Discorso sull'indole del piacere e del dolore/VII

Dei piaceri e dei dolori fisici

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VI VIII

Ho ragionato sinora dei piaceri e dolori morali, e di questi credo d'aver ritrovata l'indole e la definizione, dicendo essere i primi una rapida cessazion di dolore, e i secondi un timore. Resta ora che entriamo nella medesima analisi sui piaceri e dolori fisici, affine di conoscere se essi sieno d'eguale o d'indole diversa dei morali. Ogni lacerazione che si faccia di un corpo vivente o col ferro, o col fuoco, ovvero colla compressione, cagiona quel sentimento che esprimiamo colla parola dolore. I gradi poi di intensione differente hanno fatto inventare le parole irritazione, incomodo, pena, smania, spasimo e desolazione, colle quali s'indica il dolore a misura che dalla piú debole azione passa ai modi piú forti e violenti, giunto ai quali distrugge la sensibilità medesima, e l'annienta colla vita. Tale è la cagione di ogni dolore fisico, che sempre nasce da una lacerazione o sull'esterne ovvero sulle parti interne del nostro corpo; giacché anche la semplice compressione o stiramento delle parti sensibili, sebbene non sempre lasci dopo di sé la cicatrice visibile della lacerazione, non può comprendersi se non immaginando una separazione violenta di alcune parti della organizzazione. Sin qui mi pare di appoggiarmi al vero, e di potere affermare il dolor fisico esser sempre cagionato da una lacerazione e distacco delle parti sensibili; ma come questa lacerazione produca in me dolore, come questo porti e noi e gli animali tutti alla fuga, al moto, alle grida, questo è l'arcano che io dispero di giammai conoscere. Il Sig. di Maupertuis mi ha detto che il dolore è una sensazione che dispiace d'avere, e lo saprei da me stesso, come ognuno lo sa; ma non per questo siamo noi avanzati punto nel labirinto della sensibilità. Giunto che io sia a conoscere che la lacerazione e separazione di una parte sensibile produce il dolor fisico, e che questo non si dà senza di quella, io non ho piú guida per fare un passo sicuro avanti. Allora rimango abbandonato alla immaginazione; essa mi fa parere che la sensibilità nostra si raggruppi, per cosí dire, e si condensi tutta intorno alla parte del corpo nostro che soffre lacerazione. Sembra che il dolore sia un rannicchiamento forzato del nostro animo, e che la gioia che gli succede, qualora cessi rapidamente, sia una espansione dell'animo istesso che ripiglia il suo elaterio, e si dilata sugli oggetti piú rimoti. Sembra ancora che una tale condensazione della nostra sensibilità non si faccia al momento, ma con prevenzione e apparecchio: soffriamo assai piú dolore per un piccol taglio fattoci da un chirurgo, di quello che ne proviamo se una spada improvvisamente ci trapassi il corpo. Nel primo caso la lacerazione sarà minima e per lo spazio e per la finezza dell'acciaio, e ci dogliamo; mentre appena ci accorgiamo nel secondo d'essere feriti. Ciò m'induce a credere che per ammassare me stesso in una data parte del mio corpo e trasportarvi la sede della mia sensibilità, e attentamente esaminare quanto ivi accaderà, conviene che in prima io ne sia avvisato; altrimenti diramando l'animo nostro una sensibilità eguale su tutto il nostro corpo, quella sola porzione di sensibilità è colpita nelle lacerazioni impensate, che trovavasi al luogo in cui seguí la distrazione; e questa se però basta a renderci quasi indifferenti i colpi non antiveduti, basta altresí ad avvisarci del danno accaduto, e condensarci poi d'intorno ad esso per una disgraziata attrazione che ci rende piú cocente il dolore. Ma queste immagini non sono appoggiate a fatti o a sperienze tali da renderne contento un pensatore. Tale è la condizione nostra, che dei movimenti che succedono in noi medesimi quando ci troviamo ridotti all'ultima analisi, mancano i mezzi e gli stromenti per separare gli elementi e le fila originarie. Abbandoniamo perciò il pensiero di conoscerne l'essenza, e accontentiamoci di sapere che il dolor fisico è un sentimento cagionato dalla lacerazione delle parti sensibili. L'istessa impenetrabile nebbia sta intorno al sentimento del piacere. Non ne cerchiamo l'intima essenza; ma per accostarci al mistero che lo racchiude, io considero che una gran parte de' piaceri fisici consiste in una rapida cessazione di dolore. Arso dalla sete dopo lungo cammino fatto ai cocenti raggi del sole nella calda stagione, dopo averla sofferta per lungo tempo, e cercato inutilmente ristoro, trovo finalmente una fresca soavissima bevanda; in quel momento provo un piacer fisico assai sensibile, e questo facilmente si vede cagionato dalla rapida cessazion del dolore. Affamato trovo una lauta cena; tanto ne è maggiore la delizia, quanto piú forte la fame sofferta; e questo piacer fisico è pure una rapida cessazion di dolore. Oppresso dalla stanchezza trovo un letto agiato; intirizzito dal freddo, vengo trasportato a un tepido ambiente. Questi sono piaceri vivissimi, piaceri fisici, cioé cagionati da una visibile azione sugli organi, e sono piaceri consistenti nella rapida cessazion del dolore. Se ben si rifletta, si troverà che la maggior parte dei piaceri fisici è di questo genere, e che evidentemente si conosce consister essi in una rapida cessazion di dolore. Molti oggetti si osservano con tranquillità da un anatomico; molte idee si analizzano senza tumulto di passione da un curioso investigatore