Discorso sull'indole del piacere e del dolore/VI

Sviluppamento della teoria dei piaceri e dei dolori morali

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Sviluppamento della teoria dei piaceri e dei dolori morali
V VII

Sinché un uomo però è capace dei due sentimenti motori, timore e speranza, è soggetto ai dolori ed ai piaceri morali. Questo modo di sentire, assente l'oggetto esterno, è un fenomeno che dipende interamente da quell'ignota parte di noi che chiamasi memoria: parte di me, che agisce sopra di me, che tien luogo di oggetto esterno, che da sé eccita moti e passioni; che, essendo io paziente, opera in me, mio malgrado talvolta, e forma essa sola quel me, quell'io, che consiste nella coscienza delle mie idee. Quest'enigma della mia propria essenza tanto umiliante, questa memoria è la produttrice di ogni mio piacere o dolor morale, poiché non si danno questi se non per la speranza o pel timore; né speranza o timore senza idee dei beni e dei mali; né queste senza averli provati e risovvenirsene. Come mai, quando la fantasia ci rende presente l'aspetto de' mali futuri e ci agita il timore, nasce in noi la sensazion del dolore? Questo è un mistero che l'Autore dell'universo non ha conceduto all'uomo di penetrare. La cagione delle sensazioni nostre è talmente oscura che l'ingegno dispera di rintracciarla giammai. Quando un ferro rovente a caso si accosti alle mie membra, risento un dolor fisico: so che allora ivi si lacera e si scompone la mia macchina: so che risento dolore; ma qual relazione abbiano questa lacerazione e questo scompaginamento colla mia sensazione del dolore, non lo so. Se non intendo questa relazione, se non distinguo gli anelli di quella catena che unisce la fisica lacerazione colla sensazione dolorosa, quantunque una delle due estremità sia da me conosciuta, come mai spererò di conoscere e distinguere gli anelli di quell'altra catena che comincia dall'immagine presentata dalla memoria, e termina alla sensazione? In questo secondo caso non conosco né l'una né l'altra delle due estremità. Forse la memoria quando è vivacissima, e chiamasi fantasia, cagiona una irritazione nelle parti piú interne della mia macchina. Il pallore, l'ansietà del respiro, il precipitoso battere delle arterie, il tremore delle membra, la torbidezza dello sguardo, che accompagnano la sola viva apprensione del male senza alcuna fisica azione esterna attuale, possono far credere probabilmente uno scompaginamento interno prodotto da quella stessa facoltà di ricordarci, che è la sorgente della maggior parte de' beni, come de' mali della vita. Ma in questa materia non si può cautamente ragionare se non col forse. Dirà taluno: {{opera|NomeCognome=Pietro Verri|TitoloOpera=Discorso sull'indole del piacere e del dolore|NomePaginaOpera=Discorso sull'indole del piacere e del dolore|AnnoPubblicazione=1773|TitoloSezione=è vero che ogni piacer morale consiste nella rapida cessazion del dolore; ma egualmente potrà dirsi che ogni dolor morale consiste nella rapida cessazion di un piacere. Ma a ciò rispondo che una simile generazione reciproca non si può dare e per conoscere che ciò non si può, basti il riflettere che se ciò fosse, non potrebbe l'uomo cominciar mai a sentire né piacere né dolor morale; altrimenti la prima delle due sensazioni di questo genere sarebbe e non sarebbe la prima in questa ipotesi, il che è un assurdo. Eccone la prova. Dopo il momento in cui l'uomo ha ricevuto la vita, vi deve essere un primo piacer morale, e un primo dolor morale. Supponiamo noi che la prima di queste due sensazioni sia un piacere? Se questo consiste nella rapida cessazione di un dolore, è stato preceduto dunque da un dolore; dunque al sensazion del piacere non è stata la prima. Supponiamo noi invece che la prima sensazione sia stata un dolore? Se fosse vero che questo consistesse nella rapida cessazion d'un piacere, il dolor pure non sarebbe stato la prima sensazione. Dunque evidentemente si conclude non esser possibile quest'alternativa essenziale generazione; e se il piacer morale consiste nella rapida cessazione d'un dolore, ne viene per conseguenza sicura che il dolor morale non può consistere nella rapida cessazione del piacere, perché il primo piacer morale che ha sentito l'uomo sarà nato dalla distruzione rapida di un dolore che non è stato preceduto da verun piacere. Dunque o né l'una né l'altra di queste generazioni è vera; oppure, se una di