Er papa bbon'anima

Giuseppe Gioachino Belli

1846 Indice:Sonetti romaneschi V.djvu sonetti letteratura Er papa bbon'anima Intestazione 10 novembre 2022 75% Da definire

Ar zor Lello Scini Er papa novo
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1846

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ER PAPA BBON'ANIMA

     Papa Grigorio è stato un po’ scontento;
Ma ppe’ vvisscere poi, ma ppe’ bbon core,
Ch’avessi in petto un cor da imperatore
Ce l’ha ffatto vedé ccór testamento.*

     Nu’ lo sentite, povero siggnore!,
Si cche ccojjoneria d’oro e dd’argento
Ha mmannato sopr’acqua e sopr’a vvento1
A li nipoti sui pe’ ffasse onore?

     E ppoi doppo sc’è ppuro er contentino
De le poche mijjara c’ha llassato
Tra bbaiocchelle2 e rrobba a Gghitanino.3

     E er credenziere? e mmica so’ ccarote:
Ventiseimila scudi ha gguadaggnato
Sortanto a vvetro de bbottijje vote.

18 ottobre 1846


Note
  1. Sana e salva. [La frase è tolta dalla nota formula di scongiuro delle streghe al diavolo: "Sopr'acqua e sopra vento, portami alla Noce di Benevento.„ Cfr. la nota 4 del sonetto: La, str&cja^ 3 f ebb. 33.]
  2. Danari.
  3. [V. la nota 13 del sonetto: La morte eco. (2), 11 genn. 31]



Nota sul testamento di Gregorio XVI modifica

[“Il testamento del pontefice, in breve conosciuto,„ (venne pubblicato testualmente e con una parodia in versi nella raccolta di satire intitolata: Fiori sparsi sulla tomba di Gregorio sestodecimo ecc.; Losanna, 1846), “fu soggetto ancor esso di molti commenti; come quello che portava le impronte delle false idee che lo avevano traviato durante il suo regno. Dispiacque la cura dei nepoti, massime in un monaco: si esagerarono le ricchezze che loro legava morendo, o aveva loro donate in vita, e veramente non erano gran che... Nella disposizione, la quale esentava i nepoti dal pagamento del diritto di successione dovuto all’erario pubblico sulla sua eredità, vide ognuno la falsa idea che aveva della legge e della sua inviolabilità; poichè non contento di essersi voluto sempre riguardare ad essa superiore, le volle fare un ultimo sfregio morendo, e credette padroneggiarla sin dopo morte.... Le passioni politiche bollenti, i dolori per [p. 344 modifica] lungo tempo compressi, tutte le conseguenze delle agitazioni politiche, l’ira o degli esuli o dei prigioni o dei loro amici e parenti, davano a queste postume accuse un carattere più grave di quello che sogliono avere per consueto le patire in siffatte occasioni. Un sonetto terribile non tardò a circolare, nel quale tutti riconobbero l’ira di un partito perseguitato e la vendetta d’un’offesa. L’ultimo verso di questo compendiava quanto era sulle labbra e nel cuore della moltitudine, che curiosa si accalcava intorno alla sua bara per riconoscere i lineamenti dell’estinto:

 Giacque, e ai nemici non lasciò perdono.„

Cosi il Gualterio (Op. cit., voi. IV, pag. 337-38), e io aggiungerò qui il sonetto da lui ricordato, e insieme due altri sonetti romaneschi, che diventarono anch’essi e si mantengono ancora popolarissimi, ma che non sono del Belli:

GREGORIO XVI.

     Fu panattier,1 poi schiuma di convento;
Per supplizio de’ buoni ebbe il Triregno.
Pazzo, briaco, visitò il suo regno:
N’ebbe ingiusti trionfi e rese vento.2

     Profuse a pochi quel che tolse a cento;
A lo sgherro, a la spia d’onor diè segno;
Una canaglia che ti move a sdegno
Della porpora elesse all’ornamento.

