El libro dell'amore/Oratione I/Capitolo IV

Oratione I - Capitolo IV

../Capitolo III ../../Oratione II IncludiIntestazione 22 settembre 2008 75% saggi

Oratione I - Capitolo III Oratione II
Della utilità d’amore.

Abbiamo insino a hora della sua origine e nobiltà parlato; della sua utilità stimo già sia da disputare. Certamente superfluo sarebbe narrare tutti e beneficii che l’amore arreca alla humana generatione, maxime potendo in somma tutti ridurgli. Perché l’uficio della vita humana consiste in questo: che ci scostiamo dal male e accostiànci al bene. El male dell’uomo è quello che è inonesto, e quello che è il suo bene è l’onesto. Sanza dubio tutte le leggi e discipline non d’altro si sforzano che dare agli huomini tali instituti di vita che dalle cose brutte si guardino, e le honeste mandino ad executione. La qual cosa finalmente appena con grande spatio di tempo, legge e scientie quasi innumerabili possono conseguire, e esso semplice amore in brieve mette ad effecto. Perché la vergogna delle cose turpe, cioè brutte, rimuove, e il desiderio dell’essere excellente alle honeste gli huomini tira. Queste due cose non per alcuno altro modo che per amore possono gli huomini con più facilità o prestezza conseguire. Quando noi diciamo amore, intendete desiderio di bellezza, perché così apresso di tutti e philosaphi è la diffinitione d’amore; e la bellezza è una certa gratia la qual maximamente el più delle volte nasce dalla conrispondentia di più cose; la qual conrispondentia è di tre ragioni. Il perché la gratia che è negli animi è per la conrispondentia di più virtù; quella che è ne’ corpi nasce per la concordia di più colori e linee. Ancora gratia grandissima ne’ suoni per la consonantia di più voci apparisce. Adunque di tre ragioni è la bellezza: cioè degli animi, de’ corpi e delle voci. Quella dell’animo con la mente solo si conosce; quella de’ corpi con gli occhi; quella delle voci non con altro che con gli orecchi si comprende. Considerato adunque che la mente, el vedere e l’udire sono quelle cose con le quali sole noi possiamo fruire essa bellezza, e l’amore di fruire la bellezza desiderio sia, l’amore sempre della mente, occhi e orecchi è contento. Or che gli fa bisogno d’odorare, di gustare o di toccare, con ciò sia che questi sensi non altro che odori, sapori, caldo e freddo, molle e duro o simil cose comprendino? Nessuna di queste cose adunque, da poi ch’elle sono semplice forme, è la bellezza humana; maxime considerato che la pulcritudine del corpo humano richiegga concordia di varii membri, e l’amore riguardi la fruitione della bellezza come suo fine. Questa solo alla mente e al vedere e allo udire s’apartiene. Lo amore adunque in queste tre cose si termina.

E lo appetito che gli altri sensi seguita non amore, ma piuttosto libidine o rabbia si chiama. Oltre ad questo, se lo amore inverso lo huomo desidera essa bellezza humana, e la bellezza del corpo humano in una certa conrispondentia consiste, e la conrispondentia è certa temperantia, seguita che non altro appetisca amore se non quelle cose le quali sono temperate, modeste e onorevoli. Sì che e piaceri del gusto e tacto che sono voluptà, cioè piaceri tanto vehementi e furiosi che la mente del proprio stato rimuovono, e l’uomo perturbano, non solo non le desidera amore anzi l’ha in abbominatione, e quelle fugge come cose che per la loro intemperanza sono contrarie alla bellezza. La rabbia venerea, cioè luxuria, tira gli huomini alla intemperanza, e per conseguente alla inconrispondentia; il perché similmente pare che alla deformità, cioè bruttezza, gli huomini tiri, e amore alla bellezza: la deformità e la pulchritudine sono contrarii.

