Gazzetta Musicale di Milano, 1844/N. 35

N. 35 - 1 settembre 1844

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[p. 145 modifica]- 145 — GAZZETTA MUSICALE ANNO III N. 35 DI MILANO DOMENICI I Settembre 4 844. Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio si intitolerà Antologia classica musicale. — Per quei Signori Associati che amassero invece altro genere di musica si distribuisce un Catalogo di circa N. 2000 pezzi di musica, dal quale possono far scelta di altrettanti pezzi corrispondenti a N. 4 50 pagine, c questi vengono dati gratis all’atto che si paga T associazione annua; la metà, per la associazione semestrale. Veggasi l’avvertimento pubblicato nel Foglio N. 50, anno II, 1S43. La musique, par des inflexions vives, accentuées, et, • pour ainsi dire, parlantes, exprime toutes les pas• sions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, • soumet la nature entière à ses savantes imitations

  • et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sen•

timents propres à l’émouvoir. • J. J. Ho V SSE A V. Il prezzo dell associazionc alla Gazzetta? alla Musica è di effettive Austriache L. 12 per semestre, ed effettive Austriache L. 14 affrancata di porto tino ai contini della Monarchia Austriaca; il doppio pcr l’associazione annuale. — La spedizione dei pezzi di musica vieni’ falla mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Hicordi. nel modo indicato nel Manifesto. — Le associazioni si ricevono in Milano presso I’Ufficio della Gazzetta in casa Hicordi. coni rada degli Omonimi N’.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica c presso gli Uffici postati. — Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto. SOMMARIO. I. La musica e la lingua. - IL Cicalale di Bartolomeo Montanello. - III. Polemica. - IV. Lettera di C. A. Boracela. - V. Gazzettino settimanale Milano. - VI, Notizie. - VII. Altre cose. Vili. Nuove pubblicazioni musicali. ni u wm s u mhctù (Continuazione. Vedi i N. 2!) c ôl). Iju da principio adunque ©musica bastò a sè stessa sicla - *4sconic un ar^e sui generis, a cui fià Ify * uomo è portato da un par.titolare impulso, e solo per espansione maggiore venne ad accoppiarsi alla parola, sulla quale esercitò una benefica influenza. Ed è per (piesto che non appena s’accorsero gli uomini esservi dei corpi capaci di tramandar suoni, data certa disposizione, studiamosi di formarne stromenli musicali, e trovarono bello di poter fare con questi ciò che da prima colla propria voce facevano. Tale è il senso della dei martelli con suono ora grave ora acuto, non già secondo il vario peso dei medesimi, ma secondo la grossezza e forma delle incudini o del ferro percosso, abbia immaginato poterne fare istromenti musicali, e a forza di studio siavi riuscito. Invenzione più naturale e semplice che non quella del flauto, perchè più diffìcilmente potè cogliersi la natura sul fatto di produrre dei suoni per una casuale introduzione dell aria in un tubo di canna palustre. Tralasciando le digressioni e ritornando all’argomento, osserveremo che l influenza della musica sulla lingua non si limitò a produrre il verso ritmico, ma, svegliato una volta il sentimento armonico, condusse gli scrittori a ricercare anche nella prosa una certa artificiosa disposizione di parole, da cui pel grato succedersi di consonanti e di vocali risulti dolcezza e soavità, ed una quasi melodia di suoni. E ne venne del pari quel misuralo periodare che lascia a quando a (piando riposare il lettore, scrittura, la quale, dicendo Jubal pater cacatura et chinor, vuole significare • 7 nentium che egli Ovn uuiuun Hun u vantare, che già sapevano, ma quasi un nuovo modo di insegnò agli uomini non a cancantare servendosi della voce degli stromenti da lui inventati, invece della propria. Nè questa è vana sottigliezza, imperocché il cantare per suonare è modo usatissimo di dire nelle sacre carte, conservato dalla Volgata, ove troviamo canetis buccina, e cecinerimt buccina W, e quel1 altro luogo