ai loro amici — pure l’esito superò di molto ogni prevenzione. Il Don Carlo ebbe ieri sera un trionfo tale che a pochi spartiti, su scene cotanto importanti, fu concesso di ottenere. Le bellezze peregrine di questo lavoro, che il Verdi deve aver scritto a bello studio per mostrare al mondo attonito quanto facile sia all’arte italiana di vincere anche nell’aringo delle armonie, delle moltiformi combinazioni scientifiche, delle difficoltà d’ogni fatta, chiunque volesse tentarne la prova, codeste bellezze peregrine, ripeto, vennero poste ieri sera tutte in risalto da quella schiera di veramente eletti artisti che abbiamo la fortuna di possedere oggidì. Primi tra i primi dobbiamo mettere la Stolz ed il Cotogni che si elevarono a tale altezza che a pochissimi è dato di raggiungere, a nessuno di superare. Dotata la prima di magnifica voce di vero soprano di tale estensione da toccare senz’ombra di sforzo le note più belle d’un vero contralto; sorretta da tutte quelle risorse che il lungo studio, il delicato sentire ed un’anima di fuoco possono ispirare, fu un’Elisabetta sorprendente. Dalla prima all’ultima frase essa si rivelò somma, inarrivabile artista. — Nel mentre la sua voce docile e soave ti ricerca le fibre più remote del cuore, il suo sguardo, composto a serenità, concorre aneli’ esso potentemente a trasfondertene la sensazione, e devi amare, dirò cosi, del suo amore: al contrario allorché sprigiona dall’invidiabile registro, presaghe di corruccio, di dolore, di disperazione, ben più potenti note, il dardeggiar dell’occhio fulmineo, le franche e recise movenze, tutte subordinate ad uno squisito sentimento del bello, ti trascinano spietatamente nel vortice del suo affanno. — Il punto però più saliente in cui veniva maggiormente acclamata fu la grand’aria dell’atto quinto. «Tu che le vanità conoscesti del mondo «che disse in modo meraviglioso, profondendo a piene mani gli immensi tesori d’una voce cotanto superba, e mostrando, rispetto a modi, un sorprendente magistero. Il Cotogni, che ben si può chiamare il principe dei baritoni del giorno, ha decisamente affascinato il pubblico. Questo cantante dalla voce potente e soave è veramente qualche cosa di straordinario: egli canta come pochi sanno cantare, e sia pure la sua parte irta di difficoltà, egli tutto abbatte e vince con una facilità, con un possesso che sbalordisce: in lui non travedi nè sforzo nè la più lieve fatica: sia pure talvolta il suo canto vibrato e potente, la voce ne esce tranquilla e sicura. I suoi modi sono elettissimi e sovente, non contento delle difficoltà inerenti allo spartito, egli ve ne aggiunge delle nuove sempre di ottimo gusto e pare si diverta a sfidarle. La voce di questo cantante sovrano ti lascia un’impressione perenne. Infatti chi può dimenticare quella sua frase: «Carlo mio, con me dividi Il tuo pianto, il tuo dolor! «e T altra nel terzetto dialogato: «Dato gli sia - che vi riveda, Se tornerà - salvo sarà». Finalmente chi può riprodurre a parole l’impressione che si prova udendolo in quel bellissimo canto: «Per me giunto è il dì supremo «No; la parola non basta a riprodurre sensazioni simili: bisogna udirlo e una volta udito il Cotogni non si dimentica più mai: il suo canto, specialmente a questo passo, che dovette replicare, ti lascia un’impressione incancellabile: la sua voce, per dirla alla Guerrazzi, ha le vibrazioni dell’arpa che cessò di esser tocca, vibrazioni che perdurano eterne. Il Fancelli ha bellissima voce, ma a me sembra che sarebbe più a posto nelle opere di Rossini ed in taluna del Bellini. La sua voce, più che forte, è graziosa, e pel canto verdiano abbisogna un fraseggiare largo, vibrato, potente. Egli ha modi eletti, ma inutilmente tu aspetti per tutto lo spartito uno di que’ mo [p. 9 