Esilio/Compagni di strada/Il violinista
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IL VIOLINISTA.
Monos e Una.
Ti strappasti tu l’anima, per farne
corda che vibri al tocco dell’archetto?...
Da qual paese ignoto e maledetto
4fin qui portasti le tue gambe scarne?...
Curvo, e quasi incorporëo nel tinto
frac slabbrato alle falde, coi capegli
lungo-spioventi intorno al bianco degli
8zigomi aguzzi, hai l’umiltà d’un vinto.
Par che ti sia d’orrore esser fra gli uomini.
Ne’ tuoi occhi — acqua verde fra le ciglia —
sta la perenne triste maraviglia
12d’essere vivo. Ma, se suoni, domini.
Nel caffè di sobborgo, ove Arlecchino
s’ammorba, in casco, in giacca, colle stanche
donne a lato, davanti a coppe bianche
16di tossici o purpurëe di vino,
tutti i gesti s’impietrano, la massa
ha un volto solo, pallido, contratto:
ogni favella si fermò di scatto,
20poi che la tua gigante anima passa.
Donde la porti?... dal delitto, forse?...
Questo non è Chopin, non è Beethoven.
Sei tu, con la follia che dentro move
24a turbine, e ti schiaccia fra due morse
talora, e strappa l’urlo; e in un singulto
lo spezza; e poi lo sgrana in razzi, in trilli
salenti in frenesia, come zampilli
28di sangue, verso un paradiso occulto.
٭
Io che t’ascolto, piccola, celata
fra Georg il minatore e Willy il fabbro,
pur tengo, dietro questo chiuso labbro,
32una pulsante forza imbavagliata.
Forza di melodia, che da un tormento
intimo viene, e che talor mi strozza
dentro così, che n’ho la gola mozza,
36ma non la posso liberar nel vento.
Manca l’arco che il mio ritmo selvaggio
accompagni con l’ebbra ala d’un’eco.
Quell’arco è il tuo. Forse tu pure un’eco
40cerchi nel mondo, o nòmade selvaggio.
O rapsòdo, se tu Mònos ti chiami,
io son Una, son quella che tu vai
fra terra e cielo in van cercando; e mai
44sinora ebbe pietà de’ tuoi richiami.
Ah, ch’io possa cantar fino a sentire
in un gorgo di sangue il cor spaccarsi,
e per delizia l’anima restarsi
48smemorata fra il vivere e il morire:
sospesa al tremolar delle tue corde
la voce, come su un azzurro abisso
di cieli: — e in religiosa èstasi fisso
52l’uomo al prodigio, od acclamante a orde!...
.... Ma non per l’uomo. — Per la nostra gioia
titanica, soltanto: — per esprimere
il sogno, in lui la verità sublime
56che nulla muor, se pur la carne muoia.