Doveri dell'uomo (1860)/X
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X.
Associazione — Progresso.
Dio v’ha fatti sociali e progressivi. Voi dunque avete dovere d’associarvi e di progredire quanto comporta la sfera d’attività, nella quale le circostanze vi collocarono, e avete diritto a che la società alla quale appartenete non v’impedisca nella vostra opera d’associazione e di progresso, v’aiuti in essa e vi supplisca, quando i mezzi d’associazione e di progresso vi manchino.
La libertà vi dà facoltà di scegliere fra il bene ed il male, cioè fra il dovere e l’egoismo. L’educazione deve insegnarvi la scelta. L’associazione deve darvi le forze colle quali potrete tradurre la scelta in atto. Il progresso è il fine a cui dovete mirare scegliendo, ed è ad un tempo, quando è visibilmente compito, la prova che non v’ingannaste nella scelta. Dove una sola di queste condizioni è tradita o negletta, non esiste uomo, nè cittadino, o esiste imperfetto o inceppato nel suo sviluppo.
Voi dunque dovete combattere per tutte, e segnatamente pel diritto d’Associazione, senza il quale la Libertà e l’Educazione riescono inutili.
Il diritto d’Associazione è sacro, come la Religione ch’è l’associazione delle anime. Voi siete tutti figli di Dio: siete dunque fratelli; e chi può senza delitto limitare l’associazione, la comunione fra fratelli?
Questa parola comunione, ch’io ho proferita pensatamente, vi fu detta dal Cristianesimo, che gli uomini dichiararono, nel passato, religione immutabile e non è se non un gradino sulla scala delle manifestazioni religiose dell’Umanità. Ed è una santa parola. Essa diceva agli uomini che erano una sola famiglia d’eguali in Dio; e riuniva il signore e il servo in un solo pensiero di salvezza, di speranza e di amore nel Cielo.
Era un immenso progresso sui tempi anteriori, quando popolo e filosofi credevano l’anime dei cittadini e degli schiavi essere di diversa natura. E bastava al Cristianesimo quella missione. La comunione era il simbolo dell’eguaglianza e della fratellanza dell’animo; e spettava all’Umanità d’ampliare e sviluppare la verità nascosta in quel simbolo.
La Chiesa nol poteva e nol fece. Timida e incerta a principio, alleata coi Signori e col potere temporale più dopo e imbevuta, anche per utile proprio, d’una tendenza all’aristocrazia che non era nello spirito del fondatore, essa smarrì di tanto la via che diminuì, retrocedendo, il valore della Comunione, limitandola pei laici alla comunione nel solo pane e serbando ai sacerdoti la comunione sotto le due specie.
D’allora in poi, il grido di quanti sentivano il diritto d’una comunione illimitata, senza distinzione fra ecclesiastici e laici, per tutta quanta la famiglia umana, fu: comunione sotto le due specie al popolo: il calice al popolo! Nel XV secolo, quel grido fu grido di moltitudini sollevate, preludio alla Riforma religiosa santificato dal martirio. Un santo uomo, Giovanni Huss di Boemia, capo di quel moto, perì tra le fiamme accese dall’Inquisizione. Oggi i più tra voi ignorano la storia di quelle lotte e le credono lotte di fanatici per questioni semplicemente teologiche. Ma quando la Storia fatta popolare dell’educazione Nazionale v'avrà insegnato come ogni progresso nella questione religiosa trascini un progresso corrispondente nella vita civile, intenderete il giusto valore di quelle contese, e onorerete la memoria di quei martiri come di vostri benefattori.
Noi dobbiamo a quei martiri e a quei che li precedettero se oggi sappiamo che non v’è casta privilegiata tra Dio e gli uomini; che i migliori per virtù e per sapienza di cose divine ed umane possono e devono consigliarci e dirigerci sulle vie del bene, ma senza monopolio di potenza o supremazia di classe; e che il diritto di comunione è eguale per tutti. Ciò ch'è santo nel Cielo è santo sulla Terra. E la Comunione degli uomini in Dio porta con sè l’associazione degli uomini nella vita terrestre. L’associazione religiosa delle anime genera il diritto dell’associazione nelle facoltà e nell’opere che fanno realtà del pensiero.
Sia dunque l’Associazione dovere e diritto per voi.
Taluni a limitarne il diritto fra i cittadini, vi diranno che l’associazione è lo Stato, la Nazione: che voi ne siete o dovete esserne tutti membri: e che quindi ogni associazione parziale tra voi è o avversa allo Stato o superflua.
Ma lo Stato, la Nazione non rappresentano se non l’associazione dei cittadini in quelle cose, in quelle tendenze che sono comuni a tutti gli uomini che ne sono parte. Esistono tendenze e fini che non abbracciano tutti i cittadini, ma solamente un certo numero d’essi. E come le tendenze e il fine comune a tutti generano la Nazione, le tendenze e il fine comune a parecchi fra i cittadini devono generare l’associazione speciale.
