El libro dell'amore/Oratione II/Capitolo VIII
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Ma voi o amici conforto e priego che con tutte le forze abbracciate lo amore, che è sanza dubbio cosa divina. E non vi sbigottisca quello che d’un certo amante disse Platone, el quale veggendo uno amante disse «quello amatore è uno animo nel proprio corpo morto, nel corpo d’altri vivo». Né ancora vi sbigottisca quello che della amara e miserabile sorte degli amanti canta Orpheo. Queste cose come s’abbino ad intendere, e come si possa rimediare, io ve’ l dirò, ma priegovi che diligentemente m’ascoltiate.
Platone chiama l’amore amaro, e non sanza cagione, perché qualunque ama amando muore; e Orpheo chiamò l’amore uno pomo dolce amaro: essendo lo amore volontaria morte, in quanto è morte è cosa amara, in quanto volontaria è dolce. Muore amando qualunque ama, perché el suo pensiero, dimenticando sé, nella persona amata si rivolge. Se egli non pensa di sé, certamente non pensa in sé, e però tale animo non adopera in sé medesimo, con ciò sia che la principale operatione dell’animo sia el pensare. Colui che non adopera in sé, non è in sé, perché queste due cose, cioè l’essere e l’operare, insieme si ragguagliano: non è l’essere sanza l’operare, l’operare non excede l’essere; non adopera alcuno dove e’ non è e dovunque egli è adopera. Adunque non è in sé l’animo dello amante da poi che in sé non opera. S’egli non è in sé, ancora non vive in sé medesimo; chi non vive è morto e però è morto in sé qualunque ama, o viv’egli almeno in altri. Sanza dubio due sono le spetie d’amore, l’uno è semplice, l’altro è reciproco. L’amore semplice è dove l’amato non ama l’amante; quivi in tutto l’amatore è morto, perché non vive in sé, come mostrammo, e non vive nello amato essendo da lui sprezzato. Adunque dove vive? Viv’egli in aria, o in acqua, o in fuoco, o in terra o in corpo di bruto? No, perché l’animo humano non vive in altro corpo che humano. Vive forse in qualche altro corpo di persona non amata? Né qui ancora, imperò che se non vive dove vehementemente vivere desidera, molto meno viverà altrove. Adunque in nessuno luogo vive chi ama altrui e non è da altrui amato, e però interamente è morto el non amato amante, e mai non risuscita, se già la indegnatione no ’l fa risuscitare.
Ma dove l’amato nello amore risponde, l’amatore almen che sia nello amato vive. Qui cosa maravigliosa adviene quando due insieme s’amano: costui in colui e colui in costui vive. Costoro fanno a cambio insieme e ciascuno dà sé ad altri per altri ricevere. E in che modo e’ dieno sé medesimi si vede, perché sé dimenticano; ma come ricevino altri non è sì chiaro, perché chi non ha sé, molto meno può altri possedere. Anzi l’uno e l’altro ha sé medesimo, e ha altrui, perché questo ha sé ma in colui, colui possiede sé ma in costui. Certamente mentre che io amo te amante me, io in te cogitante di me ritruovo me, e me da me medesimo sprezzato in te conservante racquisto; quel medesimo in me tu fai. Questo ancora mi pare maraviglioso: imperò che io, da poi che me medesimo perdetti, se per te mi racquisto, per te ho me. Se per te io ho me, io ho te prima e più che me, e sono più ad te che a me propinquo, con ciò sia che io non m’accosto a me per altro mezzo che per te. In questo la virtù di Cupidine dalla forza di Marte è differente: perché lo imperio e l’amore così sono differenti. Lo ’mperadore per sé altri possiede, l’amatore per altri ripiglia sé, e l’uno e l’altro degli amanti di lungi si fa da sé e propinquo ad altri, e in sé morto in altri risuscita. Una solamente è la morte nell’amore reciproco, le resurretioni sono due; perché chi ama muore una volta in sé quando si lascia, risuscita subito nello amato quando l’amato lo riceve con ardente pensiero, risuscita ancora quando lui nello amato finalmente si riconosce e non dubita sé essere amato. O felice morte alla quale seguitano due vite! O maraviglioso contracto nel quale l’uomo dà sé per altri, e ha altri, e sé non lascia! O inestimabile guadagno quando due in tal modo uno divengono, che ciascheduno de’ dua per uno solo diventa due, e come raddoppiato, colui che una vita aveva, intercedente una morte, ha già due vite; imperò che colui che essendo una volta morto due volte resurge, sanza dubbio per una vita due vite e per sé uno due sé acquista. Manifestamente nell’amore reciproco giustissima vendetta si vede. L’omicidiale si de’ punire di morte; e chi negherà colui che è amato essere micidiale, con ciò sia cosa che l’anima dallo amante seperi? E chi negherà lui similmente morire, quando lui ama similmente l’amante? Questa è restitutione molto debita, quando costui a colui, e colui a costui rende l’anima che già tolse. L’uno e l’altro amando dà la sua, e riamando per la sua restituisce l’anima d’altri; per la qual cosa per ragione debba riamare qualunque è amato, e chi non ama l’amante è in colpa d’omicidio, anzi è ladro, omicidiale e sacrilego. La pecunia dal corpo è posseduta, e ’l corpo dall’animo; adunque chi rapisce l’animo dal quale e il corpo e la pecunia si possiede, costui rapisce insieme l’animo, el corpo e la pecunia, il perché come ladro, omicidiale e sacrilego si debba a tre morti condannare, e come infame e impio può sanza pena da ciascuno essere ucciso; se già lui medesimo spontaneamente non adempie la legge, e questo è ch’egli ami l’amante suo; e così faccendo egli con quello che una volta è morto similmente una volta muore, e con colui che due volte risuscita lui due volte ancora risuscita. Per le ragioni predecte abbiamo dimostro l’amato dovere riamare l’amante suo. Di nuovo non solamente dovere, ma essere costrecto così si mostra. L’amore nasce da similitudine; la similitudine è una certa qualità medesima in più subiecti, sì che se io sono simile ad te, tu per necessità se’ simile a me; e però la medesima similitudine che constrigne me ch’io t’ami, constrigne te a me amare. Oltr’a questo l’amatore sé toglie a sé e all’amato si dà, e così diventa cosa dell’amato; l’amato adunque ha cura di costui come di cosa sua, perché a ciascuno sono le sue cose care. Aggiugnesi che l’amante scolpisce la figura dello amato nel suo animo. Doventa adunque l’animo dell’amante uno certo specchio nel quale riluce la imagine dell’amato, il perché l’amato quando riconosce sé nello amante, è constrecto ad lui amare.