Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 125

Lettera 124 Lettera 126

[p. 188 modifica]i88 A FRA GUGLIELMO D’INGHILTERRA BACCELLIERE (A) CHE STA A LECCETO (B) l DELL ORDINE DI S. AGOSTINO.

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I. Di due voci, colle quali Dio c’iadta a seguirlo, e prima di quella, eoo cui ci chiama ai patimenti ed alle fatighe, e dell’amore che da essa l’anima ne concepisce. ’ II. De)!’ altra, voce di Dio, con cui desidera esser chiamatp fuori ~r ’ del capo.

III. Lo ragguaglia dei preparamenti, che sì facevano per la difesa . ed esaltazione della Chiesa.

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IV. Li raccomanda un giovine, cbe desiderava entrare in reli* . r 1 ’ ’ r ’ gione. r . , i. * .

j ‘ ■ **Al nome di Jesà Cristo crocifisso e di Maria dolce.


I» JL voi, dilettissimo e carissimo padre e figliuolo in Cristo Jesù, la vostra indegna miserabile figliuola Catarina vi si raccomanda nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio, con desiderio che a noi sia detta quella parola che disse Dio ad Abraam, cioè, escie dalla casa, e dalla terra tua, ed Abraam obedientb non fece resistenzia al comandamento di Dio, che disse seguitami, ed elli il seguitò. 0 quanto sarà beala l’anima nostra, quando udiremo quella dolce parola, che noi ci partiamo da questa nostra terra del misero miserabile corpo. In due modi.si debba levare l’uomo, e seguitare la prima Verità, che’l chiama: il primo è, che noi trajamo l’affetto dalla casa di questa nostra passione [p. 189 modifica]sensitiva terrena, ed amore proprio di noi medesimi e dalla terra nostra, cioè, che l’alletto si levi da ogni amore terreno, e seguitiamo l’Agnello svenato in sul legno della santissima croce, il quale Agnello c’invita e ci chiama a seguitarlo per vie d’obbrobri, pene e rimproverii, i quali all’ anima ohe’l gusta sono di grandissima dolcezza e suavilà. A questo aG’etto ci ha tratti Dio per la sua infinita bontà e misericordia. Or che voce aspetta ora l’anima poiché ella ha udita la prima voce, ed ha risposto, abandonando il vizio, e seguitando le virili, le. quali fa gustare Dio per grazia in questa vita. Sapete, padre, quale voce aspetta? quella dolce parola della Cantica, cioè: Viene diletta sposa mia: e drittamente s’adempie la parola tra l’anima ed il corpo, che disse Cristo a’discepoli suoi, dicendo: Lassate i parvuli venire a me, perocché di costoro è il reame del cielo. Questo modo tiene Dio co1 servi suoi, quando li trae di quesla miserabile vita, e menali al luogo di riposo, comandando e dicendo a questa nostra carne, che è stata serva e discepola dell’anima: lassa questa anima venire a me, perocché di costei è il reame di vita eterna. 0 inestimabile dolcissima ed ardentissima carità: tu dici nè pm, nè meno, come se l anima t’avesse servito per se medesima, conciossiacosaché ogni servizio fatto a te, tu ne se’ l’operatore ed il donatore; perocché tu se’colui che se’, e senza te. noi non siamo; cosi diceva l’Apostolo. Noi non possiamo bene pensare, se non ci fusse dato di sopra: adunque per grazia ci dai, e non per debito, e questo fa il tuo smisurato amore, che il tuo medesimo vuoi remunerare a noi e però l’anima quando ragguarda tanto fuoco d’amore s inebbria per sì falto modo, che perde sè medesima, e ciò che vede e sente, vede nel suo Creatore.