Poi — e questa è base fondamentale al diritto d’associazione — l’associazione è la mallevadoria del Progresso. Lo Stato rappresenta una certa somma, un certo insieme di principii nei quali l’università dei cittadini consente nel periodo in cui lo Stato è fondato. Ponete che un nuovo e vero principio, un nuovo e ragionevole sviluppo delle verità che danno vita allo Stato, s’affaccino a taluni fra i cittadini: come potranno diffonderne, senza associarsi, la conoscenza? Ponete che in conseguenza di scoperte scientifiche, di nuove comunicazioni aperte fra popoli e popoli o d’altra cagione, si manifesti, per un certo numero d’uomini appartenenti allo Stato, un nuovo interesse: come potranno quei che lo intendono primi conquistargli luogo fra gli interessi da lungo esistenti se non affratellando i propri mezzi, le proprie forze? L’inerzia, il riposo nella condizione di cose esistente e sancita dal comune consenso, sono troppo connaturali agli animi, perchè un solo individuo possa, colla sua parola, scoterli e vincerli. L’associazione d’una minoranza di giorno in giorno crescente lo può. L’associazione è il metodo dell’avvenire. Senz’essa, lo Stato rimarrebbe immobile, incatenato al grado raggiunto di civiltà.
L’associazione deve essere progressiva nel fine a cui tende, non contraria alle verità conquistate per sempre dal consenso universale dell’Umanità e della Nazione. Una associazione che s’impiantasse per agevolare il furto dell’altrui proprietà, una associazione che facesse obbligo a’ suoi membri della poligamia, una associazione che dichiarasse doversi sciogliere la Nazione o predicasse lo stabilimento del Dispotismo sarebbe illegale. La Nazione ha diritto di dire a’ suoi membri: noi non possiamo tollerare che si diffondano in mezzo a noi dottrine violatrici di ciò che costituisce la natura umana, la Morale, la Patria. Escite e stabilite fra voi al di là dei nostri confini, l’associazione che le vostre tendenze vi suggeriscono.
L’associazione deve essere pacifica. Essa non può avere altr’arme che l’apostolato della parola: deve proporsi di persuadere, non di costringere.
L’associazione deve essere pubblica. Le associazioni segrete, arme di guerra legittima dove non è Patria, nè Libertà, sono illegali e possono essere sciolte dalla Nazione, quando la Libertà è diritto riconosciuto, quando la Patria protegge lo sviluppo e l’inviolabilità del pensiero. Se l’associazione deve schiudere la via al Progresso, essa dev’essere sottomessa all’esame e al giudizio di tutti.
E finalmente l’Associazione deve rispettare in altrui i diritti che sgorgano dalle condizioni essenziali dell’umana natura. Una associazione che violasse, come le corporazioni del medio evo, la libertà del lavoro o tendesse direttamente a restringere la libertà di coscienza potrebb’essere respinta, governativamente, dalla Nazione.
Da questi limiti in fuori, la libertà d’associazione fra’ cittadini è sacra, inviolabile, come il progresso che ha vita in essa. Ogni Governo che s’attentasse restringerla tradirebbe la missione sociale: il popolo dovrebbe, prima ammonirlo, poi, esaurite le vie pacifiche, rovesciarlo.
E son queste, o miei fratelli, le basi principali sulle quali poggiano i vostri Doveri, le sorgenti dalle quali scendono i vostri Diritti. Infinite sono le questioni speciali che possono sorgere nella vostra vita civile; ma non è parte di questo lavoro prevederle e aiutarvi a scioglierle. Intento unico del mio lavoro era additarvi, come fiaccole sulla via, i principii che devono predominare su tutte e nella severa applicazione dei quali troverete sempre modo di scioglierle. E parmi d’averlo fatto.
V’ho additato Dio come sorgente del Dovere e pegno d’eguaglianza tra gli uomini: — la legge morale come sorgente d’ogni legge civile, e base d’ogni vostro giudizio sulla condotta di chi fa le leggi: — il popolo, voi, noi, l’universalità dei cittadini che formano la Nazione, come il solo legittimo interprete della legge e sorgente d’ogni potere politico.
V’ho detto che il carattere fondamentale della legge è Progresso: progresso, indefinito, continuo d’epoca in epoca: progresso in ogni ramo d’attività umana, in ogni manifestazione del pensiero, dalla religione fino all’industria, fino alla distribuzione della ricchezza.
V’ho accennato quali sono i vostri doveri verso l’Umanità, verso la Patria, verso la Famiglia, verso Voi Stessi. E ho desunto quei doveri dalle condizioni che costituiscono la creatura umana e ch’è obbligo vostro di sviluppare. Quelle condizioni, inviolabili in ogni uomo, sono: libertà, educabilità, socialità, capacità, necessità di progresso. E da quei caratteri senza i quali non esiste uomo nè cittadino, ho desunto i vostri diritti e le condizioni generali del Governo che voi dovete cercare alla Patria.
Non dimenticate mai quei principii. Vigilate a ciò che non siano violati mai. Incarnateli in voi. Sarete liberi e migliorerete.
Il lavoro ch’io ho impreso per voi sarebbe dunque compito, se una tremenda obbiezione non sorgesse dalle viscere della società com’è oggi ordinata contro la possibilità di compiere quei doveri, d’esercitar quei diritti: l’ineguaglianza dei mezzi.
Per compiere doveri, per esercitare diritti, sono necessari: tempo, sviluppo intellettuale, certezza di vita fisica.
Or, moltissimi fra voi non hanno in oggi questi elementi di progresso. La loro vita è una continua incerta battaglia per conquistare i mezzi di sostenere l’esistenza materiale. Non si tratta per essi di progredire; si tratta di vivere.
Esiste dunque un vizio radicale, profondo, nella società com’è in oggi ordinata. E il mio lavoro sarebbe inutile, s’io non definissi quel vizio e non v’additassi la via di correggerlo.
La questione economica sarà dunque soggetto di una ultima parte del mio lavoro.