El libro dell'amore/Oratione I/Capitolo II

Oratione I - Capitolo II

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Della regola di lodare l’amore e della sua dignità e grandezza.

Gratissima sorte, optimi convitati, oggi a me tocca, per la quale è accaduto che io Phedro Mirrinusio rapresenti. Io dico quel Phedro, la familiarità del quale tanto stimò Lisia tebano, sommo oratore, che con oratione diligentissimamente composta renderselo benivolo si sforzò. La cui apparentia fu a Socrate di tanta admiratione, che già appresso al fiume Ilisso, dallo splendore d’essa commosso e più altamente elevato, cantò mysterii divini; il quale innanzi non solamente delle cose celesti, ma ancora delle terrene diceva sé essere ignorantissimo. Dello ingegno del quale tanto dilecto pigliava Platone, che e primi fructi degli studii suoi a Phedro mandò; a questo gli epigrammi, ad costui l’elegie di Platone, ad questo el primo libro di Platone che tractò della bellezza, el quale Phedro si chiama. Con ciò sia adunque che io simile a Phedro sia suto giudicato, non certamente da me, perché tanto non mi attribuisco, ma dal caso della sorte, la qual cosa da voi è suta approvata, con questi felici auguri la sua oratione volentieri imprima interpreterò, dipoi quello che al vescovo e al medico toccava, secondo la facultà dello ingegno, metterò ad executione. Tre parti in ogni cosa considera qualunque platonico philosopho: di che natura sono quelle cose che gli vanno innanzi, di che quelle che l’accompagnano, e così quelle che seguitano dipoi. E se queste parti essere buone appruova, essa cosa loda, e così per contrario. Quella adunque è laude perfecta la quale l’antica origine della cosa racconta, narra la forma presente e dimostra e fructi futuri. Dalle prime parti ciascuna cosa di nobiltà si loda, dalle seconde di grandezza, dalle terze di utilità. Il perché per quelle tre parti nelle lode queste tre cose si concludono: nobiltà, grandezza e utilità. Per la qual cosa el nostro Phedro, principalmente contemplato la presente excellentia d’Amore, grande iddio lo chiamò. Sobgiunse: agli huomini e gli dii degno d’ammiratione. E non sanza ragione, con ciò sia che noi propriamente delle cose grandi pigliamo admiratione. Colui veramente è grande allo imperio del quale tutti gli huomini e tutti gli dii, secondo che si dice, si sottomettono; imperò che apresso agli antichi, così gli dii come gli huomini s’innamorano. La qual cosa Orpheo e Esiodo insegnano quando dicono le menti degli huomini e degli dii da Amore essere domate. Dicesi ancora essere degno d’admiratione, perché ciascuno quella cosa ama, per la bellezza della quale si maraviglia. Certamente gl’iddii, o vero angeli come vogliono e nostri theologi, maravigliandosi della bellezza divina, quella amano, e similmente adviene agli huomini di quella de’ corpi. Questa certamente è laude d’amore, che si trahe dalla sua presente excellentia che esso accompagna. Dipoi dalle parte che gli vanno innanzi Phedro lo loda, quando afferma Amore essere antiquissimo di tutti gl’iddii, dove risplende la nobiltà d’Amore, quando la sua prima origine si narra. Terzo, lo loderà dalle cose che seguitano, dove apparirà la sua maravigliosa utilità. Ma imprima dell’antica e nobile sua origine, appresso della sua futura utilità disputereno.