Epistolario (Leopardi, 1934)/Lettera 4

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4 Di Terenzio Mamiani.1

Pesaro 24 Ottobre 1814.


Stimatissimo Signore. Nuovi al certo, o Signore, comparirangli codesti caratteri, né capaci in niun modo di scusarsi della loro audacia. Pure lo accerto che la apparente temerità vien provenuta dalla [p. 9 modifica]debita, e viva ammirazioni’ sincera eli’ io nutro verso a i suoi preclari talenti, e alla sua (direi quasi) non ordinaria dottrina; la fama di entrambi, e gli elogi che ognora da questi ridondano mi avean fatti conoscere i pregi della di Lei persona. Il desiderio che m’anima di farmi noti, ed amici gli vuomini (sic) datene, e tutti i saggi, che tentano e s’afi’atican di accrescerò il comune patrimonio dell’arti e dello scienze, per l’intiera Letteraria República, furono i primi impulsi e le prime cagioni, che mi spingeano a rendergli manifesti i miei sentimenti. 1 vincoli poscia indissolubili, e sacri, di una ame ignota, ma avventurosissima parentela,2 che fortunato a Lei mi congiunge, mi fecero in sull’istante troncare ogn’importuno ritegno, e con ragione importuno e intempestivo lo credo, giacche1 conscio pur sono del suo gentilo carattere, e del dolce, pacifico suo Genio. 8’ io scrivere dovuto avessi ad un Politico, o ad un Guerriero, mi sarei contentato di profumare il primo con lodi esagerate e bugiardo proclamandolo saggio in mezzo ai vizi che circondano il Trono, e in mezzo alle bramo dei cortigiani gabinetti; o paragonato avrei il secondo al sapiente Voban, che vince col silenzio dello [p. 10 modifica]studio d’Archimede, e a Montecuccoli, e a Turrena terribili Scipioni in campo illustre di Marte, e magnifici Luculli nei cari ozi della pace. Se poi od un Principe, o ad un Federico, mi sarebbe stato d’uopo colla penna di Racine, con quella medesima penna che fu la delizia della Corte di Luigi XIV, ritrattar questo Sovrano come il Filosofo del suo Secolo, o come lo specchio dei Principi agl’occhi puranco del più rigido Aristarco; in ciò oh! la strana vilenza (sic), che avrebbe soferta la mia indole, e il buon senso! Qual vasto apparato di favole milesie, o di gotica barbarie avrei dovuto pingere con affettati colori per far scender Tersite dalla stirpe d’Achille, e Marsano dal sangue di Rinaldo! Ma io scrivo ad un giovane valoroso, che spinge rapidi e franchi i nobili suoi passi, per la cariera (sic) di Minerva ed Appolline (sic), traendo i suoi giorni fra il lume, che trasparve un dì dalle selve del Tuscolo, ed Arcadia; io scrivo ad un Genio, che tutte abborrisce le lodi cortigiane, e fallaci, e tutta comprende l’effemminata galanteria dei nostri petis (sic) Maitres piena d’inutili smorfie, di simulate espressioni, o insieme di mordaci censure por Madama, e per Monsieur. Laonde gli dovrei dir con Orazio,

Si potes arcaicis conviva recumbere lectis,
Nec modica cenare times olus omne patella
Supremo te Sole dorai, Torquate, manebo.


Invito capace a lusingare puranche lo stoico Epitteto. Ma io ancor non son degno di un discorso così famigliare, e sol mi appago per ora di nuovamente rinovar le proteste di rispetto, e di stima, che sincero il mio animo a Lei tributa; assai felice se potrò ottenere il suffragio di Colui, che nei più alti gradi della scienza umana avrà meritato un giorno l’ammirazione, e l’applauso di tutta l’Europa. Suo devotissimo Servitore.

Note

  1. Dall’autografo, che è tra le carte Ranieri nella Biblioteca Nazionale di Napoli. — È notabile che la prima lettera dei corrispondenti del Leopardi, che qui comparisce, sia proprio di Terenzio Mamiani (1799-1885), il quale fin dalla sua giovanissima età aveva sentito spontaneamente il bisogno di gersi, con questa letterina nella elaborata eomposiziono deferentissimo, al suo coetaneo illustre, pili che al cugino, prognosticandone l’ammirazione di tutta I’ Europa. Sebbene in questo tempo Giacomo non avesse ancor nulla pubblicato, risulta chiaro dalla presente lettera che la fama e le lodi dei a preclari talenti» e della «non ordinaria dottrina» ili lui eran già abbastanza diffuso, almeno nell’ambito delle citta marchigiane, specio di quello ove risiedevano i parenti dei Leopardi. È spontaneo il pensare che lo lodi ili questa letterina fossero l’eco di quelle ohe particolarmente il marchese Carlo Antici avrà propalato nello sue gite a Pesaro. Si può ilare per certo che Giacomo abbia risposto al giovanissimo zio cugino con quella sollecitudine, garbo o civiltà squisita, ch’eran proprio della sua educazione. Ma non abbiamo ulteriori tracco di corrispondenza epistolare fra loro; o invece rimangono documenti che attestano come in séguito la differenza delle idee filosofico-religiose, e, chissà?, fors’ancho il sospetto in Giacomo che il Mamiani avesse voluto entrare con lui in lizza letteraria o poetica, poterono non disporre favorevolmente il recanatese vorso il posarese. Eppuro questi conservò sempre per Giacomo altissima stima; e ribattozzando il suo Inno ai Patriarchi col titolo di IdiUio, credè doversi scusare della pubblicazione fattane insieme con gli altri Inni sacri, protestando non aver mai avuto la «matta temerità di entrare in lizza con quel miracolo di scrittore r. E in un notevole articolo, pubblicato nella Nuova Antologia l’agosto ’73, istituendo un confronto tra il Leopardi o il Manzoni, giudicò di G. con grande equanimità e pietoso rispetto all’infelicità di lui. Il Leopardi doveva pur ricordare che il Mamiani aveva professato, Bpecie nel ’31, idee o sentimenti patriottici non meno fervidi e sinceri de’ suoi; che se entrambi erano stati eletti deputati all’Assemblea legislativa di Bologna, il Mamiani aveva partecipato attivamente e coraggiosamente a quei moti; e catturato o poi esiliato, aveva dato opera, con gli altri illustri esuli in Francia, al risorgimento italiano. Ma forse appunto l’amicizia colà dal Mamiani contratte con alcuni di quegli esuli, apertamente ostili a Giacomo, e le ideo troppo disformi da quello che specie negli ultimi tempi occuparono la mento del Recanatese, poterono influire sulla non benevola disposizione d’animo di quello verso il filosofo pesarese; e valgono a spiegare l’ironico verso allusivo della Ginestra, e la relativa noticina appóstavi.
  2. II Mamiani era figliuolo di G. F. Mamiani o di Vittoria Montani, sorella ili Maria Teresa Montani in Filippo Antici: quindi cugino in primo grado di Adelaide Antici in Monaldo Leopardi, e zio cugino di Giacomo.