Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 1/Opere di Sigismondo Thalberg
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CRITICA MUSICALE.
Opere di Sigismondo Thalberg.
Da meno di un secolo in qua il pianoforte di meschino accompagnatore s’è fatto strumento ampio, dovizioso, onnipossente. Gli esigui strimpellamenti che traevansi da sottili corde, tocche da mal congegnati tasti, si tramutarono in un vasto campo d'armonia, ove nulla v’ha di intentato, o di ineseguibile. Clementi, Rigel, Hermann - Hummel, Kalkbrenner. Herz, Pollini, Kramer, Bertini, Pleyel. - Zimmermann, Moscheles, Czerny, l’un l’altro spalleggiandosi e confortandosi, mano mano allargarono i circoscritti confini entro cui spaziava la musica di pianoforte, ed ebbero poi per eredi una mano eletta di valorosi giovani, che foggiarono l’arte ai torni della poesia, che liberamente s’abbandonarono alla potenza dell’immaginazione ingrandendo le regole tecniche, in capo a quali leggonsi con ammirazione da tutta Europa questi quattro nomi: Liszt - Chopin - Döhler - Thalberg. Non so se per altri rispetti, ma certo per l’eleganza quest’ultimo va innanzi a tutti. Di lui, alcune parole.
Le prime opere di Thalberg non lasciavano nemmen per ombra sospettare le splendide sorelle che nell’avvenire dovevano avere: nessuna era novità in lui, poche immagini veramente grandi. Le Variations sur un thème ecossais non sono altro che un’imitazione di modi già usati: e gli è un lavoro di poco rilievo, se ne eccettui la quinta variazione, ed il finale in fa ove si intravedono sublimi intenzioni, e qualche bei tentativi, che però tornano a disciogliersi in frasi comuni. — Nei dodici capricci in forma di waltz v’ha squisitezza di buon gusto, ma debole n'è la tessitura, e la mano sinistra vi è pressocchè negletta. — Anche il Mélange sur le Guillaume Tell è fiacco, vuoto, e poco corrispondente all’altezza del soggetto che l’autore imprese a trattare. Questa è la quinta delle opere di Thalberg, e ci pare ponga termine alla prima sua maniera.
Nell’opera sesta, cioè nella Fantaisie sur le Robert le Diable, la immaginazione del giovine autore comincia a sciogliersi a più larghi voli, e si puntella di un fare più ardito, robusto e nuovo. Le due mani vi si atteggiano a più difficile in uno e più bel magistero: le cadenze vi sono più slanciate, più rapidi i movimenti, più armonizzate le parti cantanti. E a prender di qui le mosse vediamo il Thalberg sempre più farsi grande: cosicché, se per un esempio, è bella la Fantasia sulla Straniera. quella sui Montecchi e Capuleti è più bella ancora; e più ancor di queste due si ammira quel giojello scritto a tre righe, il quartetto del Mosè, che sebben di breve lena deve tenersi come un capolavoro in cui tutta è messa a profitto l’ampiezza della tastiera, e le mani invece di due son finte quattro.
Ciò che cominciò a rendere fra noi popolare quello artista fu la pubblicazione della Fantasia sulla Norma. Gli è un sublime scritto, che basterebbe di per sè solo a dar fama di grande ad un compositore — Udite quell’imponente e fragorosa introduzione, che amoreggia come torrente per ismisurati dirupi: a poco a poco si sperde, e racqueta: ed eco alzarsi un canto lento, misterioso or soave, or truce, che par la dipintura del cuor di Norma: il coro de’ sacerdoti sopravviene a dar una tinta vieppiù commovente alla composizione... Quivi sostate: le variazioni sono omai tenute da tutti per un controsenso, nè Thalberg avrebbe interrotto con delle meccaniche scavezzature una poesia sì bene incominciata, se non vi fosse stato trascinato dalla moda: inoltre, facendo astrazione dalla cattiva natura della variazione in generale, quelle che Thalberg sa creare sono ingegnosissime, e come lavoro isolato, assai belle... Ma quetato il garrito delle variazioni, di nuovo si ode il gemito di Norma, ed un oceano di voci sorvolare a quel gemito come a conforto della meschina sacerdotessa: fra pompose ed austere combinazioni d’armonia, quel gemito si ripete, insiste, e si ripercote, finchè s’incontra nel coro già pria udito de’ sacerdoti, ed a questo si mischia: ed i due motivi si travolgono, si urtano, e si assorbono in una patetica e concitata fuga. Il componimento ha fine con un riepilogo della preghiera foggiata in guisa nuova e di grand’effetto. Per chi vuol vederci bene addentro, quest’opera è piena di filosofica sublimità; non sono più i tasti che pulsano, non sono le corde che oscillano, non le biscrome che guizzano: è il cuore che batte, è l’intelletto che tutto ha afferrato il bello d’un’idea drammatica.