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 9 menti (uno solo) che hanno tanto sovente i due primi. Anche il genere della voce, (del resto, lo ripeto, stupendamente bella) non ha il timbro confacente per un canto eminentemente drammatico. Io amerei udirlo nei Puritani., nel Mosè, nel Barbiere ed in cento altr e opere, che, a mio avviso, gli porgerebbero larghissimo campo a straordinari trionfi. — Per altro egli cantò la sua parte assai bene e fu fatto segno di sincere acclamazioni. La Contarini fu a buon diritto festeggiatissima. Questa simpatica cantante, su cui, parecchi anni or sono, udendola a Verona nel Giuramento, ebbi a vaticinare di belle cose assai (e lo ricordo con compiacenza, perchè si sono avverate), fu. un Eboli inappuntabile. Quantunque avesse a lottare colle indelebili ricordanze della Gaietti, nell’arte del canto e nella fluente soavità della voce a nessuna seconda, pure seppe farsi applaudire clamorosamente alla Canzone del Velo detta con somma leggiadria, quantunque troppo bassa pel suo registro; ma applausi ben più vivi e chiamate ella si ebbe alla sua aria nell’atto quarto: «Dono fatai, dono crudel «La udremo presto nella Beatrice e mi azzardo a dire fin d’ora che piacerà, d appoichè la fama di questa artista veramente diligente ed eg re già non fu carpita, ma guadagnata con meriti reali. Basti il ricordare cerne l’anno scorso assumesse qui la faticosissima parte di Margherita nell’Alberigo del maestro Malipiero, opera d’una tessitura cotanto ardita, particolarmente per lei, che pcche donne tra le migliori avrebbero potuto sostenere: eppure per 12 o 13 sere ella cantò con taleamore che fu T idolo del pubblico, ed il Malipiero deve serbar carissima memoria di lei che tanto cooperò al buon esito dell’opera. Il basso Angelini (Filippo) è buon cantante, ma la sua voce riesce monotona. Le re miniscenze del Medini sono per lui fatali; cionullameno, specialmente nei pezzi concertati, sa trar partito da’ suoi mezzi e farsi applaudire. Il Nannetti (inquisitore) ha bella vece e canta bene: fu merito tutto suo se questa volta si potè gustare il duo dei bassi nell’atto quarto, duetto che due anni or sono passava inosservato malgrado il molto bello che racchiude. L’orchestra diretta dal valentissimo Castagneri ed i cori capitanati dal bravo Acerbi, rivaleggiarono con nobilissima emulazione, e meritano entrambi le più larghe ledi. La messa in iscena potrebbe essere migliore, ma non bisogna cavillare sulle inezie quando ei si dà del buono e del bello a profusione. — In una parola se il Don Carlo nello stesso teatro or fanno due anni piacque, ora desta un vero entusiasmo. E non è a dire che l’esecuzione di allora non fosse commendevole per più riguardi. La Gaietti, la Blume, il Villani, il Colini, il Medini sono n orni carissimi nella storia dell’arte; ma questa volta v’ha un complesso che meglio si adatta alla perfetta interpretazione del grandioso capolavoro... Qui m’accorgo di aver di troppo varcato i confini d’una corrispondenza e mi fermo ad un tratto. Ve ne chiedo venia, ma aveva veramente bisogno di dir bene d’uno spettacolo alla nostra Fenice. E infatti era tempo che que sto splendido ritrovo, che ha delle tradizioni cotanto rispettabili, potesse emettere i soavi profumi d’uno spettacolo monstre p er ripulirsi dei deleteri miasmi di cui l’avevano infetto e conta minato, specialmente l’anno decorso, certi profani sacerdoti dell’arte e certi ancor più spudorati speculatori. Nella prossi ma settimana vi terrò parola dei teatri minori. P. F. Mantova, 29 Dicembre 1870. Un tempo indemoniato, e. da far rammentare la ritirata di Mosca, impedì alla maggior parte dei nostri cittadini di recarsi la sera del 26 corrente al teatro Sociale per assistere alla prima rappresentazio ne del Buy Blas