Fosca/Capitolo XIII

Capitolo XIII

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XIII.

Conobbi però assai presto che non aveva che a rallegrarmi di questa specie di legame da cui, a primo aspetto, era stato messo un poco in pensiero. I compensi erano maggiori dei danni, la più schietta cordialità vi temperava le soggezioni della disciplina; e d’altronde il paese offriva realmente nulla. I miei commensali poi erano tutta gente dabbene, un poco millantatori, un poco fatui — difetti di soldato — ma in fondo in fondo onesti e leali.

Se v’era cosa atta a lusingarmi era questa, che tutti erano pieni di benevolenza per me e gareggiavano nel rendermi qualche servigio. Un medico di reggimento, in special modo, m’aveva posto non poca simpatia, e mi voleva seco assai spesso. Era uomo maturo d’anni e di senno, ma giovine di cuore; in alcune cose, come tutti gli uomini un po’ più che mediocri, fanciullo; in fatto di principii, virtù rara tra medici, credente. Non tardai a mettergli affetto io pure; e fu la sola persona che richiedessi e ripagassi d’amicizia in quel luogo.

La cugina del colonnello non s’era ancor fatta vedere. La malattia continuava a trattenerla nelle sue stanze. Io m’era avvezzato già da parecchi giorni a chiederne notizie a suo cugino, e a ripetergli alcune frasi di condoglianza che erano ben lungi dall’esprimere un dispiacimento sentito, giacchè era naturale che non potessi molto dolermi de’ suoi mali, non conoscendola; ma l’etichetta ha spesso esigenze ancor più ridicole.

Il suo posto rimaneva costantemente vuoto, ma nondimeno il suo coperto era sempre apparecchiato; in uno [p. 44 modifica]de’ suoi bicchieri v’era tutti i giorni un fiore fresco; e, cosa che mi preoccupava non poco, benchè non sapessi immaginare le ragioni — e non ve n’erano — quel posto vacante rimaneva sempre vicino al mio, ora da un lato, ora dall’altro, ma sempre vicino. Ciò mi metteva in pensiero, mi pareva che mi mancasse qualcosa, non mi trovava a mio agio, mi sembrava che essa avrebbe dovuto entrare da un istante all’altro per venirsi a sedere al mio fianco.

Questa preoccupazione era però esclusivamente mia, i miei commensali non si davano alcun pensiero di quell’ammalata, e parevano considerare quello stato di cose come naturalissimo. Tutto al più si limitavano a dire a fin di tavola:

— Anche oggi la signora ci ha lasciati soli!

Per me trovava strano che ogni giorno si apparecchiasse per lei, e ogni giorno la si aspettasse, come se la sua malattia fosse stata cosa da poterla abbandonare da un’ora all’altra; nè avrei osato chiedere spiegazioni al medico, col quale, come ho detto, era già entrato in qualche intimità, se un avvenimento inatteso non mi avesse posto nell’obbligo di farlo.

Un giorno, durante il pranzo, fui colpito da urla acute e strazianti che provenivano dalle stanze della signora. Quelle grida echeggiarono sì fortemente e sì improvvisamente nella nostra camera, che io trasalii, e quasi per istinto feci atto di alzarmi e di voler accorrere in suo aiuto.

Il colonnello sorridendo un po’ tristamente, e stringendomi la mano come per ringraziarmi di quell’intenzione, mi prevenne e mi disse:

— Non vi sgomentate, è mia cugina, essa patisce di convulsioni nervose, è cosa da nulla, fra pochi minuti le saranno cessate. [p. 45 modifica]

Uno dei medici si alzò da tavola un po’ a malincuore, e senza mostrare di darsene molto pensiero, entrò nell’appartamento di Fosca. Le sue cameriere non avevano dimostrato maggior premura di lui. Degli altri commensali nessuno si era mosso, o aveva dato il menomo segno di meraviglia.

