Etica/Libro Quarto/VII

VII. - Le regole della saggezza

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Baruch Spinoza - Etica (1677)
Traduzione dal latino di Piero Martinetti (1928)
VII. - Le regole della saggezza
Libro Quarto - VI Libro Quinto
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VII. — Le regole della saggezza.


Alla fine del libro quarto Spinoza traccia come in un quadro le linee ideali della condotta del saggio. Nei n. 1-3 distingue i desideri (cupiditates), fra cui comprende anche la gioia e la tristezza, in passioni ed azioni: le prime sono quelle che procedono dalla conoscenza inadequata, dall’ignoranza e ci rivelano l’impotenza nostra; le altre dalla conoscenza adequata e sono segno di virtù e di potenza. Le prime sono o relativamente buone (se conducono verso la conoscenza adequata e l’attività razionale) o cattive: le seconde sono sempre buone.

1) Tutti i nostri sforzi o desideri procedono dalla necessità della nostra natura in modo che o sono compresi per mezzo di essa sola, come causa prossima, o in quanto siamo una parte della natura, che non può venir pensala adequatamente per sè, astrazion fatta dagli altri individui.

2) I desideri, che procedono dalla nostra natura in modo che possono per mezzo di essa venir compresi, sono quelli che la mente ha in quanto consta di idee adequate: gli altri non sono riferiti alla mente, se non in quanto ha idee inadequate. La potenza e l’incremento di questi ultimi si misura non dalla potenza umana, ma da quella delle cose esterne: perciò giusta mente i primi sono detti azioni, gli ultimi passioni: infatti [p. 127 modifica]Quelli esprimono sempre la nostra potenza, questi per contro la nostra impotenza e la nostra ignoranza

3) Le nostre azioni, cioè i desideri determinati dalla nostra potenza, dalla ragione, sono sempre buoni: gli altri possono essere buoni o cattivi

Il fine supremo della vita è la conoscenza di Dio: bene è "tutto ciò che ad essa ci conduce: in questo senso possono essere beni (relativi ed imperfetti) anche le passioni buone (n. 4-5).

4) Nella vita è in primo luogo utile perfezionare quanto possiamo l’intelletto o ragione e in questo solo consiste la somma felicità o beatitudine dell’uomo: poiché la beatitudine non è altro che la serenità (acquiescentia) dell’animo, la quale nasce dalla conoscenza intuitiva di Dio; e perfezionare l’intelletto d’altra parte non è che comprendere Dio, i suoi attributi e gli atti che procedono dalla necessità della sua natura. Perciò il fine ultimo dell’uomo, che vive secondo ragione, cioè il desiderio supremo, col quale si studia di moderare tutti gli altri, è quello che lo porta a concepire adequatamente sè e tutte le cose che possono cadere sotto la sua intelligenza.

5) Nessuna vita razionale è pertanto senza intelligenza e le cose in tanto sono buone in quanto servono all’uomo a godere di quella vita della mente che è l’intelligenza. Quelle cose invece che impediscono all’uomo di perfezionare la ragione e di godere della vita razionale sono cattive.

L’uomo, essere isolato nella natura fra potenze in gran parte ostili, deve provvedere alla propria conservazione allontanando da sè ciò che gli è contrario ed unendosi con ciò che gli è simile e lo favorisce (n. 6-8).

6) Ma poiché tutte le cose, di cui l’uomo è causa efficiente, sono buone necessariamente, nulla di male gli può venire se non dalle cause esterne: in quanto cioè è parte della natura universa, alle cui leggi la natura umana deve obbedire ed a cui è costretto ad adattarsi in infinite maniere.

