Fosca/Capitolo L
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Capitolo XLIX |
L.
Dopo quel giorno tutto è oscurità nelle mie memorie; io non appresi che più tardi gli ultimi dettagli di questa tragedia domestica. La morte di Fosca, l’arrivo di mia madre, il ritorno al mio paese natale sono tutti avvenimenti di cui non ho serbato altra ricordanza che quella oscura e confusa di un sogno. Mi sembra talora che tali fatti sieno avvenuti in un’epoca assai remota della mia vita, tale che non può neppure essere circoscritta entro il limite degli anni che ho già vissuto; e sarei tentato di negare fede all’esistenza di questo passato angoscioso, se le traccie che esso ha lasciato nel mio cuore non fossero troppo palesi e troppo profonde.
Soltanto quattro mesi dopo la catastrofe che ho raccontato, una lettera del dottore mi recava le ultime notizie di quei fatti.
«Non vi ho scritto prima perchè sapeva che la vostra malattia vi avrebbe impedito di rispondermi, e forse anche di apprendere il contenuto della mia lettera. Sento che vi siete pressochè ristabilito, e che i vostri accessi nervosi sono anche più miti e più rari. Il vostro medico vi avrà certo assicurato che ne guarirete, io ne impegno la mia parola; questi accessi non hanno alcun carattere epilettico, la vostra debolezza li alimenta, la forza che riacquisterete guarendo li farà cessare. Viaggiate, divagatevi.
«Ignoro se lo stato d’animo in cui vi trovavate allora v’abbia permesso di serbar memoria di ciò che avvenne prima della vostra partenza. Fosca morì tre giorni dopo quella notte fatale; morì felice, illusa, soddisfatta; ignara di ciò che avvenne tra voi e suo cugino, convinta che l’ordine della vostra traslocazione aveva reso la vostra partenza inevitabile.
«In una scatola che vi spedisco colla ferrovia troverete un involto di seta nera contenente i suoi capelli. Io ve li avrei mandati prima se, sapendovi ancora malato, non avessi temuto di commuovervi fatalmente con questo dono. Saprete certo che ve li mando per incarico suo.
«La ferita del colonnello fu grave, non mortale; il proiettile lo colpì pure alla spalla, ma girò l’osso senza fratturarlo. Guarì in quaranta giorni. Il Ministero seppe del duello, e poichè le vostre dimissioni non erano state ancora nè offerte, nè accettate, lo costrinse a chiedere il suo collocamento in ritiro. Egli è partito pochi giorni or sono per Suez, ove gli fu offerto un impiego d’ingegnere civile nei lavori del taglio dell’istmo. Io gli avrei parlato volontieri di voi, e avrei voluto convincerlo della vostra innocenza; ma queste sue ultime sciagure lo avevano reso sì sospettoso e sì ingiusto, che avrei temuto di nuocere alla vostra causa anzichè di favorirla. D’altronde è assai probabile che non abbiate più a rivederlo.
«Ho fede che la vostra coscienza non mi avrà scagliata mai alcuna parola di rimprovero per l’influenza fatale che ebbi in queste vostre sventure; nondimeno ho bisogno che me ne assicuriate; voi sapete se io ho pensato alla vostra felicità, e se mi stette a cuore il procurarvela.
«Non so se ci vedremo ancora, nè quando (ci hanno sbalzati all’altro capo dell’Italia), ma se ciò avverrà spero che vi vedrò mutato. La vita, la gioventù, il cuore hanno i loro diritti; voi li avevate anche troppo sacrificati. Distaccatevi dal passato, gettatevi in questo grande avvenire che vi attende. La coscienza è codarda, essa si atterrisce spesso di mali che non commise, o che non potea non commettere. Una cieca fatalità muove e dirige le azioni di tutti gli uomini; non date loro maggiore responsabilità di quella che vi assegnano i limiti ristrettissimi del vostro arbitrio.
«Addio, mio buon amico, possiate essere felice, e non farvi rimprovero d’una sciagura di cui non siete stato che uno strumento.»