Fotografie matrimoniali/VIII
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Burrasca.
VIII.
Sofia, sola nel suo salottino, seduta nel vano della finestra, dipanna una matassa di lana celeste e pensa.
— La mamma mi ha raccomandato di lavorare… se fosse qui sarebbe contenta; ne ho per tutta la giornata. Giovedì è S. Luigi e Dio sa se arriverò in tempo a terminare le pantofole! Buono ancora che mi sono decisa a farle, altrimenti Gigi avrebbe portato fino all’eternità le sue ciabattone color pulce… È piena di nodi questa lana… E dire che mi pareva un giovinotto sensibile, sentimentale! Proprio gli uomini non si conoscono mai abbastanza. Mah!! (profondo sospiro) È buono, sì, è buono; credo anche che mi ami, ma che amore scolorito in confronto di quello che io sognavo!… (la lana si rompe) Un carattere così freddo… (si rompe ancora) Oh! ma questa lana è una porcheria. È impossibile continuare. Ed ora?… (colpita da un’idea luminosa) Devo averne dell’altra… un po’ più scura, ma fa lo stesso; anzi è forse meglio un po’ scuretta per pantofole. Dove l’ho cacciata? (due minuti di riflessione) L’aveva in mano Gigi, l’altra sera, quando abbiamo messo all’ordine il tiretto della scrivania… egli ve l’avrà gettata in isbaglio — o io stessa magari — purchè non sia andata a finire insieme alle carte vecchie… Gigi ne buttò via tante! (Si alza e va ad aprire il tiretto della scrivania) Penne, fascicoli, ceralacca… niente; l’orario delle strade ferrate… niente; una grammatica… Oh! eccola, eccola qui!
La lana è accartocciata in un foglio di carta scritta. Sofia vi getta gli occhi a caso e legge: Mio angelo adorato. Torna a leggere. Oh Dio! è la scrittura di suo marito. È una brutta copia si vede; ma completa. Sofia impallidisce a denti stretti, trattenendo il fiato, tremante, agitata, divora quel foglio dove le proteste del più ardente amore si intrecciano ai deliri suscitati dalla bellezza di una nominata Elisa e termina giurando che nessuna donna al mondo potrà cancellare dal suo cuore quell’indomito affetto.
Sofia è annichilita.
Ben più terribile del Mane Techel Fares stanno davanti ai suoi occhi quelle linee roventi. Rilegge le frasi più appassionate: «Parmi accarezzare tuttavia le tue morbide treccie, parmi udire la tua voce argentina, sento, oh sento ancora sulla mia bocca l’impronta delle tue labbra divine…»
Ed è lui, Gigi, che ha scritto così? È lui, il freddo, l’impassibile Gigi? Lui, Gigi Ghieri, il professore che beve alla mattina l’acqua di quassio e porta pantofole così larghe?…
Sofia impazzisce. Ma è dunque solamente con lei che Gigi ragiona a fil di logica con tanta indifferenza? È per la moglie esclusivamente che egli ha accumulato tanti tesori d’esperienza e di scetticismo? Non è sempre stato così dunque?…
E quella donna!
La gelosia del passato, la peggiore di tutte, si impadronisce di Sofia. Dolore e furore la straziano a vicenda.
Per quel giorno non si parla più di lana celeste. Ella impiega le ore a combinare una scena per il ritorno di Gigi.
Che gli dirà? Già lei non sa fingere. Farà così. Appena lo vede spuntare gli corre incontro come una furia e gli mostra la lettera. Questo è il primo pensiero che le viene; ma poi riflette che la furia è cattiva consigliera: si propone di tacere e di scavar terreno in segreto. Se gli scrivesse? No — il mezzo non è simpatico. Se fuggisse in casa di sua madre? — e poi?
Non si è ancora decisa, quando si sente in anticamera la voce calma e sonora di Gigi Ghieri che domanda alla donna di servizio se si è ricordata di chiudere la finestra della cantina.
Sofia si rizza maestosa sulla sua poltroncina, mostrandosi molto occupata a numerare dei bottoni, colle labbra strette, col seno oppresso, agitata da una rabbia sorda.
Gigi. (entrando)… perchè se non si tiene chiusa la finestra, con questi caldi, il vino diventa presto aceto. (vede sua moglie) Addio, Sofia.
Sofia. (freme e non dice nulla).
Gigi. (leva il cappello, si asciuga il sudore della fronte e guarda la tavola dove non appare ancora la promessa del desinare) Neh? Sofia, mi pare che siamo un po’ in ritardo.
Sofia. (brusca) Può darsi.
Gigi. E proprio oggi ho molto appetito.
Sofia. (Silenzio perfetto).
Gigi. (si avvicina a sua moglie) Come ti occupano questi bottoni!
Sofia. (silenzio come sopra).
Gigi. Sofia?…
Sofia. (silenzio ostinatissimo).
Gigi. Ma, dico, Sofia, che hai? (prende una sedia e le si mette accanto) Ti senti male?
Sofia. (accenna di no).
Gigi. Via, dammi un bacio.
Sofia. (respingendolo con superbo disdegno) Oh!… guastare l’impronta delle labbra divine! (spezza un bottone.)