del Marchetti. In verità mi faceva dispiacere il vedere un teatro mezzo vuoto per ascoltare uno spartito tanto desiderato ed. eseguito anche da artisti di merito. Io non vi farò una critica, perchè non farei che ripetere il già detto anche su questo stesso giornale, nel N. 15 dell’anno scorso, allorché il Ruy Blas veniva rappresentato per la prima volta in Milano. Il nostro pubblico fece lieta accoglienza a quest’opera che presenta dei punti veramente belli, ma che in massima non ha di quei pezzi che affascinano ed attirano le masse. Sebbene il Ruy Blas abbia fatto il giro di molti teatri d’Italia, metto pegno che non ha fatto e non farà mai l’interesse delle imprese. Comunque sia, l’esecuzione fu buona per parte degli artisti i quali fecero risaltare i punti salienti dell’opera, cioè: il duetto di Don Sallustio e Ruy Blas nel primo atto, la ballata di Casilda nel secondo, l’aria di Ruy Blas, il duetto d’amore ed il successivo duetto con Don Sallustio nel terzo atto, e finalmente il terzetto tra Don Sallustio, Ruy Blas e la Regina e il duetto finale nel quarto atto. Steger nel terzo e quarto atto fu inarrivabile, allorché specialmente il dramma incalza; gli fu forza replicare il duetto d’amore, ed ebbe molti applausi al finale dell’opera. La signorina Ciuti ha una bella voce di soprano che si adatta benissimo alla partitura, ed oltre ciò ha intelligenza e sentimento musicale. La signorina Massaro, benché esordiente e dominata da timor panico, seppe cogliere applausi nella parte di Casilda, e dobbiamo rendere giustizia al Cima che nella difficile parte di Don Sallustio ebbe non dubbie prove di approvazione. Tutto sommato piacquero l’opera e i cantanti. Si hanno però a lamentare le indecenti scene, i vestiari, specialmente delle donne, e la messa in scena tutt’altro che intelligente. D.r E. P. Vienna, 21 dicembre 1870. Le giornate 16, 17, 18 e 19 dicembre faranno epoca negli annali dell’arte, essendo state consacrate alla memoria di Beef thoven per la ricorrenza dell’anniversario secolare della sua nascita. Beethoven non è viennese, però che nacque a Bonn, ma fu viennese per adozione perchè ivi concepì le sue migliori produzioni, perchè trovò nell’ospitalità viennese occasione e campo a sviluppare il suo genio, perchè se Vienna non intese il suo primo vagito, raccolse però il suo ultimo sospiro, essendo imma[ Diramente morto fra noi nell’anno 1827, ed avendoci lasciato la sua spoglia che giace nel camposanto di Wàhring. Beethoven è dunque nostro concittadino per sentimento e per convivenza e come tale vollero rendergli omaggio gli amici ed i cultori dell’arte musicale. La così detta festa di Beethoven fu concepita sovra dimensioni assai larghe, perchè il comitato promotore volle far rivivere il maestro presentandolo al pubblico sotto i molteplici aspetti che una prodiga natura gli permise di prendere. Si volle rammentare ai discendenti il Beethoven lirico-drammatico, concertista, sinfonista, scrittore di melodie sacre e teatrali, sommo in tutto, benché l’eccellente di una singola delle sue parti avrebbe bastato per tramandarne il nome alla posterità. Se il comitato promotore ebbe un torto, fu di aver pensato soltanto agli artisti od amatori, conoscitori, e per nulla a quella parte del pubblico che, benché profano, pure sente immenso diletto ad introdursi nel santuario delle muse. Non bastava, a parer mio, magnificar Beethoven, dovevasi eziandio popolarizzarlo e render la festa accessibile, ad un uditorio tre o quattro volte più grande, il che non era difficile perchè in Vienna i locali non mancano per siffatte riunioni. La festa invece si circoscrisse fra le sale dell’Accademia filarmonica; molti furono i chiamati e pochi gli eletti, vale a dire che moltissimi sarebbero accorsi corrispondendo un