Libro quarto - Capitolo 3
Tacque Filocolo, e l’onde tutte s’incominciarono a dimenare, e dopo alquanto spazio, una voce così parlando uscì del vicino luogo a’ due bollori: - Io non so chi tu sii, che con così dolci parole mi costringi a rispondere alla tua domanda; ma però che maravigliare mi fai della tua venuta, non sarà sanza contentazione del tuo disio, solo che ad ascoltarmi ti disponghi. E però che più mia condizione ti sia manifesta, dal principio de’ miei danni ti narrerò i miei casi. E sappi ch’io fui di Marmorina, terra ricchissima e bella e piena di nobilissimo popolo, posseduta da Felice, altissimo re di Spagna, e il mio nome fu Fileno, e giovane cavaliere fui nella corte del detto re. Nella quale corte una giovane di mirabilissima bellezza, il cui nome era Biancifiore con la luce de’ suoi begli occhi mi prese in tanto il cuore del suo piacere, che mai uomo di piacere di donna non fu sì preso. Niuna cosa era che io per piacerle non avessi fatto, e già molte cose feci laudevoli per amor di lei. Io ricevetti da lei, un giorno che la festività di Marte si celebrava in Marmorina, un velo col quale ella la sua bionda testa copriva, e quello per sopransegna portato nella palestra, sopra tutti i compagni per forza ricevetti l’onore del giuoco. E da Marmorina partitomi andai a Montoro, dove un figliuolo del detto re chiamato Florio dimorava; e quivi in sua presenza i miei amorosi casi narrai, ignorando che esso Biancifiore più che altra cosa amasse come poi detto mi fu che esso facea: per le quali cose narrate meritai a torto d’essere da lui odiato. Queste furono principali cagioni de’ miei mali, però che, se io fossi taciuto, ancora in Marmorina dimorerei, contentandomi di poter vedere quella bellezza per la quale ora lontano in altra forma dimoro. Ma non essendo io ancora di Marmorina partito, poco tempo appresso della fatta narrazione, Diana, pietosa del crudele male che mi si apparecchiava, in sonno mi fece vedere infinite insidie poste da Florio alla mia vita, e similemente mi fece sentire i colpi che la sua spada e quelle de’ suoi compagni s’apparecchiavano di dovermi dare. Le quali cose vedute, narrandole poi io ad un mio amico, il quale de’ segreti di Florio alcuna cosa sentiva, m’avverò quello che veduto aveva essermi sanza alcun fallo apparecchiato, se io di Marmorina non mi partissi. Seguitai adunque il consiglio del mio amico, e abandonata Marmorina, e cercati molti luoghi, e pervenuto qui, mi piacque qui di finire la mia fuga e di pigliare questo luogo per etterno essilio: e ancora mi parve solingo e rimoto molto, onde io imaginai di poterci sanza impedimento d’alcuni nascosamente piangere l’abandonato bene; e così lungamente il piansi. Ma per le mie lagrime non per l’essere lontano, mancava però il verace amore ch’io portava e porto in colei che più bella che altra mi parea, anzi più ciascun giorno mi costringeva e molestava molto. Laonde io un giorno incominciai con dolenti voci a pregare gl’iddii del cielo e della terra e qualunque altri che i miei dolori terminassero, e infinite volte domandai e chiamai la morte, la quale impossibile mi fu di potere avere. Ma pure pietà del mio dolore vinse gl’iddii, li quali chiamando, come io ho detto che faceva, sedendo in questo luogo, mi sentii sopra subitamente venire un sudore e tutto occuparmi, e, dopo questo, ciò che quello toccava in quello medesimo convertiva, e già volendomi con le mani toccare e asciugare quello, né la cosa disiderata toccava, né la mano sentiva l’usato uficio adoperare, ma mi sentiva nel muovere de’ membri e nel toccarsi insieme né più né meno come l’onde cacciate l’una dal vento e l’altra dalla terra insieme urtarsi: per che io incontanente me conobbi in questi liquori trasmutato, e mi sentii occupare questo luogo, il quale io poi con la gravezza di me medesimo ho più profondo occupato. E così trasmutato, solo il conoscimento antico e il parlare dagl’iddii mi fu lasciato. Né mai mancarono lagrime a’ dolenti occhi, i quali nel mezzo di questa posti, da essi, come da due naturali vene, surge ciò che questa fontana tiene fresca, come voi vedete. E quella verdura sottile, che in alcuna parte cuopre le chiare onde, fu il velo della bella giovane col quale io coperto m’era quel giorno che con tanto effetto la morte disiderava, acciò che sotto la sua ombra, pensando di cui era stato, mi fosse più dolce il morire: e, come vedete, ancora mi cuopre, e emmi caro. Ora hai per le mie parole potuto tutto il mio stato comprendere, il quale io quanto più brievemente ho potuto t’ho dichiarato: non ti sia dunque grave manifestarmi a cui io mi sia manifestato -.