     Di leggi invece ei fé’ parlar la scure;
Or fu nostro trastullo, or nostro smacco;
Aprì scuola di debiti e di usure.3

     Novo Sardanapal, beato in trono,
Più che di Cristo adorator di Bacco,
Giacque, e ai nemici non lasciò perdono.

Note
  1. Cfr. il sonetto: Sentite ecc., 6 dic. 34
  2. V. nota 1 del sonetto: Er viàggio ecc., 1 magg. 43.
  3. Cfr., tra gli altri, i sonetti: Er volo ecc., 13 genn. 45.

PE’ LA MORTE DE PAPA GRIGORIO.1

     Fr....a! in cche ttempi sémo, sor Cremente!
Se nega er zole! Basti a ddi cche cc’era,
Doppo morto Suàrfa2 l’antra sera,
Chi ddisse: “A Rroma nun j’importa ggnente!„

     E lo sciamanno3 ar braccio der tenente?
E in der Cracàsse4 la striscetta nera?
E Palaccorda ch’ha ffatto moschiera?5
E ar Pallone6 che ppiù nun ce va ggente?

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     E li tammùrri cór farajjoletto?7
E le tromme che ssòneno a scorregge?
Ce vò deppiù pp’addimostrà l’affetto!?

     Ma pperò, ffa er dolore meno amaro
Er penzà che pp’er papa che s’elegge
Sce so’ ttutti Grigori ar piantinaro!8

Note
  1. Per gustar questo sonetto, che non sarebbe indegno del Belli, giova rammentare che il Governo pontifìcio, a ogni morte di papa, imponeva un lutto ufficialo, non solamenle a’ suoi impiegati, ma anche a tutti i sudditi, sospendendo per molti giorni ogni pubblico divertimento (senza credersi obbligato per questo a compensar dei danni gl’impresari teatrali), e facendo sonare a morto tntte le campane dello Stato. Sicché, quando sul più bello del carnevale del 1829 morì Leone XII, i Romani, non potendo divertirsi altrimenti, sfogarono la stizza con questi epigrammi:

         Tre dispetti ci hai fatto, o Padre santo:
    Accettare il papato, viver tanto.
    Morir di carneval per esser pianto.

         Se morivi ne’ dì quaresimali,
    Leon, che in vita tanto mal ci festi,
    A retaggio comun lasciato avresti
    Il piacer di goder due carnevali.

  2. Il Papa. Cfr. la nota 10 del sonetto: Le commediole, 25 magg. 37.
  3. Il lutto. Ma, propriamente, lo sciamanno era il distintivo che dovevano portare gli Ebrei. Cfr. la nota 3 del sonetto: Una smilordaria. ecc., 17 genn. 35.
  4. Il giornale ufficiale (Diario di Roma); chiamato popolarmente Cràcas, Cracàsse e anche Càcas, dal nome del suo primo editore. Cfr. la nota 5 del sonetto: L’uffizzio ecc., 17 febb. 33.
  5. E il Teatro Pallacorda (oggi Metastasio) che ha taciuto? — Far mosca o moschiera: far silenzio, tacere. Ma moschiera per mosca si dice solo in senso traslato come qui, non sempre.
  6. Al gioco del pallone, che allora era all’Anfiteatro Corèa.
  7. Col ferraiolino: coperti, cioè, di un velo nero.
  8. Piantonaia, vivaio.

Per gustar questo sonetto, che non sarebbe indegno del Belli, giova rammentare che il Governo pontifìcio, a ogni morte di papa, imponeva un lutto ufficialo, non solamenle a’ suoi impiegati, ma anche a tutti i sudditi, sospendendo per molti giorni ogni pubblico divertimento (senza credersi obbligato per questo a compensar dei danni gl’impresari teatrali), e facendo sonare a morto tntte le campane dello Stato. Sicché, quando sul più bello del carnevale del 1829 morì Leone XII, i Romani, non potendo divertirsi altrimenti, sfogarono la stizza con questi epigrammi:

     Tre dispetti ci hai fatto, o Padre santo:
Accettare il papato, viver tanto.
Morir di carneval per esser pianto.

