Don Micchele de la Càntera
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
DON MICCHELE DE LA CÀNTERA.1
Fàmose un po’ a ccapì.2 Cche ddon Micchele
Porti sempre in zaccoccia du’ pistole,
E cche invesce de fà ttante parole
Le spari addosso a cchi jje smove er fèle,3
Quest’è una cosa ppiù cchiara der zole,
E nnun zerve a spregacce4 le cannele:5
Com’è ccerto che llui è er più ffedele6
Tra li Re cche nun ameno le scole.
Ma cche ppoi, pe’ pportà cquer zu’ porcile
De pelacci a la bbocca e ar barbozzale,
Com’adesso è l’usanza de lo stile,
S’abbi7 mo, da chiamallo un libberale,8
Questa è ccaluggna da ggentaccia vile,
Ciarle de quelli che jje vònno male.
14 dicembre 1834.
Note
- ↑ Don Michele d’Alcantara. [Ma si noti che càntera significa “latrina„ e “puzza;„ e si veda il sonetto: Li du’ Sbillonesi, 20 nov. 32. — “Cotesto tristo D. Miguel visse scostumatamente a Roma, mantenendo ballerine, seducendo fanciulle, e rovinando la famiglia Mengacci che l’ospitò regalmente per molti anni e lo riempi d’oro, non bastandogli la pensione che gli pagava il Papa.... Ora lo si vedeva salmeggiare con il sacco del confratello, ora correre dietro a donne perdute. Prodigo dell’altrui, giocatore, dissoluto, è difficile dire il dispregio in cui era tenuto in Roma codesto re da bordello. Una sua amasia, corifea da teatro, era conosciuta col soprannome di Duchessa di Braganza, e un giorno che egli guardava con alterigia sul Corso il Bartolucci,... fierissimo romano reduce della grande armata di Russia, che combattè a Venezia e a Roma col grado di generale, questi gli si rivolse con piglio romanesco apostrofandolo così: Cosa volete voi, sor re di coppe?„ Silvagni, La Corte e la Società Romana nei sec. XVIII e XIX; vol. III, cap. XII.]
- ↑ Facciamoci un poco a intendere.
- ↑ Fiele.
- ↑ Sprecarci.
- ↑ Candele.
- ↑ S. M. Fedelissima.
- ↑ S’abbia.
- ↑ [Sulla barba, indizio di liberalismo, si veda quel che ho detto nella nota 6 del sonetto: La spia ecc., 17 giugno 34. Qui aggiungerò che sappiamo dal D’Azeglio (I mie' Ricordì, cap. XXIII) che nel 1822 “non c’era anima che portasse baffi,„ e dal Farini (Op. e vol. cit., pag. 73) che dopo il 1831 gli agenti di polizia del Papa, “consociati ai Centurioni„ (V. su costoro la nota 10 del sonetto: Le lemosine ecc., 6 giugno 34, “strappavano ai cittadini i peli dal mento o dal labbro superiore.„ Anche nel Giusti il Frate Professore e la Taide ammoniscono Gingillino che quanto più serberà il muso di castrato, tanto più entrerà in grazia al Principale.]