Libro quinto - Capitolo 53
Posersi a sedere Filocolo e Menedon, e Ilario in mezzo di loro, nel cospetto della reverenda imagine. A’ quali parlando Ilario con soave voce mostrò chi fosse il creatore di tutte le cose, e come sanza principio era stato, così niuna fine era da credere a lui dovere essere; e dopo questo loro dichiarò di tanto fattore le prime opere, cioè il cielo e la terra, con ciò che in essi di bene e di bellezza veggiamo o sentiamo, o vedere o sentire si puote. Egli mostrò loro appresso la creazione de’ belli spiriti, i quali non conoscenti prima contro al loro fattore alzaron le ciglia, per la qual cosa etterno essilio meritarono de’ beati regni, essendo loro per perpetua carcere l’infimo centro della terra donato. E dopo questo narrò come a restaurazione de’ voti scanni, il primo padre con la sua sposa furon formati in Ebron e messi in paradiso; e fatto loro dalla divina voce il mal servato comandamento, il trapassare del quale a loro e a’ loro successori guadagnò morte e affanno. Piacqueli ancora di dire quanto il principio della prima età fosse dalle seguenti variato, mostrando come i loro digiuni le ghiande solveano, e gli alti pini davano piacevoli ombre, e i correnti fiumi davano graziosi beveraggi agli assetati, e l’erbe soavissimi sonni; e come semplici vestimenti contenti gli copriano, e come ciascuno sola la sua contrada conoscea sanza cercare l’altrui, e come i terribili suoni delle battaglie tacevano e l’armi non erano e l’arte di quelle non si sapea, per che la terra il beveraggio dell’umano sangue non conoscea; seguendo come a costoro, a’ quali sì semplice vita bastava, non bastarono gli ordini della natura, né la lussuria, né il loro vero Iddio per adorare, ma passando nell’una e nell’altra cosa i termini meritarono l’ira del sommo fattore, per la quale il mondo allagò, riserbato solamente da Dio un padre con tre figliuoli e con le loro spose, però che erano giusti, nella salutifera arca, con l’altre cose necessarie alla mondana restaurazione. Appresso questo, dimostrò loro con aperta ragione l’uscimento dell’arca lontanamente stata a galla, e ’l nascimento de’ popoli discesi di Cam, Sem e Iafet, e le edificazioni e della gran torre e dell’altre città fatte da’ rifiutanti l’ombre degli alberi; e il primo trovamento di Bacco schernitore del suo primo gustatore, e le varie maniere de’ vestimenti e de’ loro colori, e i cercamenti degli altrui paesi, e quali fossero i fedeli servatori de’ piaceri di Dio, e quali da quelli diviassero: né niuna notabile cosa lasciò a narrare che stata fosse infino a’ tempi del primo Patriarca. Qui posta alla prima e alla seconda età fine, della terza cominciò a parlare, e le cose state fatte da Abraam, dal fratello, dal figliuolo e dal nepote tutte disse, insieme con le vedute e udite da loro. E contando del duodecimo fratello, trenta danari dagli altri venduto, narrò le sue avversità e l’uscimento di quelle e ’l salimento alla sua gloria; e ’l passamento del popolo di Dio in Egitto di dietro a lui, e quello che qui operasse, e quanto i discendenti vi stessero, e sotto quale servitute mostrò aperto, infino alla natività di colui che, dell’acque ricolto, da Dio i dieci comandamenti della legge riceveo, da’ quali, quelle che noi oggi serviamo, tutte ebbero origine. E questo detto, seguì quanti e quali fossero i segni fatti nella presenza del crudo prencipe, che oltre al loro volere nella provincia d’Egitto gli tenea racchiusi. Né tacque come sotto la sua guida esso popolo, per dodici schiere passando il rosso mare, uscissero di quello con secco piede, avendo per pedoto la notte una colonna di fuoco e ’l giorno una nuvola, e similemente come, seguiti, gli avversarii nelle rosse acque