Libro terzo - Capitolo 47
Biancifiore, che i segreti ragionamenti e l’abito de’ mercatanti e i ricevuti tesori tutti avea veduti, e il tacito stile che il re nella sua partenza teneva, e similmente l’unica servitrice a lei donata, e le ingannevoli parole della reina che detto l’avea: "Vieni, che il tuo Florio viene" nella mente notava, fra sé dolendosi incominciò a dire: - Oimè, che è questo? In sì fatta maniera non sogliono le giovani andare a’ loro sposi, anzi si sogliono fare grandissime feste, e io con taciturnità sono cercata di menar via. Né ancora si sogliono per le mie pari da’ mariti mandare tesori, anzi ne sogliono ricevere. Né ancora costoro paiono uomini atti a portare ambascerie di sì fatte bisogne, ma mi sembrano mercatanti; e i segreti mormorii mi danno cagione di dubitare. E ove s’usa ancora una giovane andare a sì fatto sposo, quale egli dice che m’ha donato, con una sola servitrice? Oimè, che tutte queste cose mi manifestano che io sono ingannata! Io misera, nata per aver male, non maritata ma venduta credo ch’io sono, come schiava da pirrata in corso presa. Oimè, che farò? Come che io mi sia o venduta o maritata, come potrò io abandonare il bel paese ove il mio Florio dimora? -. E questo dicendo, incominciò sì forte a piangere, che a forza mise pietà ne’ crudeli cuori del re e della reina. Ma il re ciò non sofferse di stare a vedere, anzi si partì per paura di non pentersi, e la seconda volta comandò che portata ne fosse.