El libro dell'amore/Oratione VI/Capitolo I
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Qui fece fine Carlo Marsupini: dipoi Tommaso Benci, diligente imitatore di Socrate, con allegro animo e lieta faccia prese a comentare le parole socratiche così dicendo.
El nostro Socrate, giudicato dallo oracolo d’Appolline sapientissimo di tutti e Greci, soleva dire sé fare professione dell’arte amatoria più che d’alcuna altra; quasi voglia dire che per la peritia di questa arte e Socrate, e qualunque altro, fussi da essere giudicato sapientissimo. Questa tale arte non ebbe da Anaxagora, Damone, Archelao fisici, non da Prodico Chio e Aspasia retorici, non da Conno musico, da’ quali molte cose aveva apparato, ma diceva averla da Diotima divinatrice quando era tocca da spirito divino.
E secondo el mio giudicio, voleva mostrare che solamente per ispiratione divina potevano gli huomini intendere che cosa fussi la vera bellezza, e quello che fussi el legiptimo amore, e in che modo si dovessi amare, tanta è la potentia e sublimità della facultà amatoria. Da queste celesti vivande adunque state discosti, state dico discosti o impii, e quali involti nelle fecce terrene, e al tutto a Bacco e a Priapo divoti, l’amore che è dono celeste abbassate in terra e in loto ad uso di porci. Ma voi castissimi convivanti, e tutti gli altri consecrati a Pallade e Diana, e quali per la libertà del purissimo animo e perpetuo gaudio della mente siate in giubilo, e divini misterii da Diotima a Socrate revelati con diligentia ascoltate.
Ma innanzi che voi udiate Diotima è da solvere una certa questione, la qual nasce tra quegli che di sopra hanno tractato d’Amore e quegli che hanno di sotto a tractare. Imperò che quegli che di sopra ne hanno disputato chiamorono l’Amore bello, buono, beato e iddio; il che a Socrate e Diotima non piace, ma pongonlo in mezzo tra bello e brutto, buono e malo, beato e misero, iddio e huomo. Noi approviamo l’una e l’altra sententia, benché l’una per una ragione e l’altra per un’altra.