7) L’uomo non può non far parte della natura e non seguirne l’ordine: ma se si accompagnerà ad esseri che si accordino con [p. 128 modifica]la sua natura, la sua potenza ne verrà aiutata e favorita. Se per contro si accompagnerà ad esseri da lui disformi, l’accordo con essi non potrà avvenire senza una profonda sua trasformazione.
8) È lecito rimuovere da noi per quella via che ci sembra più sicura tutto ciò che nella natura giudichiamo essere un male, cioè esserci di ostacolo ad esistere ed a godere della vita razionale: e così è lecito prendere per nostro uso ed in qualunque modo usare tutto ciò che giudichiamo essere un bene, cioè poterci aiutare ad esistere ed a godere della vita razionale: e in via assoluta a ciascuno pel sommo diritto di natura è lecito fare tutto quello che giudica servire al suo utile.

Di qui i vantaggi della società umana: la quale però deve essere fondata sulla ragione, non sulla paura o su altre passioni (n. 9-25).

9) Niente meglio può accordarsi con un essere, che gli altri esseri della stessa specie: onde mente vi è di più utile all’uomo, per conservare l’essere suo e godere della vita razionale, che l’uomo il quale vive secondo ragione. E poichè tra le cose singole niente conosciamo che sia più eccellente dell’uomo che vive secondo ragione, in nessuna maniera può ciascuno mostrare l’abilità e l’ingegno suo quanto nell’educare gli uomini a vivere sotto il regno della ragione.

10) In quanto gli uomini sono mossi tra loro dall’invidia o da altra passione dell’odio, in tanto sono fra loro contrari e perciò tanto più da temere, in quanto sono più potenti che gli altri esseri della natura.

11) Gli animi sono vinti non dalle armi, ma dall’amore e dalla generosità.

12) Agli uomini è sopra tutte le cose utile stringere relazioni, unirsi con quei legami coi quali meglio possano dalla moltitudine fare un’unità e in genere fare tutto quello che serve a stabilire fra loro l’amicizia.

13) Ma a ciò si esige capacità e perspicacia. Perchè gli uomini sono mutevoli (rari sono quelli che vivono secondo ragione), generalmente invidiosi e più inclini alla ferocia che alla pietà. Per sapere quindi trattare con ciascuno secondo la sua [p. 129 modifica]ìndole e dominarsi in modo da non seguire il loro esempio, è necessario una forza d’animo singolare. Però coloro che sogliono rimproverare gli uomini e piuttosto vituperarne i vizi che insegnar loro la virtù e che sanno abbattere gli animi, non fortificarli, sono molesti a sè ed agli altri. Onde è avvenuto che molti, troppo insofferenti, per un falso amore della religione, abbiano preferito vivere tra gli animali anziché tra gli uomini: come quei giovani che non sanno sopportare i rimproveri dei genitori e vanno ad arruolarsi, preferendo i disagi della guerra e della tirannia militare alle comodità domestiche ed ai rimproveri paterni e sopportando d’andare incontro a qualunque miseria pur di vendicarsi dei loro parenti.

14) Sebbene gli uomini per lo più dirigano le cose secondo le loro cupidigie, dalla loro società seguono tuttavia più vantaggi che danni. Perciò è meglio sopportare con equanimità le loro offese e volgere l’animo a quello che promove la concordia e l’amicizia.

15) Le cose che promovono la concordia sono quelle comprese sotto la giustizia, l’equità e la decenza (honestas). Perchè gli uomini mal sopportano non solo l’ingiustizia e l’iniquità, ma anche ciò che è stimato turpe e che va contro alle usanze comuni. A conciliare l’amore è necessario poi in primo luogo tutto ciò che appartiene alla religione ed alla carità.

16) La concordia è prodotta anche dalla paura, ma non è sicura. Aggiungi che la paura nasce da debolezza ed è contro la ragione: come è contro la ragione anche la compassione, sebbene abbia l’apparenza della carità.

17) Gli uomini sono vinti anche dalla munificenza, specialmente i poveri che non possono provvedersi il necessario alla vita. Ma l’aiutare tutti i poveri è cosa che supera di gran lunga le forze e il compito d’un privato; le ricchezze d’un privato sono lungi dal bastarvi. Di più la capacità d’un uomo è troppo limitata per potere stringere a sè tutti con l’amicizia; onde la cura dei poveri spetta alla società intiera ed è fra le cose di utilità pubblica.