in cui è detto et totideni psaltae eaneutes Domino in organis (jtiae fece rat ad cancmlum (’->, e fu imitato nell antifona di Santa Cecilia Cantantibus Organis. E qui, poiché di nuovo ritornammo a Jubal, ci si permetta osservare che essendo egli fratello di Tubalcaino, il quale trovò 1 arte di lavorare i metalli. e facendo anch’esso, come si può credere, il mestiere di fabbro nella stessa officina, verrebbe forse ad avere origine da lui quel vecchio racconto dei martelli, da cui si credette per tanto tempo avere Pitagora scoperto il rapporto dei suoni. E probabile, vogliam dire, che Jubal sentendo a risuonare il ferro sotto i colpi (I) Libro III. dei Re cap. I, vers. 51 c 59. (2) Paralipomeni XXIII, vers. 5. (lenze, cesse i quanto Latini. modo che fanno le armoniche caNella qual arte non vi ha chi vinGreci, presso dei quali ognuno sa fosse in pregio la musica} nè i sebbene molto studio vi impiegassero, poterono raggiungere la greca venustà^ forse perchè pochissimo la musica scmavauo. Così dai Greci e dai Latini discendendo agli Italiani, si può dire che a misura si venne perfezionando fra noi la musica, acquistarono grazia anche le lettere: alcano riuscì a comporre più dolci ed armoniosi versi del gran Metastasio, il (piale provava sempre a cantarli accompagnandosi col cembalo, e tutto, che poco soave al suo delicatissimo orecchio riusciva, cancellava. Nè v ha dubbio che I* uso della buona musica sia già valso a raddolcire non poco le lingue delle nazioni settentrionali, e debba venire in progresso di tempo sempre più raddolcendole, estendendosi Fuso del teatro nella lingua nazionale. Ma qui il nostro discorso si volge naturalmente a contemplare 1 influenza che le diverse lingue esercitano sulla musica. favorevole o avversa al canto, secondo I indole particolare di ciascuna. E la prima idea che ci si presenta è quella dei gran benefizio che noi Italiani ricevemmo dalla Provvidenza, la quale si compiacque versare a larga mano su questa nostra terra i più preziosi doni, onde assicurarle il primo seggio nella gloria delle arti. Questo beneficio che noi contempliamo si e la lingua nostra generata dalla latina, e non meno di questa dolce, sonora, e la più favorevole al canto, mentre secondo tutte le apparenze doveva riuscire un barbaro miscuglio di gallico, germanico, slavo, franco, goto, ecc. in conseguenza delle invasioni che tante volte questa terra inondarono, e tanta parte di quelle nazioni vi innestarono. E dicasi puri! la nostra musica figlia del nostro bel cielo, della ridente nostra natura, delFalfetlo che il cuore ne scalda, e di (piante mai sono in Italia circostanze e combinazioni alle a favorire il genio delle arti; sarà sempre vero che grandissima parte vi ebbe la lingua. Ella è che rendendo la nostra musica sommamente cantabile ci fa anteporre la voce umana alle artificiali, e la melodia alle complicazioni del contrappunto’, mentre i compositori delle altre nazioni sono portali a preferire la musica strumentale, e a far più conio dell’armonia e dell orchestra che non della melodia e del canto nelle stesse composizioni drammatiche. Imperocché, sebbene la musica sia naturalissima all uomo, anzi in alcune circostanze un comune bisogno, siccome mezzo di versare la piena dell animo, e sollevarlo con un dilettevolissimo esercizio dai mali che F opprimono; ciò non di manco, ove la lingua sia poco favorevole al canto, si dovrà naturalmente preferire di cantare cogli stromenti, tentando di supplire cogli artifizi! armonici alla mancanza della parola e dell’inimitabile accento umano. Ed è per (piesto ancora che le nazioni tutte corrono dietro al soavissimo canto italiano, mentre noi appena tolleriamo il canto francese, e ne spiace affatto di sentire a cantare in tedesco o in inglese. Eppure la lingua italiana, difficile per la stessa sua ricchezza, non è ancora generalmente coltivata e intesa dagli stranieri. Eppure le lingue francese e tedesca non sono si poco note in Italia, che non si intendano