Libro quinto - Capitolo 24
Tacque costei; e già la seconda volta nell’usato ordine ricominciavano il maladetto parlare con più aspre parole, quando gl’iddii, né più né meno che i cittadini della città, le cui mura subito sono assalite dal nascoso agguato de’ nemici, corrono or qua or là sanza ordine, e con fretta ora entrando ora uscendo delle case prendono l’arme e cercano sanza troppe parole la loro difesa, correndo a’ dubbiosi luoghi, fecero, fra’ celesti scanni da subita ira commossi, forse non meno infiammati che quando dal bestiale ardire de’ Giganti fu il cielo assalito. Li quali così corsi dierono pauroso suono e chiusero il mondo d’oscure nuvole, né a niuno vento fu tenuta la via: e crucciati tutti discesero sopra questo luogo, la cui ira temendo la terra tremò forte. Ma essi lasciato il furore, si dice che prima Venere con Cupido in questo luogo entrarono, né trovarono però il malvagio colloquio cessato, anzi quelle ferme in quello, sanza alcuna paura del divino giudicio, dimoravano. Qui Venere non salutò né fu salutata; ma volta ad Alleiram disse: "Dunque, o iniqua giovane, prendi tu gloria d’aver dispiaciuto a noi, e insuperbisci per la tardata vendetta, e minacci di peggio operare? Or non pensi tu che con riposato andamento noi procediamo delle nostre ire alla vendetta, poi il tardato tempo con accrescimento di pena ristoriamo? Tu rea di gravissimo peccato, ora riceverai guiderdone. Tu rifiutatrice de’ nostri dardi, diverrai fredda e impossibile a quelli ricevere: né più avanti piacerai, né vedrai chi per te o spenda, o muova brighe, o si dimentichi, né più di cotali riderai, né eleggerai, né romperai vasi. E come tu già niuna compassione avesti verso chi quella meritava, così molti, sappiendo i tuoi casi, forse di te compassione avranno: ma niente ti gioverà. E come altri a te per pietà già porse prieghi, così a te fia tolto di poterne porgere. E sì come io non ti potei a’ miei voleri recare, così me a’ tuoi non conducerà né uomo né dio. E prima le lagrime di colui che già fu tuo finiranno, e tornerà la perduta allegrezza per più dolce obietto che tu non fosti, che tu solamente in speranza ritorni di ritornare nella perduta forma. E le laude già dette della tua bellezza in amorosi versi, altro titolo che della tua prenderanno, né mai ti fia possibile il più nuocergli che nociuto gli abbi: anzi se la mia deità merita di conoscere alcuna delle future cose, tu, vaga di riavere la sua grazia, di quella patirai difetto, come mi pare, e misera conoscerai quanta sia la mia potenza da te con parole orribili dispregiata. Tu, dura e immobile a’ miei voleri, in durissima marmore mutera’ti, e questa grotta nella quale tu siedi ti fia etterna casa"; e più non disse. Queste parole udendo Alleiram mutò cuore, e sariasi voluta volentieri pentere, ma non ci era il tempo. Ella volle con alta voce domandare mercé, ma il sopravenuto freddo, che già alla lingua così come agli altri membri avea tolta la possa, nol sofferse: la pigra freddezza con disusato modo nel ventre ritirò le dilicate braccia e le candide gambe, e in picciol spazio niuna cosa della bella giovane si saria potuto vedere se non un bianco tronco, il quale in durissimo marmo mutato, come voi vedete, fu trovato. E se forse alcuna rossezza in quello vedete, dicesi che Lieo gliele diede, di cui più copiosa che ’l convenevole dimorava, quando qui più furiose che savie vennero baccando.