Libro quinto - Capitolo 54
- Quanto sia stato nelle cinque età passate, vi credo con aperta ragione aver mostrato - disse Ilario; - ora alla sesta piena di grazia, nella quale dimoriamo, con più lento passo ci conviene procedere, e dicovi così. Come voi poteste nel principio del mio parlare comprendere, se bene ascoltaste, uno è il creatore di tutte le cose, a cui principio non fu né fine sarà mai, il quale, da sé gittate le superbe creature, volle di nobile generazione riempiere i voti luoghi, e creò l’uomo, al quale morte annunziò se il mandato passasse, com’io vi dissi. Ma quelli, vinta la sua sposa dalle false subduzioni dell’etterno nimico, piacendo a lei il trapassò, per che cacciato con lei insieme del glorioso luogo, agli affannosi cultivamenti della terra ne venne, e morì; e noi, sì come suoi successori, corporalmente tutti moriamo. Ma però che le nostre anime, fatte da Dio alla sua imagine, tutte andavano a’ dolenti regni de’ malvagi angeli, non tanto giustamente fosse col corpo vivuta, né niuna era possibile per suo merito a risalire colà donde peccando era caduta, il creatore di quelle per sua propia benignità verso noi divenne pietoso, e nel principio di questa sesta età, regnante Ottaviano Augusto e tenendo tutto il mondo in pace quieta, il suo unico Figliuolo volle che s’incarnasse in una vergine di reale progenie discesa, il cui nome fu e è Maria, alla quale in Nazaret, città di Giudea, per convenevole messo il fece annunziare. Dal quale essa rassicurata, al volere del suo signore sì rispose, dicendo: "Ecco l’ancilla del Signore, sia a me secondo la sua parola". La quale risposta fatta, cooperante la virtù del Santo Spirito, l’unico Figliuolo di Dio fu incarnato; alla quale incarnazione niuna naturale operazione fu mescolata, né opportuna, se bene si guarda. Fu adunque la incarnazione, come detto v’ho, del Figliuolo di Dio, il quale poi glorioso nacque, acciò che poi passione e morte sostenendo le nostre colpe lavasse, e facessene possibili a salire a quella gloria donde ne cacciò disubidendo il primo padre, non perché Iddio non avesse con la sua parola sola potutone perdonare e rifarci degni, che bene avria potuto, però che nella sua potenza ogni cosa si richiude; ma egli fece questo acciò che più apertamente la benivolenza, la quale continua ha verso di noi, ne dimostrasse, e acciò che noi più pronti a’ suoi servigi ci disponessimo, veggendone tanto dono conceduto sanza averlo servito, ma più tosto diservito. Incarnato adunque costui, le leggi della presa carne seguendo, nove mesi nel ventre della Vergine fé dimora, la quale venendo con Giosep suo sposo, uomo di lunghissima età, il quale abandonare l’avea voluta per la non conosciuta pregnezza, se l’ammonizione dell’angelo non fosse, da Betelem in Ierusalem a pagare una moneta che dieci piccioli valesse, detta denaro, sì come Ottaviano avea mandato comandando, acciò che ’l numero de’ suoi sudditi sapesse, menando un bue e uno asino seco: il bue per vendere acciò che le spese sostentasse del parto, e l’asino per leviare l’affanno del cammino. Sentendo la Vergine il tempo del partorire, così andando, ad una grotta, la quale lungo la via era dove i viandanti soleano tal volta loro bestie legare per fuggire l’acque o’ caldi, o per riposo, entrarono, però che per li molti andanti ogni casa era presa. Quivi poveramente la notte si riposarono, la quale già mezza passata, la Vergine, così come con diletto carnale non avea conceputo, così sanza alcuna doglia spuose il suo santo portato: il quale, acciò che dal freddo che era grande il guardasse, povera di panni, nel fieno, che davanti al bue e all’asino era, l’involse. E che deono fare gli uomini, poi che quelle bestie, conoscendo