Facezie (Poggio Bracciolini)/Prefazione

Prefazione

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Poggio Bracciolini - Facezie di Poggio Fiorentino (1438-1452)
Traduzione dal latino di Anonimo (1884)
Prefazione
Introduzione 1
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PREFAZIONE



Che per la povertà dello stile gli invidiosi non devono condannare la raccolta delle facezie.


Io penso che saranno molti che daran biasimo a questi discorsi, sia come cose di niun conto ed indegne de la gravità dell’uomo, sia perchè essi vi cercassero maggiore eleganza nel dire e più animato lo stile. Ma se io loro risponda di aver letto che i nostri maggiori, uomini di grandissima prudenza e dottrina, di giuochi, di facezie e di favole si dilettarono e non si ebbero biasimo ma lode, credo che abbastanza avrò fatto per ricuperare la loro stima. Imperocchè chi vorrà credere che io abbia fatta cosa turpe imitandoli in questo, non potendolo nelle altre cose e dando a le cure de lo scrivere quel tempo che gli altri perdono ne le società e ne la conversazione, quando principalmente non sia questo lavoro indecoroso e qualche piacere possa dare al lettore? Ed è cosa onorevole e necessaria anzi, ed ebbero per essa lode i filosofi, sollevare l’animo nostro oppresso da molestie e da pensieri e trarlo alla gioia ed alla allegria con qualche lieta ricreazione. Però ricercare l’alto stile ne le piccole cose, o in queste che si hanno a esprimere con la parola propria e faceta, o per riferire ciò che altri disse, sembra cosa di troppa noia. Poichè vi son certe cose che [p. 14 modifica]non amano maggiore ornamento e vogliono invece esser dettate quali vennero da chi parlando le disse.

Ed alcuni forse penseranno che questa scusa che chieggo venga da mancanza di ingegno: ed io stesso lo reputo. Ora coloro che sono di questo avviso ripiglino queste favole, le presentino e le rivestano a loro grado, ed io li esorto a farlo, chè la lingua latina in questa nostra età è fatta ricca anche ne le cose leggiere; e l’esercizio di scrivere quelle cose gioverà sempre a la grande arte del dettare. Io stesso volli fare la prova, se molte cose che si riputava non potessero essere scritte in latino, potessero tuttavolta scriversi senza cader nel vile; e non cercai in questo nè l’eleganza, nè l’ampiezza del dire, ma mi contentai e mi contento che le mie istorie non sembrino malamente narrate.

Del resto, risparmino la lettura di queste conversazioni (è così che le voglio chiamare) tutti coloro che sono troppo rigidi censori e critici troppo acerbi, e come una volta fece Lucilio coi Consentini e i Tarentini io amo che i miei lettori siano d’animo lieto e sereno. Che se essi invece saran troppo incolti, non ricuso lor di pensar come vogliono, purchè non se la prendano con l’autore, che solo per esercitar l’ingegno e sollevar lo spirito scrisse.