18) Quanto al ricevere benefizi e al dimostrare gratitudine, bisogna avere altre attenzioni; per cui sì veda la prop. 70 e lo scolio della prop. 71 nel libro quarto. [p. 130 modifica]19) L’amore meretricio cioè la libidine di generare che nasce dalla bellezza e in via assoluta ogni amore che viene da altro che dalla libertà dell’animo, passa facilmente in odio; quando, ciò che è peggio, non sia una specie di delirio, il quale fomenta più la discordia che l’accordo.

20) Quanto al matrimonio certo è che esso si accorda con la ragione se la passione corporea non nasce solo dalla bellezza, ma anche dal desiderio di procreare e di educare saggiamente la prole: e se l’amore dell’uomo e della donna procede, oltre che dalla bellezza, anche e specialmente dalla libertà dell’animo.

21) Anche l’adulazione conduce alla concordia, ma per sozza servitù o per frode; nessuno infatti è più preso dall’adulazione che il superbo, il quale vuole essere primo e non è.

22) L’avvilimento è connesso con una falsa apparenza di carità e di religione. E sebbene esso sia contrario alla superbia, chi si avvilisce è vicinissimo al superbo.

23) Utile alla concordia è la vergogna in ciò che non si può nascondere. Nel resto, poichè la vergogna è una specie di tristezza, essa non appartiene alla vita secondo ragione.

24) Le altre passioni della tristezza sono direttamente opposte alla giustizia, all’equità, alla decenza, alla carità, alla religione: e sebbene l’indignazione possa aver l’apparenza del l’equità, tuttavia là dove a ciascuno è lecito giudicare dei fatti altrui e rivendicare da sè il proprio o l’altrui diritto, là non vi sono leggi.

25) La modestia, cioè il desiderio di piacere agli uomini, determinato dalla ragione, è una forma della carità. Se procede dalla passione è ambizione, cioè un desiderio per il quale gli uomini con falsa apparenza di carità non fanno per lo più che suscitare discordie e tumulti. Perchè chi vuole giovare agli altri coi fatti o col consiglio, avviandoli verso il bene supremo, cercherà in primo luogo di conciliarsene l’amore: non di destare la loro meraviglia, affinchè la disciplina prenda da lui il nome; e di non dare in modo assoluto ragioni d’invidia. E nei discorsi comuni si guarderà dal denunziare i vizi degli uomini e della loro debolezza non parlerà se non parcamente; per contro dirà largamente della virtù e potenza umana e come si perfezioni: affinchè così gli uomini mossi non dalla paura o dall’avversione, [p. 131 modifica]ma dalla passione della gioia, si sforzino di vivere, per quanto possono, secondo la ragione.

Delle altre cose il saggio si servirà per il suo benessere. Nel n. 26 Spinoza esclude, per una singolare cecità, dalla carità umana tutto ciò che non è l’uomo. Nei tre numeri appresso parla dell’uso dei beni materiali, il cui valore si compendia nel denaro: onde la universale fame dell’oro. Il saggio deve saper dominare se stesso e far servire anche il denaro al suo legittimo fine.

27) L’utilità che ricaviamo dalle cose esterne è, oltre l’esperienza e la cognizione che acquistiamo dall’osservazione e dal l’esperimento, prima di tutto la conservazione del corpo: e sotto questo riguardo sono utili, più di tutte, le cose che possono sostenere e nutrire il corpo in modo che tutte le sue parti possano convenientemente compiere il loro ufficio. Perchè quanto più il corpo è atto ad essere affetto dai corpi esterni ed a reagire a queste affezioni, tanto più la mente è atta a pensare. Ma pochissime sono in natura le cose che abbiano questa virtù: perciò a nutrire il corpo è necessario servirsi di molti alimenti di natura diversa. In quanto che il corpo umano è composto di moltissime parti di diversa natura, che hanno continuamente bisogno d’un alimento vario affinchè tutto il corpo sia egualmente atto a tutte le sue funzioni e quindi anche la mente sia egualmente atta ad una molteplicità di pensieri.

