Libro quarto - Capitolo 151
Filocolo, udite le parole dell’amiraglio, pensa un poco, e prima che risponda, essamina quello che convenevole sia da dire, e che da tacere, e conosce omai convenevole l’essere conosciuto, poi che acquistata ha colei per cui il suo nome celava, e così gli risponde: - Signore, niuna paura mi farà tacere la verità a voi disiderante di sapere chi io sia, e però che vi sia più caro che io viva che se io fossi morto, più volentieri vel dirò. Siavi adunque manifesto che io mi chiamo Florio, e per tema della fama del mio nome, divenuto pellegrino d’amore, in Filocolo il trasmutai, e così ora m’appellano i compagni, e sono nipote d’Atalante sostenitore de’ cieli, al quale Felice re di Spagna mio padre fu figliuolo. E dalla mia puerizia innamorato di Biancifiore, discesa dell’alto sangue dell’Africano Scipione, nata nelle nostre case, come fortunoso caso volle, essendo ella falsamente, e di nascosto a me, venduta e qui recata, infino in questo luogo mediante molti avversi casi l’ho seguita. E sappiendo che nella gran torre dimorava, né potendo a lei in alcun modo parlare o vederla, avendo le condizioni della torre interamente spiate, ammaestrato dalli ingegni della mia madre, a mio padre di questi paesi venuta, a cui gl’iddii ciò che seppe Medea hanno dato a sapere, in quella forma che Giove con Asterien ebbe piacevoli congiugnimenti, mi mutai, e in quella torre volai, e lei dormendo, tornato io in vera forma, nelle braccia mi recai, la quale, svegliata, lungamente a rassicurare penai, tanto la vostra signoria dottava, non ancora così subito riconoscendomi. La quale, poi che conosciuto m’ebbe, davanti la bella imagine del mio signore, che sopra l’ignea colonna nella gran camera dimora, di lui faccendo Imineo, per mia sposa con letizia la sposai, e con lei, dalla notte passata avanti a questa, infino a quell’ora dimorai che stamattina lo sconcio popolo sopra mi vidi legarmi con lei, quando io mi destai -.