il Salvatore del mondo, s’inginocchiarono, quella reverenza faccendogli che il loro poco conoscimento amministrava? In quell’ora s’udirono l’angeliche voci degli angeli tornanti al cielo, cantando ’Gloria in excelsis Deo’, con quanto di quello inno si legge poi. In quell’ora si videro per lo mondo mirabili cose, e massimamente in questa città. Or non ruinò elli quella notte il gran tempio della pace, il quale, secondo a’ romani domandanti fu risposto, doveva tanto durare che la Vergine partorisse, per che essi, imaginando quella mai non dover partorire, nella sommità della porta di quello scrissero "il tempio della pace etterno", e sopra le ruinate mura fu poi edificato un altro salutifero tempio, da colei nominato che Vergine partorì? Non la imagine di Romolo, re de’ romani, cadde e tutta si disfece? Certo sì; e l’imagini fatte a dimostrazione delle mondane provincie, a’ romani suddite, tutte si ruppero, né restò nel mondo alcuno idolo intero. Quella notte, oscurissima, divenne chiara come bel giorno, e una fonte d’acqua viva in liquore d’olio in questa città si converse, e olio corse tutto quel glorioso giorno infino al Tevero. E apparve a tre re orientali, stanti sopra il vittoriale monte, quel giorno una stella chiarissima, nella quale elli videro un fanciullo piccolo con una croce in testa, e parlò loro che in Giudea il cercassero. E quel giorno medesimo, avvegna che alcuni dicano che prima apparissero, apparvero in oriente tre soli, i quali, poi che veduti furono, in un corpo tutti e tre ritornarono, per li quali assai aperto l’essenza della Trinità si manifestò. E certo Ottaviano Augusto volle da’ romani essere adorato per iddio, ma egli, discreto, i consigli della savia Sibilla domandò; alla quale, venuta a lui il giorno di questa natività gloriosa, egli disse: "Vedi se niuno dee di me nascere maggiore, o se io per iddio a’ romani mi lascio adorare". La quale, nella sua camera dimorando, in un cerchio d’oro, contra il sole apparito, gli mostrò una vergine con un fanciullo in braccio, la quale egli con maraviglia riguardando, s’udì dire: "Hec est Ara celi", né vide chi ’l dicesse. A cui la Sibilla poi disse: "Quelli è maggiore di te, e lui adora". Le quali parole udite, egli gli offerse incenso, e in tutto a’ romani rinunziò l’esser adorato per iddio, però che mortale e non degno di ciò si sentiva. E in questo medesimo giorno apparve un cerchio, il quale tutta la terra circuì, fatto a modo che iri; e le vigne d’Egando, le quali proferano il balsamo, fiorirono quella notte, e diedero frutto e liquore. E pochi dì avanti questo si truova che arando alcuni con buoi, i buoi dissero: "Gli uomini mancheranno e le biade aumenteranno". Similemente i pastori, che in quella notte guardavano le loro bestie, essendo loro dagli angeli nunziato il nascimento del garzone, andando in quella parte, trovarono vero ciò che loro era stato detto, e adoraronlo. In quella notte similmente si truova che quanti soddomiti erano, tanti ne furono estinti, avendo Iddio quel peccato oltre agli altri, e meritamente, in fastidio: e dicesi che vedendo Iddio quel vizio contra natura ne umana natura operarsi, per poco non rimase d’incarnarsi. Dunque tante cose, e molte altre che avvennero, le quali a contare troppo saria lungo, mostrarono bene che il Creatore e Salvatore del mondo era nato: e se forse mirabile vi pare che tanto uomo in sì estrema povertà nascesse, la cagione vi tragga di maraviglia. Egli, signore di tutte le cose, è credibile che se voluto avesse, potea ne’ gran palagi, tra molti panni, nelle infinite dilicatezze, nascere, e avere molte balie; ma acciò che l’umiltà mostrasse a tutti dovere esser cara, così bassamente cercò di nascere, e per