Libro quarto - Capitolo 14
- Strane cose ne conta il tuo parlare - disse Ascalion, - né che ciò si voglia significare credo che mai alcuno conoscerebbe: e però niuna malinconia te ne dee succedere. Manifesta cosa è che ciascuno uomo ne’ suoi sonni vede mirabili cose e impossibili e strane, dalle quali poi isviluppato si maraviglia, ma conoscendo i principii onde muovono, quelle sanza alcun pensiero lascia andare: e però quelle cose che ne conti che vedute hai, sì come vane, nella loro vanità le lascia passare. E poi che il tempo si rallegra, e de’ nostri disiderii lieto indizio ci dimostra, e noi similmente ci rallegriamo; andiamo e la piacevole aere su per li salati liti prendiamo: e ragionando, del nostro futuro viaggio ci proveggiamo passando tempo -. Così Filocolo col duca e con Parmenione e con gli altri compagni si mosse, e con lento passo, di diverse cose parlando, verso quella parte ove le reverende ceneri dell’altissimo poeta Maro si posano, dirizzano il loro andare. I quali non furono così parlando guari dalla città dilungati, che essi pervenuti allato ad un giardino, udirono in esso graziosa festa di giovani e di donne. E l’aere di varii strumenti e di quasi angeliche voci ripercossa risonava tutta, entrando con dolce diletto a’ cuori di coloro a’ cui orecchi così riverberata venia: i quali canti a Filocolo piacque di stare alquanto a udire, acciò che la preterita malinconia, mitigandosi per la dolcezza del canto, andasse via. Ristette adunque ad ascoltare: e mentre che la fortuna così lui e i compagni fuori del giardino tenea ad ascoltare sospesi, un giovane uscì di quello, e videli, e nell’aspetto nobilissimi e uomini da riverire gli conobbe. Per che egli sanza indugio tornato a’ compagni, disse: - Venite, onoriamo alquanti giovani, ne’ sembianti gentili e di grande essere, i quali, forse vergognandosi di passare qua entro sanza essere chiamati, dimorano di fuori ascoltando i nostri canti -. Lasciarono adunque i compagni di costui le donne alla loro festa, e usciti del giardino se ne vennero a Filocolo, il quale nel viso conobbero di tutti il maggiore, e a lui, con quella reverenza che essi avevano già negli animi compresa che si convenisse, parlarono, pregandolo che in onore e accrescimento della loro festa gli piacesse co’ suoi compagni passare con loro nel giardino, con più prieghi sopra questo strignendolo che esso loro questa grazia non negasse. Legarono i dolci prieghi l’animo gentile di Filocolo, e non meno quello de’ compagni; e così a’ preganti fu da Filocolo risposto: - Amici, in verità tal festa da noi cercata non era, né similemente fuggita, ma sì come naufragi gittati ne’ vostri porti, per fuggire gli accidiosi pensieri che l’ozio induce, andavamo per questi liti le nostre avversità recitando; e come che la fortuna ad ascoltare voi c’inducesse non so, ma disiderosa, pare, di cacciare da noi ogni noia, pensando che voi, in cui cortesia infinita conosco, ci ha parati davanti: e però a’ vostri prieghi satisfaremo, ancora che forse parte della cortesia, che da noi procedere dovrebbe, guastiamo -. E così parlando insieme nel bel giardino se n’entrarono, ove molte belle donne trovarono; dalle quali graziosamente ricevuti furono, e con loro insieme accolti alla loro festa.