Eutifrone/Capitolo XI
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XI.
Socrate. Eh! Ti staranno a udire, se parrà loro che tu dica bene. Ma guarda, mentre che parlavi mi venne un pensiero; ho detto fra me: «Se pure Eutifrone m’insegnasse chiaro chiaro che tutti gl’Iddii la giudicano iniqua questa morte, io che cosa avrei imparato più da Eutifrone quanto alla natura del santo e dell’empio? Eh avrei imparato che questa azione odiosa è agl’Iddii: ma con ciò non si sarebbe definito che cosa è il santo e l’empio, perchè s’è veduto che ciò ch’è odioso agl’Iddii, è anche caro agl’Iddii». Dunque, passiamo oltre; e se vuoi, caro Eutifrone, che quell’azione gl’Iddii la giudichino iniqua, la guardino a occhi torti, vada; ma se la è così, bisogna raddirizzar le gambe al ragionamento e dire che il santo è ciò che tutti, badaci ve’, tutti gl’Iddii amano; empio, ciò che tutti gl’Iddii odiano; e ciò che né amano né odiano, non è né l’uno né l’altro, o tutt’e due. Vuoi che noi definiamo così?
Eutifrone. Che c’impedisce, o Socrate?
Socrate. A me? nulla; ma bada a te, se, così definendo, ti riescirà poi tanto facile insegnarmi quel che tu hai promesso.
Eutifrone. Io? io direi così, che il santo è ciò che gl’Iddii amano, tutti; e ciò che tutti gl’Iddii odiano, è l’empio.
Socrate. Vogliamo vedere se è detto bene? o lasciamo andare, e basta che alcuno spacci, la è così, e noi: la è così; mandando giù a chius’occhi; ovvero bisogna alluciar ben bene quel ch’egli dice.
Eutifrone. Certo; ma io credo aver detto bene.