molte altre cagioni, le quali con più disteso stile ancora vi mostrerò, il fece. Nato adunque così costui, fu all’ottavo giorno della sua natività circunciso secondo la giudaica legge. E i tre re d’oriente con doni, seguendo la veduta stella, il vennero a visitare: e giunti in Ierusalem, Erode, re di quella, dimandarono di lui, il quale, non conoscendolo, e di lui dubitando, però che udito avea il re de’ Giudei dovere nascere, disse: "E’ non è qui, andate e trovatelo, e da me tornate, acciò che io, da voi sappiendo ove egli sia, vada e adorilo". I quali, usciti di Ierusalem, e riveduta la stella, in Betelem lo trovarono, e adoraronlo, e offersonli oro, incenso e mirra: e ammoniti nel loro sonno dall’angelo, per altra via nelle loro regioni tornarono. Il quarantesimo giorno venuto, fu offerto al tempio, e dal vecchio Simeone, la sua venuta aspettante, fu ricevuto, allora ch’egli incominciò: "Nunc dimittis etc.". Erode poi, veggendosi da’ tre re schernito, comandò che tutti i garzonetti di Giudea gli fossero presentati; ma Giosep, ammonito da divina ammonizione, col fanciullo e con la madre fuggì in Egitto: gli altri presi da Erode furono uccisi, credendo tra quelli avere il nato fanciullo morto. Ma in processo di tempo, essendo egli già nel duodecimo anno nel tempio di Dio co’ dottori della giudaica legge disputò, leggendo quella. E poi vita umana veramente sanza peccare fino al trentesimo anno servò: il quale venuto, andato nel deserto ove Giovanni era, da lui prima prese battesimo, e quello per che era venuto cominciò a mostrare nelle sue predicazioni, eleggendosi dodici discepoli, i quali sì come fratelli amò e loro la diritta via del regno suo mostrò, la quale essi, sì come le loro opere manifestano, conobbero bene, e seguironla. E avendo già cominciato questo Figliuolo di Dio a mostrare come egli vero Iddio e vero uomo fosse, convitato alle nozze d’Alclitino, il vino mancandovi, di pura e vera acqua fece bonissimo vino tornare. Elli, fatta la quadragesima e vinte le tentazioni dell’antico oste, cominciò a predicare alle turbe e a sanare gl’infermi, a liberare gl’indemoniati, a mondare i leprosi, a dirizzare gli attratti e a guarire i paraletici, e qualunque altra infermità, e a suscitare i morti, per le quali cose da molti era seguito. Egli similemente liberò una femina presa in adulterio, scrivendo in terra a’ Farisei: "Quale di voi è sanza peccato pigli la prima pietra". Egli pascé di cinque pani e di due pesci cinquemila uomini, e femine e fanciulli sanza fine, e avanzonne dodici sporte, e ad una Samaritana, cercando bere ad una fonte, narrò le più segrete sue cose, per ch’ella, questo manifestato nella città, con molti il seguitò. Egli a’ prieghi delle care sorelle suscitò Lazzaro, stato già quattro giorni nella sepoltura; e mangiando con Simone fariseo, alla donna di Magdalo, lunga peccatrice stata, la quale con le lagrime gli avea lavati i piedi e asciutti co’ capelli e unti con prezioso unguento, perdonò i molti peccati, dicendo: "Va, e non peccare più". Egli similemente sanò un povero, lungo tempo stato alla pescina per lavarsi nella commossa acqua. Ma poi per le molte cose da’ Giudei invidiato, fu cercato di lapidare, la cui ira egli la prima volta fuggì, ma poi con onore grandissimo, sedendo sopra una asina, essendogli tutta Ierusalem con rami d’ulive e di palma e con canti uscita incontro, rientrò in quella, ove poco tale onore gli durò. Ma egli già conoscendo il tempo della sua passione essere vicino, cenò co’ discepoli e loro com’egli dovea essere tradito da uno di loro nunziò. Dopo la qual cena, lavati a tutti i piedi, andò in un giardino fuori della città ad orare con alcuni di quelli; ma colui che ’l tradimento avea