Malgrado le originali bellezze che si trovano nella Fantasia sul Don Giovanni, la ci par un po’ fredda; e ciò per due ragioni: prima vien la qualità stessa dei motivi impresi a variare che, tuttocchè belli, non offrono campo a tesservi intorno grandiosi numeri: seconda, e l’abuso d’imitazione, e di fuga. Quando la fuga oltrepassa una moderata quantità di battute, e si dà alla sbracciata a percorrere tutti i toni, la grata sensazione che gli uditori provarono al primo mutar di tono va affievolendosi a poco a poco e svanisce del tutto, se la frase non si riduce accortamente e presto alla prima forma, o non si tronca.
Saltiam di piè pari alla deliziosa Fantasia sulle due Arie Russe. Quei canti così semplici, così leggiadramente infiorati di note, che si direbbon bricciole d’oro, che cadendo in terra mandano un suono etereo, indefinito, quel maestoso tema cui va di fianco nei bassi una concitata e martellante catena di ottave, quell’infuriar di dissonanze verso la fine... tutto ciò forma un insieme di immaginosa in uno e regolare composizione. Saremmo quasi per dirla una delle più belle, in ordine all’effetto.
Il Divertimento sulle serate di Rossini — Il Secondo capriccio — La Fantasia sugli Ugonotti — La Grande Fantasia ec. sono altrettante produzioni degne qual più qual meno dell’illustre autore, e quel che più monta contengono ciascuna or qua or là, ora potente, ora nascosta qualche frase nuova, qualche movimento inusato, qualche ritrovato originale da indicar perenne in lui il progresso. Il secondo capriccio è un gran bel lavoro, ma ci pare che lo sarebbe ancor più ove non ne venisse guasta la purità da quel risoluto in do: la natura di quel mordente così lungo, o c’inganniamo, o non è di buon gusto. Del resto quella poca menda, se pur è menda, è ben ricompra da tante bellezze!.. E negli Ugonotti?.. Chi può dire quanta sia l’eleganza e l’affetto di quelle ottave ribattute, e quanto il vigore dell’allegretto in si bemolle?...
I studii del Thalberg sono d’una foggia totalmente nuova e per chi vuole attendere scrupolosamente all’indicazione del metronomo riescono di una difficoltà quasi insuperabile.
La Fantasia sul Mosè in Egitto è omai quasi popolare quanto l’Oratorio da cui è tratta. Ora poi la voga se n’è fatta maggiore fra noi dacchè la si udì eseguita cosi divinamente dall’autore istesso. Dire che tutto in essa è ponderato, previsto, studiato, e dire nell’istesso tempo che giammai immaginazione non volò su ali così rilucenti e leggiere; dire che ogni battuta dimostra la profondità del sapere, e la potenza dell’ingegno; dire che quelle note volanti, que’ pedali, sono della novissima perfezione, che la melodia è sempre sposata all’armonia senza che questa nuoca a quella, nè quella abbassi questa, dire insomma che la è una composizione che può star a fronte di tutto che si scrisse per pianoforte, non è troppo dire. Ci eravamo dati a credere che non fosse delle più difficili sue opere; ma ora che abbiamo udito come egli adoprasse nell’eseguirla. ci siamo persuasi, che forse per la difficoltà materiale no, ma per la difficoltà estetica, pochi fuori di Thalberg devono sapere interpretarla degnamente.
Dovremmo anche far qualche parola dello Scherzo - del Divertimento sulla Gipsy della Cadenza — della Fantasia sull’Òberon1 — della Romanza e Studio — dei Souvenirs de Beethoven - della Fantasia sulla Donna del Lago. Ma troppo ci dilungheremmo, oltrecchè ci avverrebbe di dare in ripetizioni.
Quarant’una sono le opere di Thalberg: L’ultima è; Romances sans paroles che, quantunque senza parole, parlano assai al cuore2.
Come abbiamo detto, precipuo pregio di Thalberg è l’eleganza ed il buon gusto. Nissuno come lui canta: pare che il tasto da lui tocco si trasformi in qualche cosa di animato ad esprimere la passione. Il Thalberg fu primo ad adoprar così felicemente i pedali da trar suoni continuati anche quando la mano trasvola e corre, e a riempiere in certo qual modo tutta la lunghezza della tastiera, qui di canto, e là di accompagnamento e più in là di abbellimenti senza che ne risulti confusione; ed in ciò consiste forse la prima sua gloria; venne difatti imitato da tutti i compositori, i quali la sua scoperta misero tosto a profitto, con cambiamenti ma coll’istessa natura di movimento. La Romanza e Studio, — il Notturno in la minore, (op. 21), per allegare due fra tanti esempii, provano a che brillante risultato si giunga con questo metodo di affidare il canto al mignolo ed all’annulare, conservando tutte le altre dia per gli abbellimenti, per gli accompagnamenti, e pe’ giuochi di vezzo. In altri casi tutto il canto è affidato al pollice o della destra, o della sinistra. La pienezza de’suoni che Thalberg inventa non può esser messa a paro che colla sua eleganza.
E chi può vaticinare fino a quali spere drizzerà il suo volo questa giovine aquila? Certo a ben sublimi.
Le sue composizioni non ancora stampate ci sono sembrate più maschie, più ben lavorate, più piene, nè mai, come in alcuni passi sono le pubblicate, fiacche ed esitanti.
G. Torelli.