Libro secondo - Capitolo 35
Al nuovo e mirabile splendore si voltarono tutti i dimoranti della gran sala, non meno che alla chiara voce di Biancifiore, piena di soavissima melodia; e a lei graziosamente rendero il suo saluto. E il re, il quale allegro era nell’animo però che già vedea per la pensata via appressarsi il disiderato fine, con lieto viso, poi che tutta la sala tacque, le disse: - Certo, Biancifiore, la tua bellezza adorna di virtuosi costumi, e la degnità del santo uccello insieme, meritano degnamente ricchissimi vanti; né a questi alcuno di noi può debitamente disdirsi: ond’io, sì come principale capo del nostro regno, comincerò, poi che la ragione e ’l tuo piacere l’adimanda -. E voltato verso l’antica imagine di Giove, nella sua sala riccamente effigiata, disse così: - E io giuro per la deità del sommo Giove, la cui figura dimora davanti da noi, e per qualunque altro iddio insieme con lui possiede i celestiali regni, e per lo mio antico avolo Atalante, sostenitore d’essi regni, e per l’anima del mio padre, che avanti che ’l sole ritocchi un’altra volta quel grado ove egli ora dimorando ci porge lieta luce, se essi mi concedono vita, d’averti donato per marito uno de’ maggiori baroni del mio reame: e questo per amore del presente paone ti sia da ora promesso -. Assai coperse il re con queste parole il suo malvagio volere, ignorando quello che i fati gli apparecchiavano; e ella sospirando tacitamente al suono di queste parole, notò in se medesima i detti del re pigliandoli in buono agurio, fra sé dicendo: "Dunque avrò io per marito Florio, il quale io solo per marito e per amico disidero, però che nullo barone è maggiore di lui in questo regno"; poi, ringraziato il re onestamente e con sommessa voce, con picciolo passo procedette avanti, fermandosi nel cospetto di Parmenione, il quale incontanente così disse: - Io prometto al paone che, se gl’iddii mi concedono che io vi vegga per matrimoniale patto donare ad alcuno, quel giorno che voi al palagio del novello sposo andrete, io con alquanti compagni, nobilissimi e valorosi giovani, vestiti di nobilissimi drappi e di molto oro rilucenti, adestreremo il vostro cavallo e voi sempre con debita reverenza e onore, infino a tanto che voi ricevuta nella nuova casa scavalcherete -. - Adunque - disse Biancifiore - più che Giunone mi potrò io di conducitori gloriare -; e passò avanti ad Ascalion, che in ordine seguiva alla reale mensa, dicendo: - O caro maestro, e voi che vantate al paone? -. Rispose Ascalion: - Bella giovine, posto che io sia pieno d’età e che la mia destra mano già tremante possa male balire la spada, sì mi vanto io per amor di voi al paone, che quel giorno che voi novella sposa sarete, la qual cosa gl’iddii anzi la mia morte mi facciano vedere, io con qualunque cavaliere sarà nella vostra corte disideroso di combattere meco, con le taglienti spade sanza paura combatterò, obligandomi di sì saviamente combattere, che sanza offendere io lui o egli me, o voglia egli o no, io gli trarrò la spada di mano e davanti a voi la presenterò -. Ciascuno che questo udì si maravigliò molto, dicendo che veramente sarebbe da riputare valoroso chi tal vanto adempiesse. Ma Biancifiore andando avanti venne in presenza di Messaallino, il quale vedendola, quasi della sua bellezza preso, disse: - Giovane graziosa, per amore di voi io vanto al paone che quel giorno che voi prima sederete alla mensa del novello sposo, io vi presenterò dieci piantoni di dattero coperti di frondi e di frutti, non d’una natura con gli altri, però che quelli, de’ quali la mia terra è copiosa, a ciascuna radice hanno appiccato un bisante d’oro -. Inchinandogli, Biancifiore il ringraziò; e volto i passi suoi verso il duca Ferramonte, che alla sinistra del re sedea, e davanti a lui posato il paone, gli richiese quello che avanti agli altri avea richiesto. A cui il duca rispondendo disse: - E io imprometto al paone che per la piacevolezza vostra, il giorno che novella sposa sarete, e appresso tanto quanto la vostra festa durerà, di mia mano della coppa vi servirò quanto vi piaccia -. - Certo - disse Biancifiore - di tal servidore Giove non che io, si glorierebbe -; e passò avanti a Sara, il quale come davanti se la vide, disse: - Io voto al paone che quel giorno che gl’iddii vi concederanno onore di matrimoniale compagno, io vi donerò una corona ricchissima di molte preziose pietre e di risplendente oro bellissima, e ove che io sia, se io saprò davanti la vostra festa, verrò a presentarlavi con le mie mani -. Il quale tacendo, subitamente Menedon soggiunse: - E io prometto al paone che se gl’iddii mi concedono che io maritata vi veggia, tanto quanto la festa delle vostre nozze durerà, io con molti compagni, vestiti ciascuno giorno di novelli vestimenti di seta, sopra i correnti cavalli, con aste in mano e con bandiere bigordando e armeggiando, a mio potere essalterò la vostra festa -. Ringraziollo Biancifiore, e tornata indietro, davanti al re posò il paone, e così disse: - Principalmente voi, o caro signore e singulare mio benefattore, e appresso questi altri baroni tutti, quanto io posso, degl’impromessi doni vi ringrazio, e priego gl’immortali iddii che, là dove la mia possa al debito guiderdone mancasse, che essi con la loro benigna mente di ciò vi meritino -. E questo detto, onestamente fatta la debita reverenza, si partì, e con lieto viso tornò alla reina narrandole gl’impromessi doni. A cui la reina disse: - Ben ti puoi omai gloriare, pensando che uno sì fatto prencipe qual è il nostro re, e sei cotali baroni quali sono coloro che con lui sedeano, si sono tutti in tuo onore e piacere obligati -.