IV. - La beatitudine finale

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Baruch Spinoza - Etica (1677)
Traduzione dal latino di Piero Martinetti (1928)
IV. - La beatitudine finale
Libro Quinto - III
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VI. — La beatitudine finale.


1) Nelle proposizioni 21-23 Spinoza premette genericamente che la parte inferiore di noi è peritura: ma la parte migliore, quella per cui viviamo la vita della ragione, è qualche cosa di eterno: lo stato di unione con Dio non ha nulla da temere dalla morte. La memoria e l’immaginazione sono connesse con l’esistenza attuale del corpo, che è qualche cosa di perituro (proposizione 21); ma nel mondo delle essenze corrisponde al corpo nostro attuale un’essenza, un modo eterno e parallelamente ad esso un’idea eterna, il nostro io immortale.

Prop. 22. In Dio vi è necessariamente un’idea che esprime sotto l’aspetto dell’eternità l’essenza di questo e quel corpo umano.

Prop. 23. La mente umana non può venir distrutta completamente col corpo, ma ne resta qualche cosa che è eterno.

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Scolio. Quest’idea, che esprime l’essenza del corpo sotto l’aspetto dell’eternità, è un certo modo del pensiero che appartiene all’essenza della mente ed è necessariamente eterno. Certo non può avvenire che noi ci ricordiamo d’aver esistito prima del corpo, perchè nessuna traccia di quest’esistenza può trovarsi nel corpo, nè l’eternità può essere misurata col tempo od avere alcuna relazione col tempo. E tuttavia noi sentiamo e siamo certi di essere eterni (sentimus experimurque nos æternos esse). Perchè la mente sente quelle cose che con l’intelligenza comprende così come quelle che ha nella memoria. Gli occhi della mente, con cui vede ed osserva, sono le dimostrazioni. Sebbene perciò noi non ci ricordiamo di aver esistito prima del corpo, sentiamo tuttavia che la mente nostra, in quanto implica l’essenza del corpo sotto l’aspetto dell’eternità, è eterna e che questa sua esistenza non può venir misurata col tempo o spiegata con la durata. Perciò la nostra mente in tanto può dirsi che dura ed ha un’esistenza determinata nel tempo, in quanto involge l’attuale esistenza del corpo; ed in tanto solamente ha la facoltà di determinare l’esistenza delle cose nel tempo e di pensarle sotto l’aspetto della durata. (Et., V, 23, scol.).


2) Nelle proposizioni 24-31 Spinoza mostra come la parte eterna sia costituita dalla conoscenza di Dio: la ragione è in noi veramente qualche cosa di eterno, e ciò che abbiamo di comune con Dio.

La conoscenza perfetta è la conoscenza del terzo genere, la conoscenza intuitiva della ragione, per cui vediamo le cose in Dio (prop. 24-25). Questa è la vera eccellenza della mente, in cui essa trova la sua quiete definitiva (prop. 26-27).


Prop. 25. Il supremo sforzo e la suprema virtù della mente è il comprendere le cose secondo la conoscenza del terzo genere.

Prop. 27 Da questa conoscenza del terzo genere nasce alla mente la più alta serenità di cui essa sia capace.


Questa conoscenza non è qualche cosa di generato e di prodotto dalla conoscenza del senso, ma è una luce propria dell’anima, che si svolge per virtù propria dai [p. 144 modifica]germi originariamente in essa posti (prop. 28), cioè dall’idea innata di Dio. Essa è la conoscenza propria della mente nel suo stato di essenziale purezza: quando, astraendo dall’esistenza del corpo nel tempo, si eleva a contemplare le cose nella loro concatenazione necessaria e divina, nel loro aspetto eterno (sub specie æternitatis). Questo conoscere le cose nel loro aspetto eterno è un conoscere Dio stesso nella sua unità con le cose (prop. 29-30).

Prop. 30. La mente nostra, in quanto conosce sè ed il corpo nel loro aspetto eterno, in tanto conosce veramente Dio e sa di essere in Dio e di essere pensata per mezzo di Dio.

Quindi la naturale attività della mente umana in quanto pura, libera, attiva, è la conoscenza di Dio: stato che è essenziale all’anima nostra e si esplica in tutta la sua purezza quando essa è stata liberata dal corpo. Noi parliamo di questo stato come se esso abbia avuto origine nel tempo: in realtà è un’attività eterna dell’anima, in quanto essere eterno (prop. 31, scol.).


3) Nelle proposizioni 32-37 si mostra che questa conoscenza perfetta è anche la beatitudine perfetta. Non solo quindi anche in questa vita noi troviamo già in essa la felicità, ma siamo anche certi che la morte non ce la ritoglie. Alla conoscenza intuitiva di Dio si unisce necessariamente l’amore di Dio: amore corrispondente alla conoscenza intellettuale e perciò superiore al tempo: questo amore sub specie æternitatis è quello che Spinoza chiama amore intellettuale (proposizione 32).


Dalla conoscenza di terzo genere nasce necessariamente l’amore intellettuale di Dio. Perchè da questo genere della conoscenza sorge una gioia unita all’idea di Dio come causa, cioè l’amore di Dio, non in quanto ce lo rappresentiamo come presente, ma in quanto comprendiamo che è un essere eterno: e questo è ciò che io dico amore intellettuale di Dio.