de' principi; ma talvolta il risultato pericolosamente si presenterebbe nell'estrema sua semplicità all'esame del pubblico. L'uomo curioso di meditare, che leggerà queste mia ricerche, non mi vorrà rimproverare ogni omissione, e qualche applicazione negligentata non farà presso di lui pregiudizio alla teoria. Talvolta l'uomo, anche senza avvedersene, risveglia in sé medesimo delle sensazioni inquietissime e penosissime unicamente per sentirle rapidamente cessare. Forse l'uso di quella polve caustica, che sogliamo fiutare; forse l'uso che alcuni fanno masticando un'erba disgustosa e sozzamente preparata; forse l'abituazione a riempirsi la bocca col fumo d'un vegetabile stimolante, l'uso della senape nelle vivande e simili, sono stati introdotti per questo principio. Molti uomini protraggono il passeggio o il ballo sino alla stanchezza per sentirla rapidamente cessare adagiandosi. Questa classe di piaceri procuratisi da noi colla volontaria creazione d'un previo dolore, non sono tanto circoscritti, quanto sembrerebbe al primo aspetto. Se dunque tutti i piaceri morali e una gran parte dei piaceri fisici consistono nella rapida cessazion di dolore, la probabilità, l'analogia, ci portano a credere che generalmente tutte le sensazioni piacevoli consistano in una rapida cessazion di dolore. Quello che piú d'ogni altra cosa mi persuade, si è il riflettere che molte volte l'uomo ha dei dolori; ma avendo essi la lor sede in qualche parte dell'organizzazione meno esattamente sensibile, soffre bensí, ma non sempre sa render conto a sé stesso del principio che lo fa soffrire, e dalla cessazione rapida di quel dolore innominato ne nascono dei piaceri dei quali la sorgente esattamente non si conosce. In prova di ciò si rifletta ai diversi nostri modi di sentire. Le parti del nostro corpo piú abituate al tatto, quando sieno offese da qualche corpo estrinseco, dànno una sensazione decisa, per cui ci accorgiamo precisamente dell'azione che si fa sopra di noi. Le parti per lo contrario meno abituate al tatto, quando vengono esposte all'azione di un corpo estraneo, ci producono una sensazione piú muta e incerta; e se ben distinguiamo se sia dolorosa o piacevole, non però finitamente conosciamo qual precisa azione si faccia sopra di noi. Per esempio: se alla parte interna delle dita un corpo mi cagionerà dolore, io distinguerò esattamente se sia per troppo freddo o troppo caldo, se tagliente, se pungente; distinguerò se il dolore che soffro venga da pressione, da division di parti, da lacerazione, ecc. Ma se la medesima azione si farà sopra un piede, ovvero sopra un braccio, parti meno esercitate al tatto, l'uomo sentirà un dolore, ma esattamente non saprà se vengagli fatta pressione o lacerazione ecc. Progredendo in questo esame io trovo che le parti interne della nostra organizzazione sono sensibili alle azioni dei corpi che possono ferirle, lacerarle o irritarle: ma essendo esse piú di rado toccate, ancora piú muta e indecisa ne risulta la sensazione. Un dolor di capo suppone certamente qualche irritazione interna sugli organi: ma qual è il punto preciso che duole? Il dolore è egli una puntura? È egli una distensione? È egli una pressione? Nol so. Duole il capo, l'uomo sta male, ma precisamente non può nominare il luogo, il punto in cui succede lo sconcerto. I dolori alle viscere sono dell'istessa natura. Vagamente si può dire presso a poco: in questo spazio sento il dolore; ma non se ne può con precisione indicare il luogo o la qualità dell'azione che ci fa soffrire. Il dolor de' denti medesimo, per quanto sia crudele e violento, talvolta è incerto a segno che indichiamo un dente sano come sede del dolore, il quale realmente risiedeva nel dente vicino cariato, e fattovi piú attento esame, chi lo soffre se ne avvede. Ciò accade perché, come dissi, le parti di noi meno avvezze al tatto ci cagionano sempre delle sensazioni, annebbiate ed equivoche. Infatti che altro significano queste parole {{opera|NomeCognome=Pietro Verri|TitoloOpera=Discorso sull'indole del piacere e del dolore|NomePaginaOpera=Discorso sull'indole del piacere e del dolore|AnnoPubblicazione=1773|TitoloSezione=tedio, noia, inquietudine, malinconia, {{opera|NomeCognome=Pietro Verri|TitoloOpera=Discorso sull'indole del piacere e del dolore|NomePaginaOpera=Discorso sull'indole del piacere e del dolore|AnnoPubblicazione=1773|TitoloSezione=se non un modo di esistere doloroso, senza che ci accorgiamo di qual natura sia o in qual parte di noi la sede del dolore? Ciò posto, io rifletto che ogni uomo ha quasi sempre seco qualche dolore di questa natura, perché ogni uomo ha qualche fisico difetto nella sua macchina; per esempio, qualche viscere sproporzionatamente grande o angusto, qualche corpo estraneo, o nel fiele, o ne' reni, ecc. Un anatomico avrebbe di che troppo contristare un lettore con la serie dei mali che può aver l'uomo entro di sé senza avvedersene; mali i quali ci cagionano dei vaghi e innominati dolori, cioé dolori che piú o meno ogni uomo soffre senza esattamente distinguerne la cagione. E sono questi dolori innominati, dolori non forti, non decisi, ma che ci rendono addolorati senza darci un'idea locale di dolore, e formano vagamente sí, ma realmente il nostro mal essere, l'uneasiness, conosciuta dal pensatore Giovanni Locke. Questi dolori innominati sono, a parer mio, la vera cagione di quei dolori fisici, i quali a primo aspetto sembrano i piú indipendenti dalla cessazion del dolore.