Libro quarto - Capitolo 137
Stando costoro in questo ragionamento, la rapportatrice fama vide del suo alto luogo queste cose, e di fuori delle sue finestre cacciò voci, che in picciolo spazio ciò che a Filocolo avvenuto era per Alessandria si spande. Ma niuno sa il nome di Filocolo, e tutti quello di Biancifiore; ciascuno corre al prato, e tutti si maravigliano, e in picciolo spazio di tempo riempiono quello. Odono Ascalion e’ compagni, sì come gli altri, queste voci: dubitando domandano chi costoro sieno, a cui la fortuna è tanto contraria, disiderando d’accertarsi di ciò che non vorrieno sapere. Niuno sa loro dire più avanti, se non: - Biancifiore con un giovane sono condannati -. Dubitano costoro, e hanno ragione, per la visione veduta, e pensano che Filocolo sia: dimandano de’ segnali del giovane, i quali udendo, la loro credenza cresce. Non si sanno fra loro accordare che fare si deggiano: i più savi, storditi dell’avvenimento, hanno perduto il saper consigliare. Ma tra costoro così pavefatti un giovane di maravigliosa grandezza e robusto e fiero nell’aspetto, armato sopra un alto cavallo apparve fra loro, e con disusata voce incominciò loro a dire: - O cavalieri, quale indugio è questo? Seguitemi con l’armi indosso, acciò che il nostro Filocolo più tosto di paura del sopravenuto pericolo esca -. Costoro d’una parte e d’altra d’ammirazione ripieni, udendo ricordare il nome di Filocolo, così come i furiosi tori, ricevuto il colpo del pesante maglio, qua e là sanza ordine saltellano, così costoro sanza memoria dolenti corrono alle loro armi: Bellona presta maraviglioso aiuto a tutti. Dario, contento de’ pericoli per amore di Bellisano, sanza pensare a’ ragunati beni o a sé quello che avvenire possa, apparecchia a sé e a tutti cavalli di gran valore, e armato con loro insieme monta a cavallo, e sanza modo ora qua ora là scorrendo fra la folta gente, che a vedere correa, dietro all’armato campione si mettono con le lance in mano: e venuti sopra il pieno prato veggono il fummo grande e il circunstante popolo. Crede Ascalion veramente che in quello Filocolo e Biancifiore sanza vita dimorino, ignaro del soccorso della santa dea, e, cruccioso perché tardi gli pare esser venuto a tal soccorso dare, disidera di morire. Egli si volta a’ compagni e dice: - Signori, io credo che gl’iddii abbiano alle loro regioni chiamata l’anima di colui, per cui debitamente il vivere ci era caro, e come voi potete vedere, in disonesto e sconvenevole modo è stato di morire costretto. Io non so qual si sia il vostro intendimento, ma il mio è di morire combattendo, acciò che parte della vendetta della morte del mio signore adoperi. Io in niuna maniera intendo di riportare al vecchio re sì sconcia novella, però se alcuno di voi più disidera di rivedere Marmorina che questo intendimento seguire, torni indietro, mentre licito gli è sanza danno: e chi in un volere è con meco, con ardito cuore ferisca la nemica turba -. A queste parole niun’altra cosa fu risposto se non: - Noi siamo tutti teco in un volere -. E più avriano detto, ma il grieve dolore ristrinse la voce con amaro singhiozzo nel suo passare: per che con focoso disio feriti i cavalli, e disposti a morire, prima con le loro forze l’altrui morte e la loro vendicando, appresso ad Ascalion se n’andarono verso il tenebroso fummo, dove il fiero giovane già era fermato e confortavagli al loro intendimento. E quivi trovarono Ircuscomos e Flagrareo costringenti il maladetto popolo alla morte de’ due amanti.