Libro secondo - Capitolo 36
Rimase sopra la real mensa il velenoso uccello, il quale il re, come Biancifiore fu partita, comandò che tagliato fosse; per la qual cosa un nobilissimo giovane chiamato Salpadin, al re per consanguinità congiuntissimo, il quale quel giorno davanti li serviva del coltello, prese con presta mano il paone, e, gittata in terra alcuna estremità, incominciò a volere smembrare il paone; ma non prima caddero le gittate membra, che un cane piccioletto, al re molto caro, le prese, e, mangiandole, incontanente gl’incominciò a surgere una tumorosità del ventre, e venirgli alla testa, la quale tanto gliele ingrossò subitamente, che quasi era più la testa fatta grande che essere non solea tutto il corpo; e similemente discorsa per gli altri membri, oltre a’ loro termini grossi e enfiati gli fece divenire; e i suoi occhi, infiammati di laida rossezza parea che della testa schizzare gli dovessero, e con doloroso mormorio, mutandosi di più colori, disteso tal volta in terra e talora in cerchio volgendosi, in piccolo spazio scoppiando quivi morì. La qual cosa da molti veduta, la gran sala fu tutta a romore, e i soavissimi strumenti tacquero, mostrando questo al re, il quale incontanente gridò: - E che può ciò essere? -. E voltato a Salpadin, il quale già volea fare la credenza, disse: - Non tagliare; io dubito che noi siamo villanamente traditi: prendasi un altro membro del presente paone e gittisi ad un altro cane, però che questo qui presente morto per veleno mostra che morisse, onde che egli il prendesse, o delle stremità da te gittate in terra, o d’altra parte -. Salpadin sanza alcuno dimoro gittò la seconda volta un maggiore membro ad un altro cane, il quale non prima mangiato l’ebbe, che, con simile modo voltandosi che ’l primo, del mortale dolore affannato, cadde e quivi in presenza di tutti morì. Onde il re con furioso atto gridando: - Chi ha la nostra vita con veleno voluta abreviare? -, e gittata in terra la tavola che davanti a lui era, si dirizzò, e comandò che subitamente Biancifiore e ’l siniscalco e Salpadin fossero presi, però che di loro dubitava che alcuno d’essi tre avvelenare l’avesse voluto co’ suoi compagni. O sommo Giove, or non potevi tu sostenere che quel cibo avesse ingannato lo ’ngannatore, avanti che la innocente giovane tanta persecuzione ingiustamente sostenesse? Or tu sofferesti che i tuoi compagni fossero co’ membri umani tentati alla tavola di Tantalo, quando a Pelopo, perduto l’omero, fu rifatto con uno d’avorio; e similemente sostenesti che il misero Tireo fosse sepoltura dell’unico suo figliuolo! Erati così grave per giusta vendetta abbagliare lo iniquo senso del re Felice? Ma tu forse per fare con gli avversi casi conoscere le prosperità, pruovi le forze degli umani animi, poi con maggior merito guiderdonandoli.