     Se morivi ne’ dì quaresimali,
Leon, che in vita tanto mal ci festi,
A retaggio comun lasciato avresti
Il piacer di goder due carnevali.

Il Papa. Cfr. la nota 10 del sonetto: Le commediole, 25 magg. 37. Il lutto. Ma, propriamente, lo sciamanno era il distintivo che dovevano portare gli Ebrei. Cfr. la nota 3 del sonetto: Una smilordaria. ecc., 17 genn. 35. Il giornale ufficiale (Diario di Roma); chiamato popolarmente Cràcas, Cracàsse e anche Càcas, dal nome del suo primo editore. Cfr. la nota 5 del sonetto: L’uffizzio ecc., 17 febb. 33. E il Teatro Pallacorda (oggi Metastasio) che ha taciuto? — Far mosca o moschiera: far silenzio, tacere. Ma moschiera per mosca si dice solo in senso traslato come qui, non sempre. Al gioco del pallone, che allora era all’Anfiteatro Corèa.

L’ANIMA DE PAPA GRIGORIO.1

     Stese appena le scianche2 er zor Grigorio,
Che l’anima jj’usci dar peparone,3
E senza tocca manco er Purgatorio,
Anno der Paradiso in der portone. —

     Ah4 Pietro! — Oh! m’arillegro e me ne grorio.
Opri tu, ch’hai le chiave e ssei er padrone. —
Eccheme,5 e ffamme strada ar rifettorio.6
Be’? opri! — Ah, Pietro mio, nun jje la fòne! —

     Va’ là, ariprova. — Gnente! — Ar buscio drento
C’è cquarche cosa? — Gnente! — Hai bbe’ sgrullato?7
Sine: e nun z’òpre! — Dàlle qua un momento. —

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     Tièlle, — Ruzze,8 e la mappa nun cunvina!9...
Che strumenti so’ cquesti ch’hai portato? —
Oh bbuggiarà! le chiave de cantina!

Note
  1. Questo sonetto divenne popolarissimo in grazia della trovata. Ma, come forma, è una porcheria; e coloro (son tanti anche tra i Romani!) che hanno potuto crederlo roba del Belli, si vede che pigliano facilmente il princisbecco per oro. Cfr. la nota 6 del sonetto: L’anima ecc., 15 genn. 35
  2. Cianche: zanche, gambe.
  3. Ho già avvertito più volte che il naso di Gregorio era molto grosso e adunco.
  4. Esclamazione vocativa che tiene il luogo di o, e che si pronunzia molto aperta.
  5. Eccomi, cioè: "eccomi pronto ad aprire.„
  6. Gregorio era stato frate, e tutti dicevano che gli piaceva di mangiar bene e ber meglio.
  7. "Sgrullà vale "scuotere, sbattere.„ Si sgrulleno i panni impolverati, i tovaglioli, ecc., e così le chiavi femmine, per farne uscire quel che potesse essersi introdotto nel cannello.
  8. Irrugginite.
  9. L’ingegno non combina con la toppa.]
Questo sonetto divenne popolarissimo in grazia della trovata. Ma, come forma, è una porcheria; e coloro (son tanti anche tra i Romani!) che hanno potuto crederlo roba del Belli, si vede che pigliano facilmente il princisbecco per oro. Cfr. la nota 6 del sonetto: L’anima ecc., 15 genn. 35 Cianche: zanche, gambe.

Ho già avvertito più volte che il naso di Gregorio era molto grosso e adunco. Esclamazione vocativa che tiene il luogo di o, e che si pronunzia molto aperta. Eccomi, cioè: "eccomi pronto ad aprire.„

Gregorio era stato frate, e tutti dicevano che gli piaceva di mangiar bene e ber meglio. "Sgrullà vale "scuotere, sbattere.„ Si sgrulleno i panni impolverati, i tovaglioli, ecc., e così le chiavi femmine, per farne uscire quel che potesse essersi introdotto nel cannello.