Fiore di virtù/XIV
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CAPITOLO XIV.
Della lusinga appropriata alle Serene.
Lusinga si è contrario vizio della correzione, e, secondo che dice Andronico, si è dolcezza di parole con alcuno colore di lode, per trarre l’animo altrui alla sua propria utilitade; chè usando dolci parole solo per piacere, e non per altra utilitade, non è vizio, anzi virtù, che si chiama piacevolezza. E puossi appropriare lo vizio della lusinga alla Serena, ch’è uno animale che dal mezzo in su è in forma d’una bella donzella, e dal mezzo in giù è a modo d’un pesce con due code rivolte in su; e sta sempre in luogo pericoloso del mare, e canta sì dolcemente, ch’ella fa addormentare le persone che l’odono, e come sono addormentate le fa pericolare in mare. Tullio dice: A ciascuno sii benigno: con nessuno non essere lusinghiere, e con pochi abbi famigliarità. Ovidio dice: Sotto il dolce mèle s’appiatta il malvagio veleno. Isopo dice: Sotto le dolci parole s’appiattano le male opere. Seneca dice: Ogni lusinga porta sotto il suo veleno; nè non si vuole accompagnare con gli uomini rei, perch’è gran biasimo. Ovidio dice: Meglio è a conversare cogli nimici suoi, che cogli lusinghieri. Seneca dice: Più è da temere le lusinghe che le minacce. Cato dice: Quando alcuna persona ti loda, ricórdati d’essere tuo giudice, e non credere più ad altrui che a te stesso. Seneca dice: Un malvagio amico lusinga lo suo amico, e menalo per mala via. Plato dice: Non ti fidare d’uomo che ti lodi di quello che non è da lodare; che così ti biasimerebbe di quello che non sarebbe vero dietro a te. Lo scorpione lusinga colla faccia, e colla coda punge. Ermes dice: Il cane ama l’osso infino che v’ha su da piluccare; e l’occhio ama il fiore infino ch’egli è bello. Varro dice: L’ape porta il mèle in bocca e ’l vespajo sotto la coda. Isopo dice: Il matto dispiace di quello che s’ingegna di piacere. Socrate dice: L’erba del prato cuopre la terra, e la piacevolezza cuopre i difetti delle persone. In Isopo si legge del vizio delle lusinghe, che fu una fiata un corbo ch’avea un pezzo di formaggio in bocca, e la golpe lo vide, e pensò di volerlo; sicch’ella cominciò a lodarlo e a lusingarlo, e disse, che molto si dilettava del suo cantare, perch’egli le parea uno de’ più begli uccegli ch’ella avesse mai veduto; e se il canto fosse così bello come la persona, non era cosa che gli mancasse. E ’l corbo, udendosi lodare, cominciò a cantare, e ’l formaggio gli cadde di bocca, e la golpe lo si tolse, e disse: Tu abbi il canto, e io m’arò il formaggio: e andossene via, e così iscornato il corbo si rimase tristo e beffato.