ordinato, venuto quivi co’ sergenti del prencipe de’ Farisei, tradendolo, con gran romore e furore come un ladrone fu preso. Ma s’egli avesse voluto fuggire, niuno era che ’l tenesse, quando tramortiti caddero tutti nel suo cospetto; ma egli sollicito alla nostra redenzione stando fermo, rendute loro le prime forze, si lasciò pigliare: e volete udire più benignità di lui? Avendo Pietro Simone, uno de’ suoi discepoli, il quale egli capo degli altri e suo vicario avea ordinato, tagliata l’orecchia a uno de’ servi de’ prencipi, ammonendo lui che il coltello riponesse, l’orecchia sanò al magagnato. Fu adunque, così preso, costui menato nel cospetto di Caifas e d’Anna, i quali a Pilato il mandarono, di lui ponendo false accuse, sì come quelli che per invidia la sua morte cercavano, pensando che se egli vivesse tutto il loro popolo trarrebbe alla vera fede da lui predicata, e essi rimarriano sanza. Pilato, il quale quivi per li romani era preside, infino alla mattina legato il tenne. La mattina, udendo che galileo fosse, il mandò ad Erode, il quale, disideroso di vederlo, poi a Pilato, vedutolo, il rimandò; e stato lungamente suo nimico, per questo, suo amico è ritornato. Pilato non trovando in lui alcuna colpa, il volea lasciare, ma il gridante popolo lo spaventava, ond’egli, fattolo flagellare duramente, credendo che ciò bastasse, il volle loro rendere, i quali gridando la sua morte, a quella il condussero e in croce in mezzo a due ladroni il crocifissero, schernendolo e dandogli aceto e fiele a bere con una spugna: sopra la quale egli morì. Quello che, morendo costui, avvenne, ascoltatelo: elli tremò la terra fortissimamente; le pietre, sanza essere tocche, si spezzarono in molte parti; il velo del tempio di Salamone si divise per mezzo; i monumenti aprirono, e molti corpi risuscitarono; il sole oscurò, essendo la luna in quintadecima, e tutta la terra universalmente sostenne tenebre per più ore: le quali cose Dionisio veggendo, essendo in Attene, e della vostra setta, disse: "O il signore della natura sostiene ingiuria o tutto il mondo perirà". E Longino, cieco cavaliere, ferendo con la sua lancia il santo costato, di quello sentì sangue e acqua viva venire giù per la lancia, per che agli occhi ponendosela riebbe la vista. Centurione, stato avanti degli schernitori, vedendo queste cose, confessò lui veramente essere stato Figliuolo di Dio. Dunque dove tante e tali cose si videro, ben si puote credere colui Figliuolo di Dio e Redentore a noi essere stato. Venuto il vespro, fu il beato corpo diposto della croce da Nicodemo e da Giosep di Bramanzia e con odorifere cose involto in un mondo lenzuolo, fu posto in una sepoltura, la quale da armate guardie e suggellata fu guardata, acciò che i suoi discepoli, i quali tutti abandonato l’aveano, quando fu preso, non venissero e furasserlo, e poi dicessero: "Risuscitato è". Ma la santa anima sì tosto com’ella il corpo abandonò, così discese all’etterna prigione e rotte le porti della potenza dell’antico avversario, trasse i santi padri, i quali in lui venturo debitamente credettero, e, aperta la celestiale porta infino a quel tempo stata serrata, nella gloria del suo Padre gli mise. Poi al terzo dì ritornando al vero corpo, con quello veramente risuscitò, e più volte apparve e a suoi discepoli e ad altrui. E dopo il quarantesimo giorno, vedendolo tutti i discepoli suoi e la sua madre, se ne salì al cielo, faccendo loro nunziare che ancora a giudicare i vivi e i morti ritornare dovea. E dopo il decimo giorno tutti del Santo Spirito gl’infiammò, per lo quale ogni scienza e ogni locuzione di qualunque gente fu loro manifesta: e predicando la santa legge, tutti per diverse parti del mondo andarono -.