Epigrammi latini/Didaci Vitriolii Epigrammatum - Liber singularis

Didaci Vitriolii Epigrammatum - Liber singularis

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Ai cultori delle lettere latine Epigrammata
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Articolo estratto dal Vessillo d’Italia, gazzetta Vercellese, an. XVII, a. 6.

DIDACI VITRIOLII EPIGRAMMATUM

LIBER SINGULARIS



Et rident stolidi verba Latina Getae
                                   Ovid.


In uno di questi giorni, mentre appena giuntami dalla Posta io stava leggendo la preziosa produzione che qui viene annunziata, ruppi spensieratamente contro una specie di mammifero, che riconobbi tosto per un tal personcino di sesso ambidestro, possessore di una lunga barba, e di due non brevi orecchi, i quali affrontavano ogni artistica precauzione per aprirsi la strada a far atto della loro non poco imponente presenza. Noto a molti costui, e temuto, perchè tempestator instancabile di parole, e narrator inesausto di avventure, siccome stato sino ai confini del Mondo, cioè sino a Parigi, dove tutto aveva trovato bello; ragione per cui doveva trovar tutto brutto in Italia al suo ritorno.

E piantatomisi nel cospetto, fermo su le sue gambe anteriori alzò non senza qualche sforzo il mento per livellare alla stessa linea orizzontale il suo raggio visivo col mio.

Giacchè tutti sono al fatto della moda trionfante nell’anno corrente della fruttifera Incarnazione: moda che obbliga a coprirci, o di un cappellinetto non più alto di un mezzo fungo, e non più largo di uno scudo: o di un tubo gigante e turrito come quello della Dea Cibele. Con la condizione severa però, [p. 11 modifica]che entrambi questi pilei debbano lasciare scoperti certi occipizii lisci e lucidi come specchi di Venezia; e che per l’opposto vi discendano dalla fronte giù sin sul naso, sì che dobbiate alzarlo ad un angolo ben ottuso per servirvi della vista, come que’ ciechi di cui parla Dante. Oh non è vero, che Dio. — Os homini sublime dedit, Coelumque tueri Iussit!

E qui, il nostro individuo, toltomi di mano con leziosa disinvoltura il libriccino. — In che idioma da Cristiano, mi disse, è scritta questa bazzecola? Ah! l’indovino: è Latinorum. E chi si sogna ancora di questi rancidumi al nostro tempo? — E cominciò a spiegazzare i pochi fogli, ed a leggicchiare alcuni di cotesti mirabili Epigrammi con tanto sgangherata poltroneria, e con tanto belluina sgarbatezza di metro, che non è vero, che mai Tedesco alcuno strambellasse peggio la poesia.

Quando, risposi io all’homuncolo poco sullodato, non si sa una Lingua (e voi mi avete l’aria di non saperne molte), invece di disprezzo, il pudore insegna di mostrare almeno qualche rincrescimento di non averla imparata. Specialmente quella dei nostri grandi antenati, nella quale sfolgoreggia la più celestiale armonia fra tutte, per chi ha il timpano un po’ meglio organizzato che quello dei paracarri. Non intenderla, pazienza; chè non è cosa da tutti. Ma non saperla leggere! Arri!

In questa, il mio vagheggino, voltatemi leggiadramente le groppe, e balenando su le anche muliebri a guisa di cutreccola, mi fè lieto della sua lontananza — Et avertens rosea cervice refulsit.

Oh animal grazïoso e benigno! dissi, contemplandone l’Afrodisio portamento; e respira! Ora dirigendomi agl’intelletti sani, sappiasi, che il volumetto del Vitrioli è una delle rare buone cose che si scrivano ai nostri giorni, e dissimile affatto da migliaia le quali nascono, vagiscono un momento, e muoiono. Cotesti epigrammi rimarranno. E perchè l'esimio Autore [p. 12 modifica]è bastantemente conosciuto, io prima di leggere questo suo nuovo lavoro, ne aveva, mancomale, già formato un giudizio preventivo molto favorevole, cioè giusto. E sapete anche il perche? Perchè io feci il seguente ragionamento. Il mio illustre Sani loda come eccellenti questi versi del gagliardo Calabrese: dunque non voglio altra testimonianza per giudicarli roba squisita. Il mio illustre Sani è amico del Vitrioli? Dunque il Vitrioli non può mancare di essere il fiore de’ galantuomini. Faccia Aristotele entimemi più giusti de’ miei. Lo sfido.

