Edipo Coloneo (Sofocle - Giusti)/Atto quinto/Scena II

Atto quinto, scena II

../Scena I ../Scena ultima IncludiIntestazione 11 aprile 2022 100% Teatro

Sofocle - Edipo Coloneo (406 a.C.)
Traduzione dal greco di Giovanni Battista Giusti (1819)
Atto quinto, scena II
Atto quinto - Scena I Atto quinto - Scena ultima

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SCENA II.


ANTIGONE ISMENE e detti

antigone.

Oh noi meschine! Oh Dio! oh Dio! che giova
Se non avrem più a piangere le dure
Pene d’un padre, il cui reo sangue scorre
In queste vene, e per cui tanti abbiamo
Travagli tollerati? Altri or ne tocca
Ben altri a sostener.
coro.
Quai dunque?
antigone.
Oh! cari
Difficil cosa è immaginarli.
coro.
Edipo1

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Di tal morte morì che a voi piacente
Pur sarebbe. Non già preda di Marte
O di Nettuno ei fu; ma tenebrose
Regïoni l’accolsero con nuova
Specie di morte.
antigone.
O sventurate noi!
Qual mai fatale tempestosa notte
Mi sta sugli occhi! In qual solinga terra,
Per quali errando andremo immensi mari
Con lunghi stenti a procacciar la vita?
ismene.
Nol so. Me pur l'insazïabil Orco
Così colpisse, che col vecchio padre
Morissi! che assai più che morte grave
Fia la vita che a vivere mi avanza.
coro.
O divine fanciulle, ancor che degne2
Di miglior sorte, pur sommessamente
Ciò che mandan gli Dei soffrire è forza,

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Nè per soverchio affanno abbandonarsi.
antigone.
Avean qualche ristoro i mali miei;
E, benchè fusse di dolore obbietto
L’affannosa sua vita, e’ m’era dolce
L’averlo vivo! — O amato padre, o padre,
Di sempiterne tenebre coperto
E per sempre sotterra tu che vecchio
Caro mi fusti e caro ognor sarai!
coro.
Dunque compì?
antigone.
Quel ch’egli volle.
coro.
E volle?
antigone.
Morir, come a lui piacque, in forestiera
Terra, ove à tomba sempre ignota, a noi
Lasciando interminabile dolore.
No, caro padre mio, no mai questi occhi

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Non rimarran dal piangere; nè tempo
Minuirà giammai l'aspro tormento
Della partenza tua. Ah! non dovevi
No, morir non dovevi in peregrina
Terra così da tutti abbandonato!
ismene.
E di me sventurata e sola e priva3
D’ogni soccorso che sarà? Qual fia
Il nostro fato, or che noi siam del padre
Orbate entrambe?
coro.
Or via, poi ch’egli sciolse
Felicemente i lacci della vita,
Cessate il pianto: chè su questa terra
Alcun non v’à che sia dei mali ignaro.
antigone.
Andiam, sorella.
ismene.
Ed a qual fin?

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antigone.
Desio...
ismene.
Che?
antigone.
Di veder la tomba...
ismene.
E qual?
antigone.
Del padre.
ismene.
Ciò non lice. Non vedi...
antigone.
E tu vorresti
Contrastarmi...
ismene.
Non pensi...
antigone.
E che vuoi dire?

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ismene.
Che senza tomba si morì, diviso
Da tutti noi.
antigone.
Là dunque mi conduci,
E là m’uccidi.
ismene.
Ahi! lassa, e qual sì sola
E nuda di consiglio io mi trarrei
Misera vita?
coro.
Ogni timor sgombrate.
antigone.
Ove fuggir?
coro.
Dove fuggiste in pria,
Onde sottrarvi a tanti mali.
antigone.
Io penso...

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coro.
Che?
antigone.
Di tornarmi alle paterne case;
Ma per qual via?
coro.
Non le bramar, che piene
Son di gravi sciagure.4
antigone.
Ah! sempre il furo
Oltre ogni fede, e di presente ancora.
coro.
Ne sareste sommerse.
antigone.
È ver.
coro.
Pur troppo.
antigone.
Dove dunque n’andremo? E di che speme,
O giusto Giove, ne conforti il core?

Note

  1. [p. 161 modifica]Quì è varia ne’ varj codici la distribuzione delle parti ne’ personaggi. Si è prescelta questa come più naturale e per nulla affettata.
  2. [p. 161 modifica]Queste parole sono poste nell’ultimo verso della parlata. Si è fatta questa diversa collocazione sembrando che la richiegga il senso; non senza sospetto che anche in questo passo il testo sia poco corretto.
  3. [p. 161 modifica]Qui il testo è mancante. Si sono così disposte le parole onde cavarne un qualche senso.
  4. [p. 161 modifica]Si è adottata questa lezione perchè la comune, se non è priva di senso, è certamente oscurissima.