Libro quinto - Capitolo 25
Mentre che così Venere parlava ad Alleiram, Airam dubitò forte, e volle fuggire del luogo, ma le gambe, davanti snelle, già fatte pigre barbe di questo albero, la ritennero. E Febo venuto presente con soave voce così le cominciò a dire: "Adunque, o giovane, d’avermi ingannato, il tuo cuore celandomi e togliendomi i cari doni, ti vanti? Male e poco senno è contra lo stimolo calcitrare, ma acciò che a te non paia che noi le mal fatte cose impunite lasciamo, come avanti cantasti, tu prima per lo tuo parlare sarai punita, sì come Perillo da Falaris per lo suo medesimo artificio fu. E già parte in albero convertita, tutta in quello, avanti ch’io mi parta, ti muterai; e però che tu avesti ardire di dire di volere essere nostra pari, tu i tuoi pedali avrai torti, né fia loro licito il potersi troppo in alto distendere, ma più tosto fieno sì bassi, che con poco affanno di terra ciascuno piccolo uomo coglierà i tuoi pomi. E sì come tu de’ miei doni ti dicesti occulta sottrattrice, così de’ tuoi frutti gran parte gitterai alla terra prima che maturi li vegga: né quelli che rimarranno, sanza vederli io, maturerai già mai. E farò che, come tu del tuo cuore fosti a ciascuno occultatrice, che i frutti tuoi, come il dolce tempo della loro maturazione sentiranno, così incontanente, aprendosi in più parti, a me e a chi vedere le vorrà mostreranno le tue interiora. E della tua corteccia, però che sopra tutte l’altre bellezze la tua essaltasti, farò che chi alcuna cosa in oscuro colore vorrà del suo mutare non possa sanza il sugo di quella". E mentre che egli queste parole dicea, il miserabile corpo a poco a poco stremandosi, li suoi membri riducea a questa forma che voi vedete questo granato. Né prima che in questo albero fosse mutata, le fu possibile dire una sola parola, e manco poi.