A me era stato impossibile frenare la mia emozione. Non solo quelle grida erano orribilmente acute, orribilmente strazianti e prolungate, ma io non aveva immaginato mai che vi potesse essere qualche cosa di simile nella voce umana; o essendovi, non mi pareva possibile che l’uomo da cui era uscito una volta un tal grido potesse vivere ancora.

Ho esperimentato, prima e dopo quel giorno, fino a qual limite possa giungere il dolore nella natura umana, e ne ho intese tutte le rivelazioni vocali possibili, ma non mi avvenne mai di sentirlo manifestare con un linguaggio così orrendamente spaventoso come quello. Oggi ancora, dopo cinque anni, io risento ne’ miei sogni l’eco di quelle grida terribili.

— Vedo che siete un poco preoccupato da quell’avvenimento, mi disse il medico allorchè fummo usciti assieme da quella casa. — Confessate...

— Voi prevenite la mia domanda, interruppi io ansiosamente. Ne fui commosso nel più profondo dell’anima; perchè dovrei nascondervelo? Non so come non si potesse esserne commossi. Ma che malattia ha dunque quella donna?

— Tutte.

— Tutte! Spiegatevi.

— È una specie di fenomeno, una collezione ambulante di tutti i mali possibili. La nostra scienza vien meno nel definirli. Possiamo afferrare un sintomo, un effetto, un risultato particolare, non l’assieme dei suoi [p. 46 modifica]mali, non il loro cantiere complessivo, nè la loro base. Possiamo curarla come empirici, ma non come medici. È una malattia che è fuori della scienza; l’azione dei nostri rimedi è paralizzata da una serie di fenomeni e di complicazioni che l’arte non può prevedere. E l’arte medica, voi lo sapete, non è che una povera cosa — si va innanzi per induzioni.

— Ma quelle grida? io dissi.

— Ciò è il meno, convulsioni isteriche. Già... il fondamento de’ suoi mali è l’isterismo, un male di moda nella donna, un’infermità viziosa che ha il doppio vantaggio di provocare e di giustificare. Quella creatura è d’una irritabilità portentosa, ha i nervi scoperti (Mi ricordo di questa espressione: «i nervi scoperti»). La menoma contrarietà, il menomo urto bastano a provocare quella catastrofe che oggi vi ha tanto spaventato. Del resto è cosa di tutti i giorni. Fu caso che non sia più avvenuta da qualche tempo in quell’ora.

— Suo cugino non sembra però molto impensierito da questo stato di cose.

— È naturale. Non vi è rimedio.

— Ella vi soccomberà dunque presto?

— Non credo, la sua macchina è sì debole che non ha forza di produrre una malattia mortale.

— Strano!

— Ne abbiamo esempi ogni giorno; ogni trionfo è l’effetto di una lotta; occorrono elementi atti a lottare; in un corpo come quello non vi è lotta; tutti quei mali si paralizzano; i forti e i robusti giuocano sempre una partita assai seria colla infermità, i deboli se ne schermiscono. Con una salute come quella si vive spesso fino a ottant’anui.

— È una teoria consolante pei deboli, io dissi; ma come ha potuto buscarsi tutti quei mali? [p. 47 modifica]

— Nessuno lo sa.

— Il suo passato?

— Lo ignoro.

— È giovine?

— Venticinque anni.

— (L’età di Clara!) È bella?

Il mio amico sorrise con aria di mistero, e si portò un dito alle labbra come per impormi il silenzio.

— Non credete che essa sia l’amante del colonnello?

— Non credo, diss’egli.

E sorrise da capo e più vivacemente.

In quell’istante eravamo giunti alla porta della sua casa. Conveniva separarsi.

— La vedrete fra poco, continuò egli, giudicherete voi stesso della sua bellezza. Bisognerà che vi mettiate sulle difese.

E nell’allontanarsi mi ripetè con aria scherzevole:

— Badate al vostro cuore: tenetevi in guardia!

Perchè un tale avvertimento, e perchè offerto in tal guisa?

Non sapeva comprendere il vero significato di quelle parole.