Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 3/Carteggio

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N. 3 - Saffo, melodramma di Salvatore Cammarano, musicato dal maestro Pacini N. 3 - Stabat Mater di Rossini
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CARTEGGIO.

Un nostro valente amico, il signor Geremia Vitali, al quale, come a persona, versata nelle disquisizioni musicali, abbiamo fatto invito di collaborare in questa Gazzetta, ci rispose colla seguente lettera che noi riproduciamo, non senza dichiarare di consentire pienamente nelle generali idee che in essa ei manifesta, e che in altre occasioni verremo svolgendo ed applicando nei modi convenienti, anche per rispondere [p. 12 modifica]indirettamente a chi avrà mostrato di capire a rovescio su quali basi si fondano le nostre critiche.

...«Le promesse della Gazzetta Musicale non possono essere migliori; e l’Italia, questa soavissima soavissima terra delle melodie, deve fin d’or professar gratitudine a chi intraprese un’opera sì benemerita, la quale gioverà ad addurre l’arte della musica a quell’altezza di perfezione, a cui in quest’ultimo tempo non parmi siasi abbastanza seriamente pensato. Benché non affascinato dai prestigi armonico-scientifici delle dottrine oltramontane, nondimeno io lo dirò francamente: la musica italiana, che pure è la prediletta delle musiche, può e deve ascendere tuttavia alcun grado per giugnere alla massima sua perfezione. I nostri maestri, a cui la natura, il clima, la dolcezza della favella, la educazione, il perpetuo udir canticchiare, infondeva col latte la vena delle cantilene, non hanno per la più parte rivolto l’ingegno che a blandire con idee di facile e pronto concepimento l’orecchio buon gustajo de’ loro connazionali. Il perchè non si proposero, quando più, quando meno, che non parlo di tutti, se non se di ritrovare nuove melodie, le quali potessero gradevolmente colpire e facilmente imprimersi nell’animo di chi lusingava il suo amor proprio ripetendo ciò che una volta aveva dolcemente accarezzato il proprio orecchio. Bramosi di giovare a sé medesimi, e di procacciarsi una fama popolare, non mirarono gran fatto all’incremento dell’arte, le cui riposte bellezze passavano sconosciute all’ascoltatore indotto, epperò venivano agevolmente preterite da chi, risparmiando agli altri lo studio per comprenderle, perdonava a sé stesso la fatica dell’impossessarsene. È vero che la parte melodica, come quella che è figlia primogenita dell’ispirazione, è la prima da richiedersi e da considerarsi: essa è l’anima, la vita, il pensiero, il sentimento, la favella della musica; ma, come ella sa, essa non vive solo di melodie; essa ha mezzi proprii e quasi materiali per aggiungere vivezza, colore e varietà all’immagine dell’ispirazione: l’arte ha il segreto delle combinazioni armoniche che arricchiscono, infiorano, e dan rilievo alle cantilene, come la forza dello stile e la magnificenza della lingua all’immagine della poesia. Vorrei quasi dire che la melodia è l’augello dall’ali dorate che fende gli spazii; l’armonia è l’aria che lo regge, è l’elemento ove la natura l’ha posto. E questa un’idea se vogliamo, piuttosto poetica che scientifica; ma parmi convenientissima a chiaramente esprimere ciò che sono la melodia e l’armonia. Da questa predilezione dei maestri per la parte melodica ne venne la trascuranza dell’armonica: e l’arte, che risiede appunto in questa, cadde quasi del tutto negletta: il gusto comune degenerò; e le produzioni veramente pregevoli e durature divennero oltremodo assai rade. Pochissimi de’ lavori de nuovi maestri avranno una vita meno che effimera. Quasi tutti i nuovi nati scrittori vedranno cadere le opere loro, l'una dopo l’altra, come le foglie all’autunno; perché ciò che non è artisticamente, esteticamente bello, non può sopravvivere alla sua nascita. Un giornale pertanto che miri a far estendere vieppiù il vero studio dell'arte; che miri a diffondere la conoscenza de’ pregi tecnici più che generalmente non è; che promuova l’applicazione, e l’intelligenza del grande magistero dell’armonia, che tolga quel carattere di leggerezza che ricopre pressoché tutte le moderne produzioni come una vernice letale; che faccia finalmente sentire ai nascenti maestri che essere compositore, è un’opera a cui tutti non possono che applaudire, ed io non sarò certo degli ultimi. Da gran tempo la folla de’ giudicatori imperiti, e de’ dittatori ignoranti, manifesta la necessità di una tale pubblicazione: i migliori la desiderano da lunga pezza. Il danno provenuto dal giornalismo mercenario e poco intelligente, si scorge da taluni inestimabile; a me sembra che sarà inestimabile il bene che deriverà dal porre un freno con una critica assennata ed imparziale a tutti i colpevoli giudizi che hanno finora travolto il senso comune del bello. E poiché è a lei piaciuto di chiamarmi compagno a quest’opera, io le ripeterò che anch’io mi studierò di recar la mia pietra all’edifizio. Non sarà di quelle da porsi sul meglio del prospetto; ma si terrà paga di essere sepolta nelle fondamenta, purché sia nell’edificio. Anzi, posso anche prometterle la cooperazione del maestro Ruggero Manna, il quale, soddisfattissimo della nuova intrapresa, verrà del pari prestando la sua valida mano perché arrivi alla mela migliore. Non le dico come questa cooperazione le sarà di giovamento, perché ella sa che il maestro Manna è uno de’ più dotti ingegni musicali italiani che non corrono il Campidoglio delle scene. I suoi grandiosi componimenti ecclesiastici lo pongono tra i viventi onori dell'arte. Le dico bensì ch’egli si occuperà con tutta quella solerzia e sollecitudine che gli permetteranno le non poche sue cure ordinarie.

La prego di aggradire le proteste della molta mia stima, mentre mi dico.

Suo affez.° servitore ed amico,

Geremia Vitali.