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Questo amore è anch’esso eterno: è una parte dell’amore che Dio ha per se stesso. Quindi niente più può togliere questo amore.


Prop. 33. L ’amore intellettuale di Dio, che sorge dalla conoscenza di terzo genere, è eterno.

Prop. 35. Dio ama se stesso d’un amore intellettuale infinito.

Prop. 36. L ’amore intellettuale della mente verso Dìo è lo stesso amore di Dio, con il quale Dio ama se stesso, non in quanto è infinito, ma in quanto può esplicarsi per l’essenza della mente umana considerata nel suo aspetto eterno; cioè l’amore intellettuale della mente verso Dio è parte dell’infinito amore con cui Dio ama se stesso.

Prop. 37. Non vi è nulla nella natura che possa contrariare o togliere questo amore intellettuale.


4) Le proposizioni 38-42 sono la conclusione generale dell’opera: in esse Spinoza dichiara che anche già nella vita terrena questa contemplazione e questo amore intellettuale costituiscono la beatitudine nostra. Quanto più la conoscenza intellettuale penetra il nostro spirito, tanto maggiore diventa la parte eterna dell’essere nostro, tanto meno noi siamo esposti alle passioni ed al timor della morte (prop. 38): nei grandi spiriti che hanno_svolto in sè un’alta e ricca vita dell’intelligenza la parte sensibile e peritura non è più che qualche cosa d’insignificante (prop. 39). L’intelletto, che è la parte nostra veramente attiva e più perfetta, è eterno: ciò che perisce è il senso (imaginatio), la parte passiva del l’essere nostro. Considerata nell’intima sua essenza, la mente nostra è un modo eterno del pensiero, un momento dell’eterna mente divina (prop. 40). Quindi anche già su questa terra la vita del saggio, che è vita nell’intelligenza, è il bene più alto desiderabile per se medesimo.

Prop. 41. Anche se ignorassimo la nostra mente essere eterna, dovremmo tuttavia mettere innanzi a tutto la carità e la religione e in modo assoluto tutto ciò che nel libro quarto [p. 146 modifica]abbiamo mostrato appartenere alla virtù della forza e della generosità.

Scolio. Altra è la comune opinione del volgo. Perchè i più sembrano credere di essere liberi solo in quanto possono obbedire alle cupidigie loro e di perdere tanto del proprio diritto, quanto della vita loro debbono subordinare alle prescrizioni della legge divina. La pietà, la religione e in genere tutto quanto appartiene alla grandezza d’animo, sono per essi dei pesi che sperano di deporre dopo la morte per ricevere il premio del lungo servire, cioè della carità e della religione: nè sono indotti a vivere sotto la legge divina (per quanto la loro miseria e debolezza lo permette) solo per questa speranza, ma anche e specialmente per paura, per non essere dopo la morte puniti con feroci supplizi. E se gli uomini non avessero questa speranza e questa paura, ma credessero che la mente perisce col corpo e che ai miseri, gravati dal peso della virtù, non v’è speranza di altra vita, essi si abbandonerebbero al proprio capriccio e vorrebbero dirigere le cose secondo le loro cupidigie ed obbedire alla fortuna piuttosto che a se stessi. Il che non è meno assurdo del caso di chi, credendo di non poter nutrire in eterno il corpo con buoni cibi, volesse riempirsi piuttosto di cibi nocivi e velenosi; o di chi vedendo la mente non essere eterna od immortale preferisse essere e vivere senza la ragione: cose tanto assurde, che non vale la pena di arrestarvisi.


Perchè la beatitudine, così conclude Spinoza la sua Etica, non è il premio della virtù, ma è la virtù stessa.


Prop. 42. La beatitudine non è premio della virtù, ma è la virtù stessa: noi non godiamo di essa perchè dominiamo le nostre cupidigie, ma anzi possiamo dominare le nostre cupidigie perchè della beatitudine già siamo in possesso.

Scolio. Con questo ho esaurito ciò che voleva dire circa la potenza della mente sulle passioni e la libertà della mente. Da tutto ciò appare quanto più valga e quanto sia superiore il saggio all’ignorante, che è solo mosso dalle sue cupidigie. L’ignorante infatti, oltre che è agitato in molti modi dalle cause esterne e non ha mai un momento di vera serenità, vive quasi ignaro di sè, di Dio e delle cose e appena cessa di patire, cessa [p. 147 modifica]anche di esistere. Il saggio invece, in quanto tale, non è mai turbato d’animo, e ben conscio di sè, di Dio e delle cose per una certa necessità eterna, mai non cessa di essere e sempre gode della vera pace dell’anima. Se la via che a questo conduce è ardua, non è tuttavia inaccessibile. Ed arduo deve certamente essere ciò che così raramente si trova. Come potrebbe infatti accadere, se la salvezza fosse agevole e potesse venir trovata senza molta fatica, che quasi tutti trascurino di occuparsene? Ma tutte le cose egregie sono tanto difficili quanto rare.