prezzo modico, mentre in proporzione pochi furono gli ammessi pagando una forte entrata. Ed ancora se non si fosse trattato che di pagar T entrata! ma bisognava pagar gl’incettatori di entrata, e farlo in tempo, in guisa che, benché i promotori delle feste ei ponessero briga, tempo e forse dispendio, pure non vanno esenti dal sospetto di avere evocato i mani di Beethoven per [p. 10 modifica]10 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO specularvi sopra. Povero Beethoven! chi direbbe che lo spartito originale della messa, eseguita il di 18, trovato nell’inventario dei suoi scritti dopo morto, venne venduto al padre del vivente Artaria per l’ingente somma di fiorini 7, 6 (dico sette fiorini e sei kreuzer), appena la metà del prezzo di entrata che si pagò per udirne T esecuzione! Per essere breve vi dirò che la festa cominciò il di 16 colla rappresentazione dell’opera Fidelio nel nuovo teatro Imperiale dell’Opera. La sala era splendidamente illuminata, grande e scelto il concorso. Ivi si incontrarono le sommità di ogni classe sociale, Corte, diplomazia, armata e sovratutto T opulente finanza del vecchio testamento che, per gusto o per calcolo, rappresentando la parte del Mecenate, sulla ’scena sociale, va bel bello soppiantando la caduca aristocrazia. La serata principiò con la Sinfonia festiva op. 115; a questa succedette un Prologo drammatico declamato dall’esimia artista signora Welter, che compariva sulla scena nell’aspetto di una Musa con una lira dorata in mano e produceva, altri dicono un contrasto, quanto a me dirò un singolare anacronismo, standosi sulla scena attorniata dai preclari e benemeriti intendenti, direttori, ispettori, ecc., ecc. del teatro Imperiale in cravatta bianca, gialla, nera a coda di rondine, pantaloncini e scarpette. Il che non toglie che la Wolter porgesse col suo talento, accompagnata da alcuni accordi melodrammatici, un’apoteosi del venerato Maestro, dando ai versi colla sua enfasi un colorito che non seppe dargli il poeta. Alla declamazione successe un coro, poscia si alzò un sipario che smascherò un tempio, attorniato da figure allegoriche fra le quali campeggiava un busto colossale di Beethoven. La Wolter sali sui gradini del tempio e depose sul capo dell’eroe della festa una corona di alloro fra i fragorosi applausi del pubblico. Non nego che la scena riescisse bene, il teatro prestandosi egregiamente agli effetti di luce, ma per un occhio un po’ esperto ed abituato agli spettacoli di molti paesi, appariva un fondo arcadico ed accademico che sapeva un tantino di pedanteria. E questo fu il punto culminante dell’apoteosi. Dopo la fantasmagoria si venne al sodo, cioè a Beethoven in anima ed in corpo, qual ce lo rivelava il Fidelio, il quale fece dimenticar tutto il preambolo di cui vi narrai per dovere di cronista. Fare l’analisi del Fidelio e profondermi in encomii gli è portar acqua al mulino. Mi limito a dirvi che fu eseguito come doveva esserlo da una eccellente orchestra e da consumati artisti. Ivi rifulse di nuova e sempre viva luce la Dustmann, nella parte di Leonora, il Beek in quella di Pizarro, Walter in quella di Florestano, e fecesi onore la Tellheim, il Draxler, nonché Schmid e Pirk. Grande e commovente sensazione produsse il coro dei prigionieri, ove la natura ed il sentimento drammatico sono così veramente tratteggiati che si direbbe una pittura di note. Basta questo pezzo per dar un’idea del talento drammatico di Beethoven. All’indomani e fino al 19 si alternarono i concerti nelle sale deH’Accademia filarmonica. Le bandiere che sventolavano innanzi all’edificio annunziavano la festa al pubblico. Il locale era ben addobbato, il vestibolo trasformato in giardino, ma se il teatro era già ristretto, era l’Accademia cosi angusta, che non vi era