In questi epigrammi domina.... Ma perchè mi crediate, voglio citarne un solo, quello cioè in morte di un fanciullo molto devoto della Vergine: epigramma che innamorerebbe un Turco:

«Non mors languidulos Hyacintho pressit ocellos:
     Dormit, et in somnis Virginis ora videt.
Que jam nascenti adrisit, nunc brachia tendit.
     Labraque nunc labris admovet illa suis.
Non mors labentes Hyacintho clausit ocellos:
     Dormit, et in somnis Virginis ora videt.»

Qui, come vedete, v'è un tal lepore delicato di Classica Latinità, che è un incanto. E specialmente, se mi appongo, di quella di Ovidio, il quale per me è la più ricca e splendida fantasia del mondo. Ma sento un — Oh lungo e roco — di disapprovazione. Oh Farfarelli e Rubicanti pazzi! Beati voi se sapeste saporare le Metamorfosi! E Ceice, e Aracne, e Bauci, e Filemone, e Niobe, e Piramo, e Tisbe, e mille altre sovrumane creazioni! Or sanno anche cotesti Draghignazzi, che Ovidio è nello stesso tempo il più grande degli Oratori? — Nol credono? Ebbene, presentino a qualunque Tribunale l’orazione di Ajace; e le armi di Achille gli saranno subito aggiudicate. Presentino quindi quella di Ulisse, ed Ulisse ne è l'erede infallibilmente. Prodigio unico di Eloquenza! [p. 13 modifica]

E chi sa, che qualche somarello amante più de’ forestieri che dei concittadini, non mi venga fra piedi a lodarmi un Oweno Inglese che scrisse anche Epigrammi latini! E che sanno di buon Latino gl’Inglesi, i Tedeschi, i Francesi? E che mal vezzo è quello di predicare fra noi le Edizioni de’ Classici Latini, e le Grammatiche delle Lingue nobili compilate dai Blunds, dai Stolks, dai Pfiffer, dai Kraisser, dai Sgrimper? E chi dà il diritto a cotesti Sicambri di sapere il Greco ed il Latino meglio di noi? Oh, come mi sento il pizzico di rammentare un certo distico Leonino improvvisato da un bravo Italiano per confondere un forestiere che vantava i versi latini di un suo connazionale al. di sopra di quelli composti dai nostri! Non dovrei, ma siamo di Carnevale. Vada-Eccolo.

«Carmina vestrates que condunt optima vates
     Non sunt nostrates tergere digna nates1

Conchiudo con un bravo altitonante all’egregio Vitrioli, e con un ringraziamento, ma di sincerissimo cuore, al mio onorando Sani pel caro regalo di così gradito libretto! Ed implorando dal buon senso comune (chè dee esservene ancora nel [p. 14 modifica]mondo) una fischiata che duri almeno un’ora tutti i giorni sino alla consumazione de’ secoli, in onore e gloria degli orecchiuti stizzosi, i quali vorrebbero l’Italia a parte della loro asinina avversione alla Lingua imperatrice delle favelle, e Legislatrice dell’Universo, mando un fraterno saluto in sermon prisco ai due illustri Letterati, così: Iddio lor dea la buona Pasqua e le buone Kalendi oggi e tuttavia!

Prof. C. Baggiolini.



Traduttori degli epigrammi indicati colle iniziali de’ lor nomi


S. Cav. Pietro Bernabò Silorata.
B. Prof. Fr. D. Blancardi.
Bal. Pier Felice Balduzzi.
C. Ingegnere Edoardo Cerillo.
D. Prospero Del Rio.
M. D. Mongiardini.
  1. A tal proposito lo stesso enciclopedico Baggiolini scrivea nel Vessillo: «Non sanno, che da quando la tedescheria puzza al mondo, non uno de’ suoi pesanti autori compose solamente dieci linee paragonabili a quelle del Vitrioli.» E nel num. 44, serie III:
    «Vogliono farci imparar il Latino col Sanscrito. Oh di questa pazzia voglio darne un cenno al mio Diego Vitrioli, che il Latino può insegnarlo a cento Lamagne, donde venne questa stolida maledizione; ed a venti Toscane sopramercato.» E nel num. 49, serie III:
    «È vero che Cicerone, Livio, ed altri sapevano passabilmente un pò di Latino, e non avevano mai saputo una parola di quel linguaggio zingaresco: è vero che il mio Diego Vitrioli, che sa il Latino più di tutti i presenti, passati e futuri professori, non ne sa un’acca.»