Questi movimenti adunque che alla deformità e pulchritudine ci rapiscono, medesimamente appariscono intra loro essere contrarii. Per la qual cosa l’appetito del coito e lo amore non solamente non sono e medesimi moti, ma essere contrarii si mostrano. E questo testificano gli antichi theologi e quali a Dio el nome d’Amore hanno attribuito. La qual cosa ancora e cristiani theologi sommamente confermano, e nessuno nome comune con le cose disoneste è conveniente a Dio. E però ciascuno che è d’intellecto sano si debba guardare che l’amore, certamente nome divino, alle stolte perturbationi scioccamente non transferisca. Vergognisi adunque Dicearco e qualunque altro ha ardire di riprendere la maestà di Platone, che abbi troppo allo amore attribuito. Imperò che agli affecti onesti, onorevoli e divini, non solamente troppo, ma abastanza mai attendere non possiamo. Di qui nasce che ogni amore è onesto e ogni amatore è giusto, perché ogni vero amore è bello e condecente, e propriamente le cose a sé simili ama. Ma lo sfrenato incendio dal quale agli acti lascivi siamo tirati, con ciò sia che egli tragga alla deformità, giudicasi alla bellezza essere contrario. Acciò che adunque noi ritorniamo qualche volta alla utilità d’amore, el timore della infamia che dalle cose inoneste ci discosta, e el desiderio della gloria che alle honorevoli imprese ci fa caldi, agevolmente e presto da amore procedono. E prima perché amore appetisce le cose belle, sempre le laudabili e magnifiche desidera; e chi ha in odio le deforme, necessario è che le disoneste e spurche sempre fugga. Ancora se due insieme s’amano, l’uno all’altro con diligentia attendono, e doversi piacere scambievolmente desiderano: in quanto l’uno dall’altro è atteso, come quegli che mai non mancano di testimonianza, sempre si guardano dalle disoneste cose; in quanto ciascuno di piacere all’altro s’ingegna, sempre con ogni sollecitudine e diligentia alle magnifiche si mettono, acciò che e’ non sieno a disprezzo alla persona amata, ma d’essere degni di reciproco amore si stimino. Ma questa ragione copiosissimamente la dimostra Phedro, e pone tre exempli d’amore: uno di femmina di maschio innamorata, dove parla d’Alceste moglie di Admeto, la qual fu contenta morire pe’ l suo marito; l’altro di maschio innamorato di femmina, come fu Orfeo di Euridice; terzo di maschio a maschio come fu Patroclo d’Achille, dove dimostra nessuna cosa quanto amore rendere gli huomini forti. Ma l’allegoria d’Alceste o d’Orfeo al presente non ricercheremo; imperò che queste cose, narrandole come storie, molto più mostrano la forza e lo ’mperio d’amore che volendo a quelle sensi allegorici dare. Adunque confessiamo al tutto che Amore sia iddio grande e mirabile; ancora nobile e utilissimo, e in tal modo allo amore opera diamo che del suo fine, che è essa bellezza, rimaniamo contenti.

Questa bellezza con quella parte solo con la quale è conosciuta si fruisce, con la mente e col vedere e con l’udire la conosciamo. Adunque con questi tre la possiamo fruire; con gli altri sensi non la bellezza, la quale desidera amore, ma più tosto qualche altra cosa che fa bisogno al corpo possediamo. Con questi tre adunque la bellezza cercheremo, e per quella che si mostra ne’ corpi o nelle voci, come per certi vestigi, cioè mezzo conveniente, quella dell’animo investighereno. Lodereno la corporale e quella approvereno, e sempre ci sforzereno d’observare che tanto sia l’amore quanto sia essa bellezza; e dove non l’animo ma solo el corpo fussi bello, quello come ombra e caduca imagine della bellezza appena e leggermente amiamo; dove solamente fussi l’animo bello, questo perpetuo ornamento dell’animo ardentemente amiamo; e dove l’una e l’altra bellezza concorre, vehementissimamente piglieremo admiratione. E così procedendo dimostreremo che noi siamo in verità famiglia platonica, la qual certamente non altro pensa che cose liete, celeste e divine. E questo basti quanto alla oratione di Phedro. Adunque vegnamo a Pausania.


QUI FINISCE LA I ORATIONE E COMINCIA LA II