più un angolo per ficcarsi; tutto era pieno fino alla cornice. Il 16 cominciò il concerto con la Sinfonia op. 124 scritta nell’anno 1822 per l’apertura del teatro della Josefstadt. Qui mi permetto una riflessione. L’apertura di un teatro suburbano, ormai diventato di terz’ordine, s’inaugurava con un’opera nuova scritta appositamente da un gran maestro, mentre aprendosi il sontuoso teatro dell’Opera, Tanno scorso, non si trovò di nuovo che alcune strofe, a guisa di prologo, regalateci dalla musa del Consigliere Dingelstedt; quanto all’opera si dovè pescare nel repertorio vecchio di Mozart. Pure il teatro nuovo dell’Opera costò quaranta volte più del vecchio della Josefstadt; giacché eravamo nelle spese poteasi pagare un maestro per iscrivere un’opera. Ma in Vienna pur troppo si moltiplicano i teatri lirici, ma i Mozart, i Beethoven sono diventati introvabili. Per supplirvi si sopraccaricano i teatri di dignitari, intendenti, consiglieri e direttori a iosa — dalla Corte si sale al Parnaso. Tornando al soggetto, alla sinfonia successe pure un prologo, applaudito, perchè detto dagli egregi Lewinski e Weilens, ma che, a meno di volerci dimostrare la fraternità fra la musica e la poesia, il che sappiamo da un pezzo, era affatto superfluo riducendosi ad un’apologia di Beethoven alla quarta potenza, di cui non avevamo bisogno, mentre ogni nota scritta dal maestro gli serve di apologia. Ma gli è nel carattere tedesco di ripetere e ricalcare le cose usque ad satietatem e di non avvedersi ch’ei diventa stucchevole e monotono. Il signor Door eseguì squisitamente sul cembalo uno dei concerti più melodiosi, Top. 73. Pure questo stesso concerto, oggi cosi applaudito, fece fiasco nella stessa Vienna l’anno 1812! Il trattenimento fu chiuso con la grandiosa sinfonia op. 125, col concorso di Dessoff e dell’orchestra dell’Opera. Domenica 18 la stessa sala aprivasi ad altri esercizi musicali, ove sotto la direzione del signor Hellmesberger eseguivasi la Messa solenne scritta nel 1822 e dedicata all’Arciduca Rodolfo, arcivescovo di Olmùtz. Nell’orchestra contavansi 80 suonatori, e fra i cantanti 700 individui. I soli di soprano furono cantati dalla sig.a Wilt, quelli di contralto dalla sig.a Gomperg-Bettelheim; i soli di violino suonati dal Grùn e l’organo da Bruckner e Frank. L’esecuzione riuscì, bene, quantunque tratto tratto si palesassero imperfezioni nate dall’associazione di tanti diversi elementi più o meno istruiti. Il Kyrie, il Gloria ed il Credo furono freneticamente applauditi. Lunedi 19 fu T ultimo giorno delle feste ed il terzo dei concerti. Il concerto ch’ebbe luogo di giorno all’Accademia filarmonica si aggirò in quelle composizioni cosi dette di salotto. Si aprì col terzetto op. 97 scritto nel 1811, eseguito da Epstein, Grùn e Popper. Troppo grandioso trovossi questo terzetto per un’accademia, ma esuberante di originalità che rapiscono anche i profani. A questi successe un ciclo di canzoni che ei rivelavano Beethoven sotto un altro aspetto, canzoni piene di frasi espressive e ricche di sentimento. La signora Gomperg cantò alcune melodie inedite o meno note in Vienna. Si terminò col famoso quartetto composto nel 1826, un anno prima della morte dell’autore, ove si distinsero nell’esecuzione Hellmesberger e Bacimeli. La sera riaprivasi il teatro colla rappresentazione ceV Fgmont, poesia di Goethe e musica di Beethoven. Se il teatro era zeppo ce n’era ben donde, perchè chi non accorrerebbe all’intendere questi due grandi nomi? Conchiudo dicendovi che gli artisti delT Opera coll’orchestra diretta da Herbeck fecero risaltare tutte le bellezze dello spartito riscuotendo immensi applausi e lasciando nell’uditorio un desiderio ancor più vivo di udire le produzioni di quel genio, distribuendole per serie, onde