dai più di quella classe che nelle capitali costituisce il pubblico dei grandi teatri. Noi anzi preferiamo a quelle, per riguardo al canto, la lingua Ialina, sebbene dai più non sia studiata. Ciò vuol dire che, non ostante il benefizio reso dalia parola al1 indeterminato linguaggio della musica, per cui sentiamo cosi imperioso il bisogno [p. 146 modifica](1 intenderla, è ancor maggiore quello di non frapporre ostacolo alla voce umana, affinché questa possa uscire chiara e sonora quale si può appena ottenere dal migliore stromento <D. Al che si oppongono le vocali semichiuse o mule, le nasali. le gutturali, e il duro accozzamento di più consonanti (massimamente a fin di termine) che tanto abbondano nelle lingue francese. germaniche ed inglese. Per lo contrario eia favorevole al canto la struttura della lingua greca, la quale, anche solo parlata, una vera musica rassembra. Non è perciò che il popolo non canti ovunque e con ogni lingua, che anzi quella stessa nazione, da cui sorti il minor numero di artisti distinti, è forse più ricca di canti nazionali di qualunque altra: voglialo dire dell’Inghilterra, colle sue principali adiacenze, la Scozia, 1 Irlanda, e il paese di Galles. Cosi la Francia che nella coltura dell’arte non surse ad un grado eminente se non da mezzo secolo, e mercè l’opera di artisti e maestri italiani o tedeschi. coltivò assai per tempo e fiorisce ancora nelle romanze e nelle piccole arie o canzonette di stile popolare. La Svizzera abbonda dei cosi detti Ranz des Raches^ nè mancano di canti nazionali gli stessi Russi. (Sarà continuât’)). Raimondo Bouchebon. (1) Le lingue straniere potranno servire di scusa ai cantanti del non pronunciare chiarissimo, non la nostra che sembra creata pel canto. CICALATE IH BARTOLOMEO MONTANELLO (Continuazione c fine. Vedi il N. 51). natura ci somministra l’organo dodo delle facoltà di poter spiegare con aversi gradi e in diversi modi la voce; rimanente nella musica è fattura noIra, è nostra invenzione; come avviene in un edificio a cui la natura somministra i materiali, ma la modificazione, la unione de’ materiali, il disegno, la costruzione sono opera nostra; e quest’opera può essere di molle maniere, e più o meno confacente ai nostri bisogni e alle nostre tendenze. Cosi nel linguaggio la natura ci ha dato voce e mezzi di articolare le parole; ma (piante, lingue non vi sono diverse? e molti popoli chiamali la lingua loro la sola naturale, e dichiarano barbare le altre; ed io ho udito qualche oltramontano dichiarare fuor di natura e impronunciabile la nostra lingua italiana. Eppure sotto certo aspetto tutte le lingue, son naturali, e ciascuno ha più facile e più dilettevole quella in cui si è maggiormente esercitato. Molli popoli hanno diversa scala musicale, che è impossibile rappresentarsi dalla scala nostra. A noi non è dato di giudicare della musica antica appunto perchè non possiamo conoscere precisamente i rapporti de’ suoni sui (piali era basata. Si rileva dagli antichi scritti che la scala musicale, fu diversa ne’ diversi tempi e presso i diversi popoli. Che se anco ci fosse dato di conoscere la misura di tensione delle loro corde per conoscere il rapporto numerico de’ loro suoni (ciò die dagli antichi scritti non mi sembra potersi rilevare abbastanza chiaramente), sarebbe sempre duopo che ci esercitassimo molto sulla loro scala per giudicare della loro musica, c di più che conoscessimo le loro composizioni per vedere (piale partito han saputo trarre dai rapporti de* suoni da essi fissati. Qui pure torna a proposito il paragone delle lingue. La lingua greca c la Ialina, che sono lingue morie, devono aver perduto mollo presso di noi pel modo con cui le pronunciamo, diverso dal modo col quale i popoli le pronunciavano quandi ferali lingue vive. Nè potremmo pronunciarle come le pronùnciavan i Latini c i Greci se non per via di tradizione, c la tradizione si è perduta pel lungo tempo trascorso da che più non vivono, c per la mescolanza di