II. Or questa dunque è la voce dalla quale desidera l’anima mia che noi siamo chiamati: ma non parrebbe, padre, che io fussi mollo contenta, se innanzi a questa io non udissi un’altra, cioè la voce desiderata du lutti i servi di Dio, cioè, che noi udiamo. Uscite figliuoli [p. 190 modifica]i9° dalle terre e dalle case vostre: seguitatemi, e venite a far sacrifizio del corpo vostro: unde quando io considero, padre, che Dio ci facesse grazia d’ udirla, e di vedercidare la vita per lo smisurato nome dell’Agnello, pare che l’anima a mano, a mano pur del pensiero si voglia partire dal corpo. Or corriamo dunque, figliuoli e fratelli miei in Crislo Jesù,

distendiamo i dolci ed amorosi desiderii, costringendo e pregando la divina bontà, che tosto ce ne faccia degni: e qui non ci conviene commettere negligenzia, ma grande sollicitudine, e, voi sempre sollicitando ed allrui!


III. Il tempo pare che s’abbrevii, trovando molta disposizione nelle creature: e però sappiate, che quello frate Jacomo (C), che noi mandammo al giudice d’Arborea (/?):con una lettera, dove si conteneva di questo passaggio, elli m’ha risposto graziosamente, che vuole venire con la sua persona, e fornire per dieci anni due galee e mille cavalieri, e tremila pedoni, e seicento balestrieri. Sappiate ancora, che’Genova è tutta commossa (E) a questo medesimo, proferendo l’avere e le persone; e sappiate che di questo e dell*altre cose Dio adopera l’onore suo.

IV. Altro non dico, se non che io vi prego, e vi raccomando questo giovine, che ha nome Matteo Foìèslani (F)j clie’l facciale spacciare al più tosto che potete, sicché sia ricevuto alla santa religione: studiatevi quanto potete, che elli venga alle vere e reali virtù singularmenle di mortificare iu lui il parere del mondo e la volontà sua. Emmi panilo il meglio che elli non sia andato in altro viaggio, perocché poteva essere p. i tosto svagolamento della mente sua che altro.

Dissemi frale Nofrio (G), come frale Stefano slava male, e voi ancora avevate sentilo

tornavate di 11011 avere chi vi scrivesse: non temete, i»a confidatevi, che quando Dio lolle T uno, provede deU’allro. Confortate c benedicele frate Antonio (//) celilo migliaja ili volle in Crislo Jesù. Permanete nella sanla e dolce dilezione di Dio. Jesù dolco, Jesù amore. *

[p. 191 modifica],y| Annotazioni aliti Lettera 125.

(A) Fra Guglielmo (VInghilterra Baccelliere. Il titolo che dà In .anta a questo Fra Gu” ielmo è quello di Baccelliere,

di tale aggiunto egli onorasi, t dalla santa in altre lettere, e da »er Cristoforo Gnidini di sopra addotto. La dignità di baccelliere, che anche ora è in uso in alcune religioni, ed in molte università per qnel tanto che alla letteratura s aspetta (dacché anticamente era pnre posto d’onore pei nobili nella milizia) è un grado orrevole a cui esallansi quei che al corso d’alcnna scienza dato avendo compimento in alcuna università, hanno pure daio -’aggio di loro sapere in solenne ed erudita rontesa. Se poi un tal nome demi dalla voce latina baculus, come alcuni s’avvisano, perchè a quest» talr poneva.i in mano nn bastone in seguo d’autorità che loro coufeiira l’aver con gloria dalo fine agli stndj, ovvero, come ad altri piace dalla parola bacca, cioè bacche d lauro o alloro, per coronarsi eglino di ghirlande formate delle frondi di quell’albero, non è di questo luogo l’andarne in cerca. Da questo grado «ulivasi a quello di maestro, da cni però alcuni teneansi lontani per umiltà, e questo religioso forse il rifiutò pel graud». amore cb’avea alla solitudine.


(* Che sta a Lecceto. Il convento di Lecceto, in cui diinorava questo, religioso, è uno de’molli santnarj che s’abbia lo Slato satiese.

£ in vicinanza di tre miglia dalla città di Siena, e di prona fu sicuro ricovero a molti crsihni, che ne’primi anni del secolo quarto dellr era cristiana fuggirono da’persecutori della legge evangelica; indi solitario ritiro a’poveri rouiitr. ed in ultnuo felicissima stanza di santi religiosi. Poiché al dire d’ alcuni autori, passando per que’luoghi di loscana il gran padre s. Agostino, degnò di sua presenza que’ buoni cremiti, e lasciò loro regola-e forma di religione verso il 3yi con che ebbe ivi pnncipio (’’Ordine eremitauo.

