Libro quarto - Capitolo 136
Ascalion e ’l duca, con Dario e con Bellisano e con gli altri, ignoranti dell’andata di Filocolo, dubitando l’aspettano quella notte e ’l giorno appresso. E ritornando un’altra volta le stelle, e dopo quelle Febo, con più malinconia di lui pensavano; e venuta la terza notte, imaginando essi che là fosse andato dov’era, pieni di pensieri varii per la lunga dimoranza, s’andarono a dormire. Ma ad Ascalion, quasi più sollecito della salute di Filocolo, entrato di tale stanza in varie imaginazioni, si rivolge per la mente le future cose, e dubitando forte non avvenissero, il tacito sonno con quieto passo gli entra nel petto; e levandolo da quelle, in sé tutto quanto il lega, e nuove e disusate cose gli dimostra, mentre seco il tiene. Elli parea a lui essere in un luogo da lui mai non veduto, e pieno di pungenti ortiche e di spruneggioli, del qual luogo volendo uscire, e non trovando donde, s’andava avolgendo e tutto pungendosi. E di questo in sé sostenendo grave doglia, non so di che parte gli parea veder venire Filocolo, ignudo, tutto palido e in diverse parti del corpo piagato, e tutto livido, e di dietro a lui in simile forma venire Biancifiore, con le bionde trecce sparte sopra i candidi omeri; e correndo verso lui fra le folte spine, tutti si pungevano e delle punture parea che sangue uscisse, che tutti gli macchiasse: e giunti nel suo cospetto si fermavano, e sanza parlare alcuna cosa, il riguardavano né più né meno come se dire volessero: - Non ti muove pietà di noi a vederci così maculati? -. I quali riguardando così conci, Ascalion sanza dire nulla piangeva, parendogli che più i loro mali che i suoi propii gli dolessero. Ma così stati alquanto, gli parve che Filocolo più gli s’appressasse, e piangendo gli dicesse con voce tanto fioca che appena gliele parea potere udire: - O caro maestro, che fai, ché non ci aiuti? Non vedi tu come la nimica fortuna, voltatasi sopra me e sopra la innocente Biancifiore, premendoci sotto la più infima parte della sua ruota ci ha conci, che come puoi vedere, niuna parte di noi ha lasciata sana, e minacciaci peggio, se il tuo aiuto o quello degl’iddii non ci soccorre -. A cui Ascalion parea che rispondesse - O cari a me più che figliuoli, la maraviglia che di voi e delle vostre piaghe ho avuta, assai sanza parlarvi m’hanno tenuto; ma più d’ammirazione mi porge il vedervi insieme dolenti, non sappiendo pensare come esser possa, essendo tu con la disiata giovane Biancifiore e ella teco, la fortuna ci possa porre alcuna noia, che dolenti vi faccia: dillomi come questo è avvenuto; il mio aiuto sai che per lo tuo bene è disposto ad ogni cosa infino alla morte. Mostrami pure da cui aiutar ti deggia -. A cui Filocolo rispose: - Come tu vedi, così è: bastiti il veder questo, sanza più volerne udire. Vedi qui dintorno a me Ircuscomos e Flagrareo con infinito popolo, per comandamento dell’amiraglio, volerci in fiamme consumare -. Questo udito, ad Ascalion parve vedere dintorno a Filocolo ciò che le parole significavano; per che crescendogli il dolore e la pietà di ciò che vedea, ad un’ora Filocolo e Biancifiore e ’l sonno se n’andarono, e egli stupefatto per le vedute cose, alzato capo, vide già il chiaro giorno per tutto essere venuto. Per che egli sanza indugio si levò e vestissi, e quasi tutto smarrito venne a’ compagni. A’ quali narrò ciò che veduto avea, per che egli teme non Filocolo abbia alcuna novità. Gli altri, udendo questo, tutti dubitano, né sanno che consiglio prendere. Ultimamente con Dario e con Bellisano deliberano d’andare alla torre, per sapere da Sadoc quello che di Filocolo fosse, o se con lui dopo la sua partita fosse dimorato.