28) Ma a procurarsi tutte queste cose non basterebbe la forza del singolo, se gli uomini non associassero i loro sforzi. Ora col denaro si è trovato qualche cosa che compendia come in sè tutto il desiderabile; onde avviene che la sua immagine occupi sopra tutte le cose la mente del volgo, il quale non sa pensare alcuna specie dì gioia se non accompagnata dal denaro, come causa.

29) Ma questo diventa un vizio solo presso quelli che vanno appresso al denaro non per povertà o per bisogno, bensì perchè hanno imparato le arti del lucro delle quali vanno superbi. Essi alimentano il corpo per abitudine, ma parcamente, perchè credono di perdere tutto ciò che impiegano alla conservazione del [p. 132 modifica]corpo. Quelli invece che conoscono l’uso del denaro e sanno regolare la ricchezza al bisogno, vivono contenti di poco.

Così il saggio, pur evitandoci falsi piaceri, non rinnegherà perciò come una stolta superstizione vuole, le gioie della vita: anzi progredirà per mezzo della gioia, verso la perfezione. E se anche questo non basta a far scomparire il male, egli cercherà di vincerlo con l’elevarsi verso la visione delle cose nella loro necessità e nella loro profonda razionalità.

30) Poichè buone sono le cose che favoriscono le parti del corpo nel loro funzionamento e la gioia consiste in ciò che la potenza dell’uomo, sia spirituale sia corporea, è favorita ed accresciuta, tutte le cose che danno gioia sono buone. In quanto tuttavia le cose non agiscono per il fine della gioia nostra, nè la loro potenza di agire si regola sul nostro utile e ancora in quanto per lo più la gioia si riferisce di preferenza ad una parte sola del corpo, perciò la maggior parte delle passioni della gioia (se non intervenga la vigilanza della ragione) e di conseguenza anche i desideri che ne derivano, hanno carattere di eccesso: al che bisogna aggiungere che nelle passioni mettiamo in prima linea ciò che ci allieta il presente, nè sappiamo estimare con sentimento equo le cose future.

31) La superstizione invece sembra affermare che sia bene ciò che dà tristezza e male ciò che dà gioia. Ma nessuno, se non per invidia, può godere della mia debolezza e del mio soffrire. Perchè quanto maggiore è la nostra gioia, tanto maggiore è la perfezione a cui ci eleviamo e quindi tanto più partecipiamo della natura divina: nè può mai essere cattiva la gioia che è regolata da un vero concetto del nostro utile. Invece chi è mosso dalla paura e fa il bene per fuggire il male, non è diretto dalla ragione.

32) Ma la potenza umana è estremamente limitata ed è superata infinitamente dalla potenza delle cause esterne: e perciò non abbiamo il potere assoluto di adattare le cose esterne al nostro bisogno. Ma noi sopporteremo con animo eguale tutto ciò che ci avviene contro le esigenze dell’utile nostro, se avremo coscienza di aver fatto il nostro dovere e riconosceremo che la [p. 133 modifica]potenza nostra non poteva estendersi tanto da evitare tutto ciò che ci è contrario, perchè noi siamo una parte della natura, al cui ordine dobbiamo uniformarci. Se comprenderemo chiaramente e distintamente questo, quella parte di noi, che costituisce l’intelligenza, cioè la parte migliore di noi, si rasserenerà in questo pensiero e cercherà di perseverare in questa serenità. Perchè, in quanto comprendiamo, non possiamo desiderare se non ciò che è necessario e non possiamo riposare definitivamente se non nella verità: onde, in quanto intendiamo bene queste cose, in tanto lo sforzo della migliore parte di noi stessi si accorda con l’ordine universale della natura.