Si chiamò dapprima Eremo di Foltignano dalla foltissima macchia ond‘era intorno ingombrato; diradatasi la quale ebbe il 1220 nóme delia seha che, al dire del Landucci, muto nel iSoo io quello di s. Salvatore di Lecceto al Lago, pe’molti lecci che aveangli d’ intorno e ’l lago poco discosto cbe ora è al tutto secco. Ma trovasi che di Lecceto si denominasse anche nn secolo prima.

(C) Che quello frate Jacorno. T ra discepoli di santa Caterina trovasi registrato un tale Fra Jacorno da Città di castello dell’Ordine de’gesuati. Se questi o altro di quel nome si fosse l’inviato di questa Tergine in Sardegna non trovo memoria alcuna.

(O) Che noi mandammo al giudice d’Arborea, ec. La lettera qui accennata e indirizzata a questo signore.è tra le molte che sonosi smarrite. 11 giudice d’Arborea, città decisola di Sardegna, che ora dicesi Oristagni, era di quel tempo come siguore di tutta Pisola, [p. 192 modifica]ì92 soggetta di ragione alla corona cl’ Arragoua per donazione fattane ni re Jacopo II dal pontefice Bonifacio Vili l’anno 1297. Era già l’isola dima in.quattro parli infino da’ lem pi in cui vi leneano dominio i pisani, e quei che ad esse presedeano, facendovi ragione, appellavnnsi Giudici, onde al * ri diceisi Giudice di Torre o di Ltigodori, altri d’Arborea, o d’Oristagoi, altri di Cagliari ed altri di Gallura. I)i questi Giudici alcuni ne rimasono, poiché Pisola ne andò in podere degli Arragonesi e singolarmente quello d’Oristagni, eh’ era assai potente e di gran seguito. Nel 1064 Ma piano giudice d’Arborea, o Oristagni ribellò al suo sovrano buona parte dell’isola, e per tate maniera si difese dalle forze arragonesi, che in ultimo essendo il re divertito ad altri affari di più rilievo nel reame, ne ottenne il pacifico possesso. I successori di Mariano in questo dominio, e che tolsero il titolo di marchesi d’Oristagni, essendo venuti a mancare, tornò Io stato loro a’re d’Arragona, onde i’monarchi delle Spagne, come usavano i re arragonesi, tra gli altri titoli ritengono tuttora quello di marchesi d’Oristagni. Non dee qui lasciarsi d’osservare e il zelo ardentissimo di santa Caterina per la spedizione contro agl’ intedeli, ed insieme ii gran concetto n cui aveasi la sua santità, inducendosi ella a spedire messaggi a gr, n signori per tal affare, ed inchinandosi questi di buon volere alle tue inchieste.

(JE) Genova è tutta commossa. La repubblica di Genova co’suoi validi ajnti die’sempre forte polso alle imprese cbe si fecero con* tra gl’ infedeli; essendo a quegli anni delle potenze maggiori che avesse P Europa sul mare. Le guerre però, cbe d’ora iu ora successero colla repubblica di Venezia, fecero andare a vuoto più d un disegno già bene ordito a’ danni degl’ infedeli.

(F) Matteo Forestani. Questi fu nobil sanese di famiglia ora estinta, ed uno de’discepoli della santa. Vesli egli Pahito degli eremitani, come n’ assicura il Landucci a persuasione di santa. Cate* rina, come qui viene accennato.

(G) Dissemi frate Nofrio. Cioè frate Onofrio, il quale fu religioso di Lecceto; e sì esso, sì Fra Stefano, che qui nominasi, furono di gran bontà di vita per qnauto »’ ha scritto il Landucci.

(//) lìeneilicele frate Antonio. Frate Antonio da Nizza compagno di Fra Guglielmo, e di cui altrove si favellerà.