assaporarle con calma e comodo, senz’affastellarle come venne fatto in questi quattro giorni festivi. G. Gelsi. — MILANO. Il nuovo atrio del teatro alla Scala soddisfece pienamente al gusto del pubblico. L’antica sala di aspetto delle signore fu ridotta alla sua primitiva destinazione di vestibolo, e fu adattata un’altra sala d’aspetto, abbastanza elegante, che negli anni avvenire dovrà avere la sua corrispondente. Questa nuova distribuzione dei locali non danneggia punto la libera circolazione, come altri aveva temuto. MODENA. Scrive il Panaro del 26 dicembre: Ieri sera si aprirono le scene del nostro maggior teatro e si diede la prima rappresentazione della Contessa d’Amalfi e del Brahma. Il teatro era affollato, ma il pubblico non era di buon umore, e sembrava che il gelo, che ricerca il midollo dell’ossa in questi giorni, tenesse eccitati i nervi degli spet [p. 11 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO li tatori e li spingesse ad una critica impaziente anziché ad una tollerante indulgenza. Gli è perciò che l’opera è andata un po’suMe grucce, e un’alternativa di plauso e di zittire non ha permesso di giudicare il merito rispettivo degli artisti della Contessa d’Amalfi. La signora D’Alberti per altro è stata spesso applaudita, ed il signor Rampini è riuscito con molto sangue freddo a vincere il panico che lo dominava e a farsi incoraggiare. Anche il Buffagni è stato applaudito. CASALE (Monferrato). In questo carnevale anche Casale, cosa insolita, ha la sua brava opera buffa. Sabbato, ultimo giorno del passato anno, ebbe luogo la prima rappresentazione del Crispino e la Comare, di cui ei mancano notizie. NAPOLI. Il teatro S. Carlo si aprirà non più tardi del 6 corrente ad un corso di 84 rappresentazioni che durerà fino al 31 maggio. Verranno eseguite durante la stagione tre opere nuove per Napoli, cioè: Don Carlo di Verdi; Ruy Blas del Marchetti; Regina e Favorita del maestro Sangermano. Quest’ultima opera fu scritta apposta per Napoli. Nell’elenco degli artisti scritturati troviamo i seguenti: soprani: signore Palmieri e Krauss; tenori: Barbacini e Vicentelli; baritoni: Mendioroz e Maurel; basso: Luigi Vecchi. CAGLIARI. Al teatro Civico andò in scena la Vestale del compianto Mercadante; l’esecuzione fiacca ed incerta, causa il timore panico degli artisti, danneggiò il successo che fu un po’ freddo; non mancarono però gli applausi e gli incoraggiamenti ai principali esecutori. TREVISO. Il Don Giovanni di Mozart, interpretato da due esordienti e da artisti men che mediocri, ebbe esito infelice. L’impresa pensa ad allestire un altro spettacolo. CATANIA. La sera del 22 dicembre andò in scena il Rigoletto che ebbe esito felice. Amodio (Rigoletto), la signora Dominasi (Gilda) e il Tombes! (Duca) furono applauditissimi. Le seconde parti guastarono la pienezza del successo. MADRID. La Marta ebbe favorevolissima accoglienza al teatro Nazionale. Nell’esecuzione emerse la signora Ortolani-Tiberini che fu applaudita entusiasticamente in tutti i suoi pezzi principali. Il tenore Perotti fu acclamatissimo alla romanza; non mancarono applausi alla Testa ed agli altri esecutori. — Ci giungono notizie del buon esito del Faust, in cui la Spezia, il Perotti, il Selva e l’Aldighieri furono applauditi più volte. LIPSIA. La prima rappresentazione dei Maestri Cantori ebbe pieno sue cesso; non vi fu nemmeno tentativo di opposizione. Se si trattasse d’un altro compositore e d’un’altra opera, questa dichiarazione parrebbe meglio un epigramma che un complimento; ma quando si parla di Wagner e dei Maestri Cantori, dire che non vi furono nè fischi, nè grugniti, nè vie di fatto, è qualche cosa che vai bene un complimento. PRAGA. Al teatro Nazionale ebbe favorevole accoglienza una nuova opera comica, Der