popoli e di lingue ne’ tempi barbari. In oggi Francesi, Inglesi, Italiani, Greci moderni, tutti pronunciano di un modo diverso le parole greche o Ialine, e ciascuno pretende alla sua volta di pronunciarle meglio, nel tempo stesso che nessuno sa rendere ragione di certe avvenenze e. di certe particolarità clic i gramolici greci o latini rimarcati nelle lor lingue. Vediamo gli stessi autori vagheggiare certe parole, che non hanno più presso di noi quel grato suono che essi sembrano assaporare cotanto. Come i Latini pronunciassero la S c la M, per eliderle a modo delle vocali, fu da molli ricercalo con varie e dolio discussioni, le quali tornarono sempre vane e inconcludenti. Così diciarn pure della musica, constando essa non solo de’rapporti dei suoni, ma eziandio di lutti i modi di esecuzione, accenti varj, inflessioni, accrescimenti, diminuzioni, strisciamenti di voce, eco., ccc.; e se non si conoscono perfettamente anco i modi di esecuzione è impossibile giudicare di cosa che dall’esecuzione massimamente dipendi;. Nella musica poi i modi di esecuzione si van mutando ogni dì, c (piindi si dimenticano gli antichi per la sopravvenienza de’ nuovi. Ci sarebbe, ora impossibile di sentire da’moderni cantanti le gravie deliziose armonie de’ tempi di PAIestrina, di Morales, di Costanzo Porla, e di Orlando De Lasso, se i cantori della cappella sislina in Roma non ne conservassero per tradizione Ì modi di esecuzione. Pochi sono in oggi i cantanti che ci rendano con effetto i salmi di Marcello; podi1 eziandio quelli che ci cantino a proposilo c come erano cantate a que’ tempi le arie di Paesicllo e di Cimarosa, e quasi non si canta più come era cantala al tempo in cui fu scritta, c come dovrebbe esser cantata, la musica di Rossini. Andiamo poi a giudicare della musica greca, o ebraica, o egizia!! La nostra musica a partire da Guidone d Arezzo, e dai canti ecclesiastici che la precedettero, non solo ha cambialo totalmente ne’modi di esecuzione, ma anco in buona parte nei rappoi li de’suoni della scala; c furono mutate di conseguenza le modulazioni e le cadenze. E (piante cantilene popolari non si conservano in oggi, le (piali partono da distribuzione de’ suoni diversa dalla nostra, nè riesce possibile ripeterle coi suoni nostri se non per approssimazione, e perdono quindi affatto del loro carattere e di ogni gusto? Se anco a tempi nostri vi ha possibilità di modulare al modo de’ cinquecentisti, le nostre modulazioni basale su quelle non hanno più l’effetto che quelle aveano. Coll’antica distribuzione dei suoni le dissonanze di seconda facevano arricciare i capelli in fronte a chi le udiva, tarifera l’urlo, lo sbaitimenlo loro; ed ora appena otteniamo di simili effetti colle maggiori dissonanze nostre, le quali non erano punto dagli antichi praticale. Le seconde, son divenute per noi un vezzo; nè possiamo attribuire all’abitudine nostra se quelle antiche armonie non hanno ugnai potere appo di noi, poiché se le udiamo in Roma da que’ cantori che le rendono al modo antico troviam che non hanno punto perduto di effetto. Un secolo fa le proporzioni tra le corde della scala erano del seguente modo: 24, 27, 50, 52, 56, 40, 45,48, do, re, mi, fa, sol, la, si, do. Si aveano pertanto degli intervalli di tuoni, di terze minori e. maggiori, di (piarle, di quinte affatto differenti. Do-re, fa-sol, la-si presentavano la relazione di 24 a 27, di 52 a 56, di 40 a 45, cioè di 8 a 9. Re-mi, sol-la avean la relazione di 27 a 50, di 56 a 40 cioè di 9 a 10. Ecco de’ (noni a differenti intervalli; c maggiori differenze, si riscontravano nelle terze, nelle (piarle, quinte, e maggiori ancora risultavano ne’ tuoni di diesis e bemolli. Queste differenze di relazioni nei varj intervalli cran quelle che davano un carattere speciale ai diversi tuoni: Do - sonoro: Ite - maestoso: Mi - brillante: Fa - vivace, ecc. Mirandosi in oggi sempre più di ridurre l’accordatura degli islromenli ad un temperamento equabile, si ottiene bensì di render