Facche e tterefàcche

Giuseppe Gioachino Belli

1830 Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu sonetti letteratura Facche e tterefacche Intestazione 20 febbraio 2024 75% Da definire

Li comparatichi Ar bervedé tte vojjo
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

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FACCHE E TTEREFÀCCHE.[1]

     Quella bbocca a ssciarpella,[2] che a vvedello[3]
Pare un spacco per dio de callarosta,[4]
Oppuramente[5] er bùscio[6] de la posta,
O er culetto de quarche bberzitello;[7]

     E nun ha avuto mo la faccia tosta[8]
De chiamàmme[9] carnaccia de mascello?
Ma io, nun dubbità, cché llì bberbello[10]
J’ho detto er fatto mio bbotta-e-rrisposta.

     Quanno ha ssentito er nome de le feste,[11]
Lui è rrimasto un pizzico de sale:[12]
Ché lo sa cchi è sto fusto,[13] si ho le creste.[14]

     Oh vvedi un po’! nnun ce sarebbe male!
Ma ffa’ cche vviènghi[15] a scaricà le sceste,[16]
Te lo fo ttommolà[17] ggiù ppe’ le scale.

Terni, 4 ottobre 1830.

Note

  1. [Proverbio.] Fac et refac. La compensazione.
  2. Bocca torta.
  3. Vederlo. [A vederlo nella bocca s’intende.]
  4. Caldarrosto. [Calda-a-rosto: la “bruciata,„ che si castra nel mezzo.
  5. Oppure.
  6. Il buco.
  7. [Bel-zitello]: ragazzo, [bellimbusto].
  8. La sfrontatezza.
  9. Di chiamarmi.
  10. Belbello.
  11. Dare altrui il nome delle feste: ingiuriarlo.
  12. È rimasto avvilito.
  13. Chi sono io.
  14. Se sono irritata.
  15. Venga.
  16. Scaricar le ceste: qui per...
  17. Tombolare ecc.