Fior di Sardegna/Capitolo VI

Capitolo VI

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VI.


La casa di don Salvatore, o piuttosto il casamento, che del resto ad X*** veniva chiamato pomposamente palazzo, come si è detto, ergevasi ultimo all’estremità nord di X***. — Le finestre irregolari, i muri imbruniti dal tempo, basso, quasi rotondo, circondato da cortili rustici e loggiati, pareva una costruzione medievale, e forse lo era; dietro si stendeva un orto, piantato qua e là a magnifici alberi fruttiferi, con pergolati assai pittoreschi e il loro ingraticolato di rami e di canne, e l’interno corrispondeva perfettamente all’esterno; la mobilia severa, antica, bruna, le pareti bianche e i pavimenti e i soffitti di legno.

La cucina ampia, dalle pareti coperte di casseruole di rame lucentissime, il camino in un angolo e il forno nell’altro, poteva passare per cucina di veri signori viventi di stipendio, e non di rendita, se due cose non l’avessero tradita; il gran focolare di pietre, posto nel bel mezzo e la graticola di legno annerito dal fumo, attaccata alle travi per mezzo di corde di pelo di cavallo, produzione paesana, e pendente sul focolare, sulla quale si disseccava e affumicava il formaggio. Dietro la cucina si stendevano le cantine e i magazzini per gl’immensi raccolti del grano, dell’orzo, dell’olio, e di tutte le altre qualità di frutta e [p. 26 modifica]di legumi prodotti dalle terre di don Salvatore. L’uva fresca, le pere e le mele, l’uva passa e i fichi secchi pendevano dalle travi del soffitto come strane stalattiti, più interessanti di quelle delle grotte di Alghero, — nella penombra luccicavano i formaggelli, color d’oro, negli angoli si ammucchiavano le noci, le nocciuole e le mandorle, — su grosse tavole stavano disposte grandi quantità di formaggio e le provviste del lardo, del salame, della salsiccia, prosciutto e strutto conservato in vasi di terra, come in vasi di terra si conservavano i pomodori secchi, rossi e oleosi, olezzanti di basilico, e le ulive secche e altri frutti ed erbaggi, nell’olio di oliva.

E là, là, nella cantina fresca, le botti di vino nero, rosso e bianco, che costituivan da sè sole una grossa rendita. Oh, v’era ogni ben di Dio, in quella casa! Nei cortili ruzzavano le galline e i polli, e s’ergevano grandi cataste di legna per l’inverno, quando il fuoco doveva ardere eternamente nel focolare e in tutti i camini della casa; in luoghi appartati stavano la casupola per il maiale e la stalla per i buoi ed i cavalli: anche i cani da caccia e da guardia, anche i grossi gatti bianchi e neri che custodivano la casa da quei ladri pericolosi detti sorci, avevano il loro nido tiepido e sicuro in casa Mannu, e, cosa da notarsi, benchè si odiassero, si rispettavano vicendevolmente, seguendo l’esempio dei padroni. La pace, l’ordine, la pulitezza e l’abbondanza regnavano in quella famiglia. Ogni domenica, donna Margherita faceva andare a messa i servi ritornati da campagna il sabato notte per cambiarsi la biancheria e... visitare la loro bella, apprestava loro un pranzo abbondante e li rimandava ai loro lavori la sera, tardi, per il domani. Due domestiche solo, sane e oneste popolane, erano al servizio dei Mannu. Il lusso bandito lontano, l’economia praticata in tutta l’estensione del termine, erano i segreti per i quali don Salvatore aumentava ogni giorno più il suo patrimonio: si diceva che i denari si misuravano, in quella casa a decalitri, ma non mai nessun ladro vi s’era avventurato. Le finestre erano munite di grosse inferiate, le porte infrangibili, e si sapeva anche che don Salvatore dormiva ogni notte in casa e teneva due pistole cariche sul tavolino da notte. — La vita scorreva metodica, tranquilla, mai turbata da una [p. 27 modifica]nuvola sola, per i Mannu. Donna Margherita si levava col sole e aiutava le domestiche a rimettere in ordine la casa; alle otto si levavano anche le bimbe e il padre; si faceva colazione, la zuppa di caffè e latte, usatissima in quasi tutta la Sardegna, — poi le piccole andavano a scuola, don Salvatore accudiva a’ suoi affari, spesso usciva in campagna per tutta la giornata o andava a caccia, — donna Margherita si immergeva tutta nella grave cura del pranzo. A mezzogiorno preciso si era in tavola; il dopo pranzo si dormiva un pochino, specialmente nei mesi caldi, dopo si prendeva il caffè al rezzo dei pergolati o intorno al fuoco, e le bambine tornavano alla scuola e don Salvatore ai suoi affari e donna Margherita e le domestiche cucivano, filavano, lavoravano insieme fino all’ora di preparare la cena. — Al primo accendersi dei lumi, la tavola era nuovamente apparecchiata; dopo cena si chiacchierava del più e del meno, a voce calma e mente serena, poi... si andava a letto, e buona notte al mondo tutto. — E così sempre, come ieri oggi, come oggi domani. Come si è detto, donna Margherita usciva poco, e poche visite venivano a disturbarla. Preparava in casa il pane, le minestre, i dolci, le conserve, — a lei il seccare le uve e le frutta tutte in estate, a lei il presiedere alle vendemmie, a lei il manipolare l’olio per ben conservarlo, e i grani e i formaggi. Essa eseguiva i formaggelli, il burro, lo strutto, i salami, — essa dava somma attenzione a tutto e tutto camminava nella dritta via. Lo aveva ben detto Marco Ferragna quando aveva conosciuto il caratteristico andamento di quella casa: — Caro zio Salvatore, la vostra è una casa, una famiglia patriarcale!

Pensava intanto alla sua casa, alla sua famiglia aristocratica, che andava a teatro, ai balli, che vegliava sino all’alba e spendeva sontuosamente nei pranzi chiassosi, — ma che nel medesimo tempo non gustava un momento di pace e di felicità.