Libro terzo - Capitolo 46
Voltossi allora il re a Biancifiore, e disse: - Bella giovane, a me ricorda che quando davanti mi recasti nella festa della mia natività il velenato paone, io giurai per lo sommo Iddio e per l’anima del mio padre, e promisi al paone che in brieve tempo io ti mariterei a uno de’ grandi baroni del mio regno: però, volendo osservare il mio voto, t’ho maritata, e il tuo marito si chiama Sardano, signore dell’antica Cartagine, a noi carissimo amico e parente. Egli con grandissima festa t’aspetta, sì come i presenti gentili uomini da sua parte a noi per te venuti ne dicono. Però rallegrati: e poi che piacere è di lui, a cui oramai sarai cara sposa, con costoro n’andrai, e noi sempre per padre terrai, là ove bisogno ti fosse tale paternità -. Le cui parole come Biancifiore udì, tutta si cambiò nel viso e disse: - Oimè, dolce signore, e come m’avete voi maritata, che io nel gran pericolo che fui, quando ingiustamente al fuoco fui condannata, per paura della morte, a Diana votai etterna virginità, se dallo ingiusto pericolo mi campasse? -. - Come - disse il re - richiede la tua bellezza etterna virginità, la quale a’ venerei atti è tutta disposta? Giunone, dea de’ santi matrimonii, ti rimetterà questo voto, poi che il suo numero accresci -. - Oimè! - disse Biancifiore - io dubito che la vendicatrice dea giustamente meco non si crucci -. - Non farà - disse il re, - e posto che ciò avvenisse, questo è fatto omai, non può indietro tornare. Tu dovevi dirloci avanti se così avevi promesso. Imineo lieto e inghirlandato tenga nella vostra camera le sante facelline -. E questo detto, comandò che Glorizia sua maestra le fosse per servigiale donata, sì come della misera Giulia era stata, e che ella fosse da’ mercatanti tacitamente menata via, e i tesori riposti.