Gigi. (cade dalle nuvole) Cosa vuol dir ciò? Sofia, io non capisco.
Sofia resta muta.
Gigi. Ma parla dunque, spiega questo brutto enigma.
Sofia. (ironica) Parlare! A che servirebbe parlare quando non si ha la voce argentina?
Gigi. (tra sè) Che diventasse pazza? (forte) Sofia, francamente io non capisco nulla. In nome di Dio dimmi che cosa è successo.
Sofia. (terribile come la giustizia) Prima di tutto una parola. Mi ami?
Gigi. Non è nuova la parola. Sì, ti amo, lo sai.
Sofia. Quanto?
Gigi. Ma, quanto? Come si fa a dire? Un misuratore in proposito non c’è; il benometro, cara mia, non lo hanno ancora inventato.
Sofia. E questa è la tua risposta? (balza in piedi, afferra sulla scrivania la lettera fatale e la mostra a Gigi Ghieri) Qui però sapevi come dirlo!
Momento solenne.
Gigi guarda il foglio attraverso i suoi occhiali, lo riconosce e arrossisce leggermente.
Sofia. Qui le parole non ti mancavano, e nessuna ti sembrava abbastanza calda, abbastanza viva! Qui lo sapevi come si fa ad amare una donna! Qui tutto è ebbrezza, delirio, poesia!
Gigi. (approfitta di un singhiozzo che interrompe la parlata di Sofia) Mia cara, quando scrissi questa lettera avevo vent’anni. In quell’età è permesso ad un uomo che ama per la prima volta di eccedere un po’ nelle sue manifestazioni… Del resto la donna di cui si parla in questa lettera è morta da lungo tempo e tu non hai alcuna ragione di esserne gelosa…
Sofia. Io non sono gelosa di lei; sono gelosa di te, del tuo passato, di tutta quella forte giovinezza che hai dato alle altre, di tutti quegli entusiasmi che ora non hai più…
Gigi. Ma sai bene, gli uomini… prima di prender moglie…
Sofia. Purtroppo lo so! Oh! sono ben felici le donne che voi non sposate. (prorompe in lagrime).
Gigi. (la accarezza dolcemente sui capelli).
Sofia. (se ne schermisce perchè rammenta una frase della lettera: «Parmi accarezzare le tue morbide trecce»). Lasciami! Non voglio l’elemosina di sì tiepide carezze.
Gigi. Cara mia, rifletti, torna in te…
Sofia. No, no, va via.
Gigi. Io ti amo…
Sofia. (turandosi le orecchie) Taci.
Gigi. Se non sono molto espansivo devi compatirmi: il mio carattere…
Sofia. Non è vero!
Gigi. L’età, l’esperienza, i disinganni…
Sofia piange così forte che Gigi va a chiudere gli usci e le finestre; poi vedendo che sua moglie è inaccessibile, prende il partito di lasciar passare la burrasca, seduto sul divanuccio, colle mani sui ginocchi. Proprio il giorno prima, aveva letto due versi francesi che lo avevano fatto sorridere; a proposito degli orages il poeta diceva:
J’ ai vu ceux des femmes, j’ ai vu ceux des flots,
Et je plains les maris plus que les matelots.
Se li ricordava perfettamente; ma non sorrideva più.
La pendola del caminetto suonò le sei e mezzo.
Gigi. (prendendo una risoluzione) Dopo tutto bisognerà pranzare.
Chiama la donna di servizio, alla quale per salvare le apparenze dice che la signora ha l’emicrania.
La donna di servizio porta in tavola la zuppiera in punta di piedi; intanto che Sofia colla faccia nascosta nel velo della sua poltrona continua a singhiozzare.
Gigi. (col tovagliuolo spiegato) Sofia, andiamo… Non fare ragazzate. Si direbbe a vederti che sei una moglie tradita, mentre sa il cielo se io ti voglio bene e se desidero la tua felicità! (Scodella la minestra per due) Sofia… Sofia, mi fai dispiacere.
Sofia. (con impeto, voltando mezza faccia) Ed io forse godo!
Gigi. Ad ogni modo, godimento o sofferenza sono volontari; mentre io, rifletti, cara, sono stato a scuola tutto il giorno, ho avuto gli esami che mi hanno stancato orribilmente, vengo a casa con una fame indiavolata e invece della tavola pronta, trovo una moglie piangente e una lettera di quindici anni fa. Tutto ciò è ben fatto per mettere alla prova la pazienza di un uomo. (sparge il cacio sulla minestra). Vieni a tavola, andiamo.
Sofia. Non ho appetito.
La donna di servizio entra ad annunziare la signora Ardizzoni.
Gigi. A quest’ora?
La donna di servizio osserva che sono a momenti le sette e che se la signora non avesse l’emicrania, avrebbero già finito di desinare.
Gigi. È vero (depone il cucchiaio che aveva in mano e muove incontro a sua suocera). Pazienza! È un giorno predestinato. (ripensa ai due versi francesi).
Sofia si preme gli occhi col fazzoletto dopo averci soffiato sopra.
La Signora Ardizzoni, sull’uscio, volge intorno un’occhiata e intanto che stringe la mano a Gigi Ghieri, dice fra sè: Ci siamo.