St. Nicolaus, di Kopkoschny. MOSCA. Al teatro dell’opera russa si rappresenta con grande successo Il portator d’acqua di Cherubini. BERLINO. Dal 15 al 21 dicembre si rappresentarono: Al R. teatro d’Opera: Dei’ Freisclwtz, Fidelio, Die beiden Schützen di Lortzing, Flik e Floh (ballo). Al R. teatro della Commedia: Egmont di Goethe con musica di Beethoven. Al teatro Kroll (Nowack): L’Ebrea, Lucia, Czar und Zimmerman, Fra Diavolo, Le Nozze di Figaro. Molti giornali di Napoli parlano dell’offerta fatta o da farsi a Verdi della carica di Direttore del Reai Collegio di S. Pietro in Majella, invece del defunto Mercadante, e danno come cosa probabile l’accettazione dell’illustre maestro. Questa offerta non solo onora chi la riceve, ma altresì chi rende in tal modo un dovuto omaggio ad una delle nostre più care glorie nazionali. Noi abbiamo T onore di conoscere abbastanza intimamente l’illustre maestro e crediamo che non accetterà T onorevole incarico. Uomo indipendente, amante della libera vita de’ suoi campi nativi, non può sobbarcarsi ad impegni di tal natura, epperò egli respinse più volte offerte di simili cariche tanto in Italia che all’estero. Fortunatamente, Verdi è ancora militante nei campi dell’arte, e facciamo voti che ciò sia per lungo tempo ancora: se non può accettare il posto di Direttore del Collegio musicale di Napoli, non per questo egli rendesi meno utile all’arte stessa, scrivendo di quando in quando que’ capolavori con cui empi. il mondo della propria fama, alto tenendo cosi il glorioso vessillo dell’arte italiana. — Milano. L’egregio critico musicale Filippo Filippi ha abbandonato col corrente anno il posto di direttore del giornale II Mondo Artistico, posto che da gran tempo egli non conservava più che di nome. — Lipsia. Il festival in onore di Beethoven riuscì splendidissimo. Il primo giorno fu consacrato all’esecuzione della Messa solenne sotto la direzione del professore Riedel. Il giorno successivo una sinfonia di Beethoven precedette la rappresentazione di gala. Il terzo giorno il maestro concertatore David e il suo eccellente quartetto diedero una serata di musica da camera nella sala del Gewandhaus; successivamente fu eseguito: al teatro Egmont di Goethe con musica di Beethoven; al Gewandhaus la nona sinfonia; al teatro dell’Opera le Ruine d’Ateneo e il ballo Prometeo e l’ultima sera Fidelio colle sue tre sinfonie. — Madrid. Ci scrivono: Esiste qui un Conservatorio, ora chiamatoEscueZa national de Musica, aperto il 2 aprile 1831, sotto la denominazione di Reai Conservatorio de Musica Maria Cristina, dal direttore e professore di canto D. Francisco Piermarini. Otto mesi dopo la fondazione di questo istituto, ebbero luogo dei pubblici esperimenti, e si hanno splendidi documenti dei buoni risultati degli allievi istruiti dai professori Carnicer, Saldoni, Albeniz, Jardin, ecc. La celebre cantante spagnuola Donna Manuela Lema de Oreiro, che poi si maritò al noto scrittore Ventura de la Vega, fu allieva di questo primo periodo splendido del Conservatorio, e riportò grandi trionfi, a lato di Rubini, [p. 12 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO nelle parti di Amina, Desdemona e Lucia- I ritratti di questi due artisti, dipinti da Esquisel, adornano l’odierna sala del Conservatorio, il cui attuale direttore è Don Emilio Arrieta. Gli ultimi risultati dell’Escitela national de Musica, specialmente per ciò che riguarda il canto, non corrisposero alle esigenze, però la classe del violino, sotto la direzione di Monasterio, e la classe del pianoforte, diretta dal professore Savalza, fecero buona prova negli ultimi esperimenti. — Pestìi. I giornali ungheresi annunziano che il conte Bismarck ha fatto pervenire da Versailles all’abate Franz Liszt l’offerta di assumere la direzione