esse è vera, l'altra è impossibile. Se dunque concludentemente si prova che il piacer morale sia una cessazione rapida di un dolore, ne verrà per conseguenza che il dolor morale non può consistere in una cessazione rapida di un piacere. Il signor di Maupertuis ha voluto calcolare i piaceri e i dolori, e il risultato che ne scaturisce al paragone si è che la somma totale dei secondi eccede; onde valutata l'intensione e la durata delle affezioni dell'animo nostro, piú pesano le disgustose che le amabili, e piú soffriamo di quel che godiamo, qualunque sia la condizione e fortuna nostra nel corso della vita. Questa conseguenza che ogni uomo trova purtroppo vera nella serie delle umane vicende, scaturisce, almeno per le sensazioni morali, dalla stessa definizione che abbiam ritrovata del piacere. Questo è una rapida cessazion di dolore; questo non può mai essere una quantità maggiore di quella che ha fatta cessare. Può essere assai piú energico perché concentrato in pochi istanti; ma la somma totale distesa per lo spazio di tempo in cui si è sofferto il dolore che rapidamente è ceduto, non può esser minore dell'effetto. Ogni piacer morale che si gode, suppone una quantità uguale per lo meno di dolore che si è sofferto; sin qui potrebbero essere bilanciate le due quantità. Ma tutti i dolori che non terminano rapidamente, sono una quantità di male che nella sensibilità umana non trova compenso, ed in ogni uomo si dànno delle sensazioni dolorose che cedono lentamente. Dunque se è vera la definizione già data al piacer morale, di necessità deve l'uomo piú soffrire che godere nella serie delle sensazioni morali. Un'altra conseguenza scaturisce da questo principio, ed è che non può l'uomo sentire due piaceri morali contigui, se il primo almeno non è frammisto a qualche porzion di dolore; poiché il secondo piacere consistendo nella cessazion rapida di un dolore, forz'è che questo coesistesse col piacer primo. Quindi due piaceri perfetti di seguito nella serie delle sensazioni morali saranno impossibili a darsi, ma necessariamente dovrà interporvisi un dolore, la di cui rapida cessazione cagioni il secondo. Ed ecco perché la felicità vera e depurata da ogni male non possa fisicamente essere uno stato durevole nell'uomo nemmen per poco, ma appena per brevissimi intervalli ne vegga dei lampi per ripiombare ben tosto nel desiderio animatore di riaccostarsi a quella seducente immagine, di cui sollecito e ansante va in cerca durante lo spazio della sua vita. È una verità malinconica, ma egualmente costante, che l'uomo può essere occupato da un séguito non interrotto di dolori, e discendere per lungo tratto di tempo verso la infelicità senz'altro limite che la stupidità, o la morte; perché uno scompaginamento, una lacerazione, una distensione ne' nostri organi non esclude una successiva nuova lacerazione, scompaginamento e distensione. Laddove sebbene possa succedere a un piacer frammisto con molto dolore una nuova cessazione rapida di altra parte di dolore, e cosí un piacere meno amareggiato, sintanto che si giunga a un momento di felicità; questa scala però nell'ascendere non può essere tanto lunga quanto lo è quella della discesa. In fatti il dolore o morale o fisico, può occupare miseramente un uomo per piú giorni senza lasciarli intervallo o pace bastante per chiudere gli occhi al sonno; ma nessuna serie di piaceri vi sarà che basti a tenere occupato piacevolmente un uomo piú giorni, senza che il sonno, la sazietà l'abbiano interrotta. Non v'è piacere morale o fisico, il quale non s'annienti nell'animo nostro alla sensazione d'un forte mal di capo o di denti. Ecco perché l'immaginazione d'ogni uomo facilmente può figurarsi un cumulo di mali, e uno stato durevole di pene e di assoluta miseria; e per lo contrario non può nemmeno nel liberissimo regno della nostra immaginazione dipingersi uno stato di vita giocondo e felice, libero da ogni noia e da ogni sazietà. Ecco perché le descrizioni del Tartaro riescono sempre piú colorite e verosimili di quelle dell'Eliso, le quali dopo inutili sforzi compaiono stentate e fredde, quand'anche sien fatte da uomini dotati di somma immaginazione. La religione può sola consolarci a vista di queste tristi verità; essa ci assicura di un tempo in cui modificatasi altrimenti la sensibilità nostra, saremo capaci d'una serie non interrotta di purissimi piaceri, della quale frattanto portiamo inerente a noi stessi il desiderio.