facili e uniformi le armonie c le modulazioni in tutti i tuoni; ma i tuoni perdono del lor carattere distintivo, delle loro qualità marcate;. perciocché il carattere non consiste già nell’essere un tuono più acuto o più grave, ma specialmente nella diversità, sebbeti poco rimarchevole, degli intervalli! de’ suoni che lo compongono. Tulle queste osservazioni (e molte altre che potrei aggiungere se mi facessi all’analisi dc’suoni) mi confermano nell’opinione che la nostra scala non parla così radicalmente dalla natura da non poter essere cambiata; e se può èssere cambiata perchè non potrebbe essere cambiata in meglio? Ridiamci della contraria sentenza che con tanta autorità ci affacciano i nostri Bacalaci; ridiamci come delle altre loro austerità nelle armoniche teorie, o della loro pertinacia nel richiamarci esclusivamente alle fughe ed al cantofermo per apprendere la musica. Ma converrebbe modificare o cambiare la scala, c sostituirne un’altra a quella che abbiamo in uso? Non mai. Ciò sarebbe sconvenientissimo ed impossibile. Sconveniente, perchè perderemmo di posta il gusto a tante e così stupende composizioni già create, e cadremmo in un caos tale, da non poterci ritrarre che dopo un secolo; c intanto addio armonia, addio musica. Sarebbe poi impossibile E introduzione di una nuova scala, come è impossibile clic si crei una nuova lingua se non per mezzo dell’uso a poco a poco; e nel nostro caso prima di creare è duopo di abbattere, e per abbattere ciò che è fattura di secoli è indispensabile ima di quelle catastrofi prodotte o dalla natura o dalla barbarie degli uomini, per le quali vici) distrutto tutto ciò che era innanzi stato cretto c inventato. Sembra che queste osservazioni mi abbiano condotto ad una conclusione di poco profitto; ma mi apriranno in seguito la via ad altre deduzioni, che avranno, oso lusingarmi, un più utile risultato. POLEMICA. n signor Francesco Parodi nell Espcro di Genova, parlando dell’opera di Lauro Rossi / Monetar) Falsi ovvero La Casa Disabitata, che noi (pii abbiamo ed applaudita cd ammirata come lavoro musicale basalo sulle norme della vera scuola buffa, fa egli pure, elogi al compositore, dicendo che la sua musica è brillante, vivace, e buona. Ma sapete perchè? Perchè è tulla rubala, afferma l’articolista, da brani di opere sceltissime, e di sommi maestri. Voi crederete ch’egli s’intenda parlare di qualche capolavoro buffo, come sarebbe del Barbiere, dell Italiana, dcll’Elisa e Claudio, ccc.... Mai no. L’opera buffa di Lauro Rossi, secondo l’opinione del sullodato, è levala di pianta dalla orma, dall’.lmm Balena, e dalla &miramide. Veramente il dotto critico annovera altri due spartiti, dei (piali il Rossi si avrebbe servito per completare i suoi plagi, e sono Lucia c Don Pasquale. Buono pel Rossi che., ammesso codcsl’ultimo plagio affermalo dal sig. Parodi, il delitto cadrebbe invece su Donizelli: poiché fa pur d’uopo rettificare le epoche, e notare, che La Casa Disabitata conia già 10 anni d’esistenza, nel mentre Lucia ha appena compiti gli otto, e Don Pasquale è ancora un bambino di due anni non compiuti. Del rimanente, perdonando al signor Parodi questo leggero sbaglio cronologico, non sappiamo convenire colla di lui asserzione: vale a dire che riproducendo ed amalgamando pezzi interi della Semiramide, Norma, Anna Polena c Lucia, si possa da quésto miscuglio ottenere una buona (facciasi attenzione, buona) opera Buffa brillante e vivace, (piale egli si degna pur dichiarare La Casa Disabitata. Ne sembra che si faccia ben poco onore ai suddetti quattro tragici capolavori, trovandoli sì perfettamente convenienti a servire di materiale per l’edificio di un’opera la più giocosa che mai si possa immaginare. In quanto risguarda codesta musica di Lauro Rossi, essa non ha adesso certamente bisogno delle nostre difese, nè gioverebbe presentemente ripetere ciò che fu le cento volte asserito, vale a dire dover essa annoverarsi fra le produzioni odierne che ambiscono con