rimasero. Mostrò ancora quanta e quale fosse la vita loro nel diserto luogo, e come, morto il primo legista, sotto il governo di Iosué rientrarono in terra di promissione, e quivi con quali popoli avessero le già cominciate battaglie, dicendo loro ancora con quanta reverenza trovata fosse e servata e riportata l’arca santa. E come lo sciolto popolo si reggesse, e sotto quali giudici, e chi fra loro con divina bocca parlasse, e di che, disse, e come elli disiderasse re e fosse loro dato, narrò infino a David. Qui alla terza età pose fine e cominciò la quarta, le avversità di David e le sue opere tutte narrando, dicendo all’altre principali come Micol acquistasse, e quello che per Bersabè operasse, né tacque d’Ansalon come morisse e per che, né della mirabile forza di Sansone, né della scienza di Salamone, mostrando com’egli a Dio il gran tempio di Ierusalem avea edificato, e con questa l’altre sue operazione tutte. E per consequente de’ suoi discendenti e degli altri prencipi successori disse ciò che stato n’era e che operato aveano: e de’ profeti stati per li loro tempi, infino che alla trasmigrazione di Bambillonia pervenne. Quivi la quinta età cominciò, della quale a dire niuna cosa lasciò notabile, infino alle gloriose opere de’ Maccabei, le quali furono non poco da commendare. E con tutto che egli queste cose del popolo di Dio narrasse, non mise egli in oblio però le notabili cose state fatte per gli altri di fuori da quello, ma per i suoi tempi ogni cosa narrò. Egli mostrò come di Nebrot fosse disceso Belo, primo re degli Assiri, il cui figliuolo Nino era stato primo prevaricatore de’ patrimoniali termini, con mano armata soggiogandosi l’oriente. E disse ciò che Semiramis avea già fatto, e degli altri ancora successori ciò che vi fu notabile, e come per trentotto re, l’uno succedente all’altro, il reame era pervenuto a mano di Sardanapalo, il quale i bagni e gli ornamenti delle camere e ’l dilicato dormire e i piacevoli cibi trovò, al quale Cirro, re di Persia, tolse il regno, e similmente a Baldassar, di Nabucdonosor, re di Bambillonia, successore, insieme con Dario re de’ Medi, e a’ Medi soggiogato rimase. Né lasciò a dire che il regno de’ Medi cominciò sotto Arbato, e Arbato fu il primo re, e dopo il settimo re pervenne ad Alessandro, e similemente quello de’ Persi, de’ quali Cirro fu principio e Dario fine, tra l’uno e l’altro avuti undici re, il quale Alessandro discese de’ greci re, de’ quali il primo fu Saturno, cacciato da Giove. E mostrò loro ancora da costui, lasciante a Tolomeo quello per eredità, essere ricominciato il regno degli Egiziaci, finito poi nel tempo di Cleopatra per la forza de’ romani, che ’l soggiogarono; e narrò come degli Argivi il primo re fu Inaco, e de’ Lacedemoni Foroneo, primo donatore di legge a’ suoi popoli. E non di meno mostrò a che tempo l’antica Tebe s’era edificata, e chi fossero i suoi re, e sotto cui distrutta. E similemente della gran Troia e de’ suoi reali e della sua distruzione disse. Né mise in oblio di narrare Iano essere d’Italia stato primo re, e Romolo de’ romani, contando di quella la notabile edificazione. E disse d’Agrileon stato primo re di Sitronia; e molte altre cose recitò laudevoli intorno a quelle, del giudaico popolo: mostrando ancora i diversi errori di molti erranti e non sappienti, che e come agl’idoli sacrificare s’era pervenuto dagli antichi, abandonata la diritta via. Ma parendogli delle vecchie cose avere assai detto, quelle lasciando disse: - Giovani, ciò che davanti detto avemo poco è a quello che dire intendiamo, necessario di sapere, ma vuolsi credere, e è introducimento a ciò che dire vi credo appresso: e però ascoltate e con diligenza notate le mie parole -.