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Bisogna notare inoltre che le afflizioni dell’animo e le sventure traggono per lo più origine dal troppo amore verso cose soggette a molti mutamenti e delle quali non possiamo mai essere padroni. Perchè nessuno è turbato ed ansioso se non per ciò che ama; nè le offese, i sospetti, le inimicizie nascono da altro che dall’amore di cose delle quali non siamo mai veramente padroni. Da ciò comprendiamo quanto possa sulle passioni la conoscenza chiara e distinta e specialmente quel terzo genere di cognizione, il cui fondamento è la stessa cognizione di Dio; che, se non sopprime assolutamente le passioni, fa sì almeno che occupino la minima parte della mente. Inoltre esso genera un amore verso cosa immutabile ed eterna, e di cui siamo sempre partecipi; un amore che quindi non può più essere inquinato dalle miserie dell’amore comune, che può sempre diventare più grande, occupare ed affettare profondamente la parte maggiore della mente. (Et., V, 20, scol.).


VI. — La beatitudine finale.


1) Nelle proposizioni 21-23 Spinoza premette genericamente che la parte inferiore di noi è peritura: ma la parte migliore, quella per cui viviamo la vita della ragione, è qualche cosa di eterno: lo stato di unione con Dio non ha nulla da temere dalla morte. La memoria e l’immaginazione sono connesse con l’esistenza attuale del corpo, che è qualche cosa di perituro (proposizione 21); ma nel mondo delle essenze corrisponde al corpo nostro attuale un’essenza, un modo eterno e parallelamente ad esso un’idea eterna, il nostro io immortale.

Prop. 22. In Dio vi è necessariamente un’idea che esprime sotto l’aspetto dell’eternità l’essenza di questo e quel corpo umano.

Prop. 23. La mente umana non può venir distrutta completamente col corpo, ma ne resta qualche cosa che è eterno.