vacante dell’alta scuola accademico-musicale di Berlino. — Berlino. Il signor Herm. Demuth ha donato alla R. Biblioteca la partitura autografa dell’opera La clemenza di Tito di Mozart. — Boston. Ci scrivono: La Nilsson ha dato qui otto concerti che hanno fruttato all’impresa la bagattella di 60,000 dollari (300,000 lire). A quest’ora, dacché la Nilsson trovasi in America, cioè da due mesi circa, essa ha dato 35 concerti; inutile dire che nel trentesimoquinto la sua voce era freschissima, e il suo canto sempre ugualmente appassionato ed inappuntabile. — Nuova-York. La Nilsson si fece udire testé nel Messia di Handel con un successo clamoroso; essa è aspettata a Filadelfia. — L’eminente pianista Mary Krebs va di trionfo in trionfo nel nuovo mondo. Essa pre.se parte a cinque concerti del Steinway-Hall e a due concerti a Boston; la Società Filarmonica di quest’ultima città ha domandato e ottenuto il suo concorso per il festival in onore di Beethoven. — Pietroburgo. Il concerto dato allo scopo di concorrere all’erezione di un monumento a Glinka ebbe un successo straordinario; il programma non conteneva che composizioni dell’illustre maestro russo: la sinfonia, l’introduzione, il finale del primo atto, l’aria di Farlaff e una scena del quinto atto della sua opera Russlan e Ludmilla; un trio, un coro, un intermezzo, e l’epilogo della Vita per lo Czar, la sinfonia sopra temi spagnuoli, Kamarinskaja (fantasia per orchestra) e alcuni altri frammenti di minore importanza. — Il maestro Kui compone una nuova opera con libretto di Seroff. 26-31 Dicembre TEATRO DELLA SCALA Lunedì — L’Africana, opera di Meyerbeer. Martedì — L’Africana. Sabato — Norma, opera di Bellini — La Dea del Valhalla, ballo. TEATRO DELLA CANOBBIANA Lunedì — È pazza, commedia — Fra Diavolo, ballo. Martedì — La Verità, commedia, w * Mercoledì — L’amore, commedia Giovedì — Prosa, commedia Venerdì — Celeste, idillio. Sabato — La dote, commedia 5, «TEATRO CARCANO Lunedì — Rigoletto, opera di Verdi. Martedì — Rigoletto. Mercoledì — Lucia di Lammermoor, opera di Donizetti. Giovedì — Lucia di Lammermoor. Sabato — Lucia di Lammermoor TEATRO RE Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato — L’Amore, dramma — II Campanello, farsa. — Fernanda, dramma»» — Vecchia e Nuova Società, commedia. — Amore senza stima, dramma. — L’Orfano, commedia — disse e Cleopatra, farsa. — Fragilità, commedia — Gli avventurieri galanti, farsa. TEATRO SANTA RADEGONDA Venerdì — Orphée aux enfers, opera. TEATRO MILANESE Lunedì — EI Barchett de Boffalora, vaudeville. Martedì — La mader madregna — L’arco baleno in d’on cumò. Giovedì — EI Barchett de Boffalora, vaudeville. Venerdì — EI Barchett de Boffalora, «— L’arco baleno in d’on cumò, farsa. Sabato — EI Barchett de Boffalora, «— I foeugh artificiai, farsa. — Fermo. Alessandro Marziali, violinista valentissimo, direttore d’orchestra e maestro della Scuola comunale per gli strumenti d’arco, morì il 22 dicembre 1870. — Parigi. Ci perviene la notizia della morte del pianista compositore Eugenio Ketterer, avvenuta per un attacco di vajolo. Il nome di Ketterer è forse uno dei più bei nomi che abbiano brillato nella schiera dei compositori per pianoforte, ed è certamente quello chei gode maggior popolarità in Italia e fuori fra i dilettanti di questo strumento. Le sue composizioni erano piuttosto facili, ciò che non è certamente un difetto, specialmente quando la facilità va congiunta all’eleganza ed al buon gusto, nel che il Ketterer oggidì non aveva rivali. Le sue esequie ebbero luogo il 20 dicembre a Nostra Donna di Loreto. L’eclitore Ricordi ha acquistato la proprietà dell’Opera UN CAPRICCIO DI DONNA del maestro Æ. CÆOTVOTVI. Editore-Proprietario, TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Giuseppe., gerente.